I Saplass

I Saplass

31 Marzo 2016 0

“Al sta in di Saplass…”

Così si diceva di un contadino che vendeva damigiane di un vino fatto da lui. Ci aveva portato come campione qualche bottiglia, che aveva deposto a terra con le sue mani enormi e rugose. Un vino bianco, torbido e aspro. A volte, parlando di altri che abitavano là, si accompagnava la frase con un sorriso un po’ canzonatorio. Io ero un bimbetto, e di quella parola, “saplass”, pronunciata oltretutto con straboccanti s mirandolesi, comprendevo solo vagamente il senso. A volte la frase veniva accompagnata da un gesto indefinito che pareva indicasse un luogo non lontano, ma come remoto, fuori dalla civiltà. I Saplass mi facevano pensare a una palude, forse per assonanza coi Sargassi, forse per il suono, che mi suggeriva l’immagine di individui che camminavano nell’acqua bassa e fangosa: saplass, saplass… E silenzio, e nugoli di zanzare, e ogni tanto un guizzo di rane.
Sul fondo di una di quelle bottiglie trovammo un lombrico, lungo e pallido, diafano di alcol. Scuotendo un po’ la bottiglia ondeggiava, come su un fondale marino. Da quel momento il contadino non fu più visto a casa nostra.
Venni poi a sapere che i Saplass altro non erano che Via Zappellazzi. La denominazione topografica precisa, con la sua schiera di z taglienti, metteva in riga le sinuose s, e trasformava un mondo misterioso ed esotico in un banale crocevia di campagna. Dove però, chissà… un tempo magari c’erano acquitrini e paludi, e individui oscuri che vi si aggiravano con un rumore di saplass.

Maurizio Goldoni

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