Fabio Montella – Odoardo Focherini e il “Fiore che non marcisce”
Versione ideata da Odoardo Focherini nel 1932
Odoardo Focherini e il “Fiore che non marcisce”
Un’iniziativa che avrà lunga fortuna nella San Vincenzo mirandolese e in tutta la Diocesi di Carpi è quella del “Fiore che non marcisce”, ovvero un cartoncino da apporre al posto dei fiori freschi sulle tombe dei defunti, il cui acquisto serve a finanziare le attività del sodalizio. Nell’edizione del 1932 l’organizzazione dell’iniziativa viene affidata ad un giovane ed intraprendete cattolico, Odoardo Focherini, destinato a diventare una delle figure simbolo della chiesa cattolica carpigiana.
Nella nuova versione pensata da Focherini l’iniziativa viene lanciata in occasione della commemorazione dei defunti, con l’idea di riproporla per almeno un triennio. Focherini all’epoca ha 25 anni ed è presidente diocesano dell’Associazione giovanile di Azione Cattolica. Nel 1930 ha sposato nella chiesa di Santa Maria Maggiore, a Mirandola, Maria Marchesi, che gli darà sette figli. La prima, Olga, nasce il 29 aprile 1931, mentre la seconda viene alla luce il 10 dicembre del 1932, quindici giorni dopo la presentazione, da parte di Focherini, della Relazione finale sul “Fiore”, che riproduciamo integralmente in appendice al volume.
Focherini si è messo in luce tra i cattolici carpigiani come uno degli elementi più brillanti. Nel 1924, a soli 17 anni, è stato chiamato da Zeno Saltini e don Armando Benatti a far parte della presidenza della Federazione giovanile cattolica diocesana, con la carica di segretario. Il suo impegno a favore dei ragazzi si esplica nell’organizzazione, insieme a Saltini, del movimento degli Aspiranti di Azione Cattolica, che a Carpi assume un rilievo particolare per il rapporto «sempre più stretto» con l’oratorio dedicato al beato Bernardino Realino, un centro che dà vita a molteplici iniziative, dalla schola cantorum alla filodrammatica, dal doposcuola alla sezione ginnastica, dalla tipografia alla scuola operaia di arti e mestieri; una serie di attività che sono portate a sintesi dalla costituzione, nel 1926, dell’Opera Realina. Il clima esistente a Carpi fa sì che anche Focherini cresca «ricco di interessi e aperture», lontano dalla visione stereotipata «del giovane cattolico baciapile, tutto casa e sacrestia», nella suggestiva definizione che ne dà Giorgio Vecchio. Di lì a poco l’esperienza dell’Opera Realina passa attraverso l’attacco perpetrato dal fascismo, che con l’istituzione dell’Opera Nazionale Balilla, nel 1926, mira ad ottenere il monopolio educativo e organizzativo dei giovani, un processo che si completa nel 1928 con il divieto di qualsiasi sodalizio giovanile che non faccia capo alla nuova organizzazione del regime.
Focherini, chiamato a svolgere il servizio obbligatorio di leva nel 1927, non partecipa direttamente alle vicende che segnano la fine dell’indipendenza delle organizzazioni giovanili cattoliche diocesane, rientrate in un ambito di azione strettamente ordinaria, ed anche la conclusione dell’esperienza dell’Opera Realina, minata, oltre che dal clima generale sfavorevole instaurato dal regime, anche da difficoltà finanziarie e dalla «carenza di capacità manageriali di Saltini e di don Benatti». La crisi del 1927, in realtà, non ferma lo sviluppo dell’Azione Cattolica a Carpi e l’attività svolta in essa da Focherini, che tra il 1928 e il 1934 troviamo alla guida della Federazione giovanile cattolica maschile. È grazie a questo ruolo che Focherini entra a far parte di diritto della giunta diocesana, di cui è peraltro nominato segretario nel marzo del 1928.
