La leggenda di Batonia Candida, della “Buca dei bambini”e altre.
Una leggenda, ma questa volta ancorata ad una precisa realtà storica, è quella legata alla storia d’amore della coppia di sposi formata da Capelleno e da Batonia Candida, due antichi romani vissuti nella “valle” mirandolese nel terzo secolo dopo Cristo. I due, infatti, diedero vita ad una meravigliosa e infelice storia d’amore, non sappiamo se con o senza figli, ma sicuramente una favola romantica che si concluse tragicamente con la prematura morte della signora Batonia Candida ai tempi dell’imperatore romano Publio Licinio Gallieno.
Il povero marito Capelleno, angosciato per la morte improvvisa della moglie adorata, con la quale aveva vissuto una vita di affetto e di tenerezze, volle mettere sulla tomba della donna, come testimonianza del suo amore e del suo dolore, una stele di marmo giunta fino ai giorni nostri, e oggi conservata al Museo Civico della Mirandola. La stele, scritta in tardo latino, si rivolge agli Dei mani, che per i Romani erano le anime dei defunti: “Agli Dei Mani, alla dolce moglie Batonia Candida, a lei che meritò da me questo monumento, che ella non mi chiese in punto di morte, ma che io le feci con pietosa gratitudine, avendone in mente le angustie terrene. Il marito Capelleno pose a lei veramente meritevole”.
L’arida “valle” mirandolese non era forse terra di grandi amori come quelli di Giulietta e Romeo o di Paolo e Francesca, ma la storia d’amore di questi due modenesi abitatori della inospitale “valle” ha assunto nel corso dei secoli il significato di un grande affetto dolce e intenso quanto sfortunato.
Un’altra tragica e misteriosa leggenda della “Bassa” riguarda la celebre “Buca dei bambini” (la “Busa di bamben”) situata in un luogo sperduto non lontano dalla riva destra del fiume Secchia, fra le località della Motta, in comune di Cavezzo e del Ponte Pioppa, in comune di San Possidonio. Una crudele e speriamo falsa leggenda racconta che qui venivano gettati i corpi dei bambini mai nati e anche dei bambini innocenti nati fuori dal matrimonio, o comunque frutto di amori clandestini. La gente ha sempre favoleggiato su questo posto, ma nessuno è mai riuscito a dimostrare nulla.
Resta solo il fatto che nella vicina località delle Barlete (ma questa è tutta un’altra storia) era possibile trovare un eccezionale tartufo, che era noto appunto con il nome di “trifola delle Barlete”.
Più romantica e assai più credibile la leggenda che riguarda il “Cristo della Luia”, una località ai confini tra il Modenese e la provincia di Ferrara, non lontano da San Martino Spino. Si tratta di un antico Crocefisso di strada che ancora si vede sulla facciata della vecchia “Osteria della Luia”. Questo crocefisso probabilmente risale alla fine del secolo XVII e, quasi per miracolo, arrivò in località “La Luia” per via acquea, nel senso letterale del termine. Vogliamo dire che molto probabilmente, a quanto si racconta, fu strappato dalla sua chiesa originale in occasione della paurosa alluvione del Po avvenuta nel 1872, galleggiando come un normale pezzo di legno fino ai confini del Mirandolese.
Quando, a Dio piacendo, le acque del Po si ritirarono il crocefisso fu ritrovato in una stanza della stessa osteria, poiché era abitudine, durante le alluvioni, di lasciare aperte le porte e le finestre per lasciare scorrere le acque. Ma non finisce qui, perché sembra che esista una leggenda nella leggenda, perché, a sentire la gente del luogo, questo crocefisso di ignota provenienza, non appena ritrovato, fu di nuovo rimesso in acqua, nel timore che l’immagine sacra, strappata dal suo luogo di origine, portasse sfortuna. Ma quando le acque del grande fiume si ritirarono in via definitiva, il crocefisso ligneo fu di nuovo ritrovato nello stesso punto in cui si era fermato in precedenza. Si gridò al miracolo e da quel giorno del 1872 le acque del Po non giunsero mai più nella “Bassa” modenese.
Tratto da: Antiche tradizioni mirandolane
Autore: Giuseppe Morselli
Edizioni Bozzoli
Anno 2006