1986 – Il sacrilegio
IL SACRILEGIO
Vivevamo, a quel tempi, in una casetta vecchia e malandata, l’intonaco era di un colore indefinibile ma certamente vetusto ed ogni tanto si gonfiava in qualche punto pronto a cadere in briciole alla prima occasione mettendo in evidenza antichi mattoni quasi informi cementati, si fa per dire, da fango verdastro. Le porte e le imposte erano screpolate e tarlate e non si sa bene a cosa servissero cosi sconnesse dato che non tenevano il freddo nè, se ci fosse stato qualcosa da rubare, avrebbero fermato I ladri.
Adiacenti alla nostra c’erano altre due casette uguali che forse, un tempo, avevano formato con la mia, un unico insieme. Dietro vi era un’area tenuta in parte a cortile ed in parte ad orto-giardino, regno di gatti, polli e, talora, di qualche maiale. In fondo, piu lontano possibile dalle abitazioni, c’erano le latrine il cui pozzo nero veniva vuotato periodicamente sollevando una lapide che era posta davanti alle loro entrate. Un vecchio muretto sormontato da una smagliatissima e rugginosa rete metallica separava il giardino della terza casa, più vasto e ben tenuto, dal cortili della nostra e di quella dei più immediati vicini.
In quella terza casa viveva la protagonista di questa storia che, per non incorrere in riconoscimenti, benché siano passati moltissimi anni, chiamerò convenzionalmente Luigina.
Era una giovane donna, alta, formosa. di bell’aspetto, gli occhi miopi un pò sporgenti ed una bruna peluria sul labbro superiore preannunciante i baffi che avrebbe avuto in età avanzata; era sempre allegra e scherzosa con tutti. Ma (ecco il “solito” che guasta tutto) aveva un difetto, ora piuttosto vivace con gli uomini ed il fatto di essere sposata non sembrava crearle dei problemi, in realtà qualche problema l’aveva ma lo risolveva, come vedremo, a modo suo.
Mia madre, più anziana, la conosceva fin da bambina ed era con lei in buoni rapporti da sempre; talora, forte della sua età, la rimproverava bonariamente per la sua condotta ma tutto finiva lì perchè Luigina lasciava puntualmente cadere il discorso.
La mattina di un Venerdì Santo la sentii parlare nel cortile, con mia madre: “Esco e vado a fare la Confessione” disse e ridacchiando aggiunse “spero di aver la forza di confessare tutti i miei peccati” e se ne andò. Ritornò alquanto più tardi, verso le 11 (a quel tempi c’era una gran ressa davanti al confessionali, specie per Pasqua) e mia madre, che stava trafficando in cortile, come la vide le chiese se fosse stata sincera fino in fondo. “Non ho avuto il coraggio di affrontare l’argomento” rispose “ma ho avuto egualmente ‘ assoluzione!” Mia madre rimase scandalizzata “per forza, ribattè “se non hai detto nulla al confessore come poteva negartela?” Poi insistè: “lo sai che è un sacrilegio? Non hai paura della punizione Divina?”. Luigina rimase pensierosa, sembrò meditare una risposta poi, improvvisamente, si avviò di corsa verso la latrina, ed era un modo per troncare un discorso che era divenuto imbarazzante. Di corsa attraversò il giardino e di corsa arrivò sulla lapide del pozzo nero, ma non riuscì a proseguire perchè questa si spezzò e la nera voragine la inghiottì. Ero in cortile anch’io e sentii un urlo, un tonfo e un gorgogliare raccapricciante. Cominciammo a correre, lo e mia madre, come impazziti, lungo il muretto, di qua e di là senza riuscire a trovare un buco dove passare, ma prima che mi decidessi ad arrampicarmi sulla rete metallica vedemmo comparire, coperta di escrementi, la testa e le braccia . Si issò faticosamente, immagine da Inferno Dantesco, nera di liquame dalla testa ai piedi, poi si buttò a terra e prese a ridere, ridere, ridere senza fine. Quando smise rientrò in casa rifiutando ogni offerta di aiuto, lasciando nel cortile tutti i suoi vestiti.
I miei ricordi si fermano a quest’immagine di cenci neri e grondanti che volavano fuori accompagnati da una convulsione sconnessa di risate e di pianti. Dovette restare a letto per alcuni giorni perchè si era contusa tutto il corpo. Non ebbi mai occasione di parlarne con lei ma potrei giurare che da allora le sue Confessioni abbiano guadagnato in sincerità.
Tratto da “La finestra” – Periosico parrocchiale di Mirandola