Focherini è dunque in una posizione di responsabilità, nel 1931, quando il regime scatena un attacco ancora più pesante ai circoli cattolici, ai quali è imposto di non occuparsi più di politica né di problemi sindacali o professionali e neppure di attività di tipo atletico o sportivo. Come prescritto dagli accordi tra governo e Santa Sede, alla Federazione giovanile cattolica italiana viene imposto di cambiare nome in quello di Associazione giovanile di Azione Cattolica. Focherini ne viene confermato alla presidenza anche per il biennio 1932-33. Prosegue allo stesso tempo il suo impegno per la San Vincenzo, con l’organizzazione, tra l’altro, dell’iniziativa del “Fiore”, ripensata nel 1932 per portare nuove risorse all’associazione.
Nella sua Relazione inviata al vescovo Pranzini e ai presidenti della varie conferenze della Diocesi, Focherini spiega che «il convincere che sempre ma particolarmente in tempo di crisi gli sperperi dei fiori sulle tombe sono perfettamente inutili e che in un solo modo i morti si possono suffragare e ricordare, beneficando i poveri», è stato il motivo che lo ha spinto «a cercare un quid che in un certo senso sostituisse il fiore naturale, ma che di esso avesse qualcosa, ed in più esprimesse un pensiero cristiano, pur accontentando l’occhio profano abituato alle esteriorità». Dopo aver studiato «altri cartelli sui generis», Focherini sceglie di affidarsi, per la «parte ornamentale» del disegno, alla mano del pittore Nello Mazzelli, che in quegli anni lavora a stretto contatto con lui. La figura rappresenta «un circolo (simbolo dell’eternità)» al centro del quale vi è «la Croce (simbolo di redenzione e di resurrezione)». Sullo sfondo «i grisantemi» ricordano «il fiore del pianto». I cartoncini, stampati in una quantità tale da garantire tre quattro anni di vendite, sono stampati in una versione con la croce blu e una verde, da alternarle ogni anno, al fine di ridurre il rischio di «indesiderati abusi» e di introdurre anche una piccola novità, che «non potrà non piacere». Lo stesso Focherini si occupa invece della parte «geometrica ed ideatrice» del cartoncino. I diritti di proprietà vengono ceduti alle due Società di San Vincenzo di Carpi, «purché se ne servano esclusivamente per l’uso per il quale i disegni sono stati voluti». Per la distribuzione l’ideatore pensa di inviare a «una serie di nomi raccolti da diversi elenchi ma particolarmente al cimitero» una busta che, oltre al cartello, contenga una lettera di presentazione ed «una copia del rendiconto finanziario della Crociata della Carità, per dare un’idea dell’importanza del lavoro svolto dalle conferenze in un solo inverno». Nonostante l’impegno profuso, la prima edizione dà risultati modesti. Su 220 lettere distribuite, soltanto 80 hanno ottenuto risposta. Riflettendo sui motivi del mancato riscontro da parte di quasi i due terzi dei destinatari delle lettere, Focherini li riconduce a quattro tipologie di persone:
«1 – coloro che per abitudine non aprono le buste contenenti stampati;
2 – coloro che non hanno capita la cosa;
3 – coloro che pur avendola capita non se ne sono curati o per dimenticanza o per negligenza!;
4 – coloro che non hanno voluto capire la cosa e per evitare la figura di ritornare la busta l’hanno cestinata».
A questo l’organizzatore aggiunge un’amara constatazione: «Se si tiene conto dell’ambiente, della novità della cosa, di certe prevenzioni ed ancora più dell’ignoranza dell’ottanta per 100 della popolazione sul conto della S. Vincenzo (ceto intellettuale e medio compreso) non ci si meraviglierà del forte numero delle risposte… non ricevute».
Per il primo anno l’iniziativa si conclude comunque con un utile non indifferente, che permette all’ironico Focherini di stringere «fraternamente la mano» a «critici ed ipercritici», rivolgendo «viva preghiera per essere scusato di quanto non ha fatto o non ha potuto fare».
Tratto da: “Utili e benefici all’indigente umanità” – L’Associazionismo popolare in Italia e il caso della San Vincenzo de’ Paoli a Mirandola e Bologna.
Collana: OttocentoDuemila, Storie dal Territorio,5
Anno 2016