Il “Marketing”
Il “Marketing”
La riunione era arrivata al break, i camerieri ripulivano i posacenere, alcuni dei convenuti prendevano il caffè; la sobria eleganza del gruppo era in perfetto accordo col brusìo sommesso della sala e le poche concessioni alla fantasia si scoprivano solo nelle cravatte. Le conversazioni, imbottite di terminologia aziendale, non erano che un seguito delle relazioni appena ascoltate.
I volti dei managers là riuniti non tradivano i segni delle lotte sostenute per la carriera. Tutt’al più dai gesti e dagli atteggiamenti sempre controllati che accompagnavano quei discorsi da iniziati un occhio attento avrebbe potuto ricavare segnali nuovi, appena percettibili, sufficienti comunque a insinuare il sospetto che si trattasse di esseri diversi. Un riferimento a mutazioni genetiche sarebbe fuori luogo.
Il diverso aveva le sue radici in un patrimonio di conoscenze acquisito in dure scuole di specializzazione e in altrettanto dure esperienze che andavano dalla conduzione di uomini a studi di mercato, da elaborazioni analitiche di dati a conclusioni operative. Individui formati nella civiltà dei consumi e che dei consumi, più che della civiltà, tenevano le fila.
In quella occasione, come in altre precedenti, si ritrovavano nel nome della loro religione: il tema della riunione era il marketing.
L’intervallo stava per finire. Il giornalista, inviato da una rivista specializzata, si rimise l’auricolare per ascoltare, in traduzione simultanea, l’ultimo relatore, il più qualificato, uno straniero dal nome impronunciabile.
Ora tutti erano in silenziosa attesa.
”Rifacendomi al concetto di marketing”, X cominciò, ”inteso come studio e sforzo comune di diverse funzioni aziendali per risolvere problemi, col duplice scopo di soddisfare le esigenze dei consumatori e produrre profitto, sento subito il dovere di precisare una cosa ovvia: la traduzione nella realtà di tale concetto assume sfaccettature tanto complesse da renderne sempre e solo approssimata qualunque definizione. Tale complessità ci consente già di affermare che se nella attuazione pratica del marketing ci affidassimo a degli schemi rigidamente precostituiti commetteremmo un errore. E allora, senza dimenticare le regole, possiamo dire che sono fortunate le aziende che possono contare su dirigenti che, pur avendo un normale bagaglio di conoscenze, sono soprattutto ricchi di una fantasia e di una elasticità mentale che permettono loro di prendere decisioni rapide e di organizzare programmi precedendo le esigenze di un mondo in sempre più rapida evoluzione. Si potrebbe parlare, senza scomodare l’arte divinatoria, di antenne ultrasensibili aiutate dalla razionalità”. ”Ora, volendo andare per gradi, cominceremo ad analizzare le conoscenze. Occorrerà, a questo punto, accennare all’economia, alla finanza, ai problemi di produzione e distribuzione e, ancora, alle scienze sociali e comportamentali”. ”Così continuando, senza presumere d’aver chiuso l’elenco, arriveremo ad un modello tanto ricco di conoscenze da farci pensare ad uno strano, moderno Pico della Mirandola…”.
In quel momento l’auricolare cominciò a gracchiare e la voce della traduttrice si spense in un rantolo confuso.
L’osservatore, per sopravvenute cause tecniche, veniva escluso dalla dotta conferenza.
Quella sospensione improvvisa faceva risuonare nella sua mente, come un ritornello, le ultime parole. Il nome del paese, del suo paese, lo stava riportando indietro nel tempo.
Si ritrovò, bambino, in una lontana estate, in mezzo al vecchio, variopinto, rumoroso mercato di Mirandola. Non più la compassatezza di quella sala asettica, ma la gente sanguigna della bassa che contrattava, litigava, rideva, si scambiava ad alta voce battute un po’ pesanti da una bancarella all’altra mentre i cantastorie, con le loro ”sirudele”, si impegnavano a colorire i fatti di cronaca e docili, muggenti mandrie, destinate al mercato bestiame, percorrevano lentamente i viali.
Era quasi sorpreso della facilità con la quale un nome l’aveva trascinato in un tempo pressoché dimenticato. Si era lasciato immergere, come in un protettivo mare caldo, nel bailamme del mercato la cui prorompente vitalità cancellava la piatta compostezza di un convegno che non sentiva più suo.
E vedeva riaffiorare la donna con la faccia bruciata dal sole, il fazzoletto in testa, la cesta sotto il braccio, che gridava ogni cinquanta passi ”trì limòn pr’an franc”, rivelando l’inequivocabile origine mantovana.
E l’altra sussiegosa, meno urlante ma più perentoria, che imponeva ”la naftalina in polvere, la morte degli insetti”, in un italiano compitato come a sottintendere una merce più sofisticata, frutto delle conquiste della chimica.
E tutta una serie di personaggi coloriti, ottimi caratteristi, fra i quali, primus inter pares, faceva spicco, pur se di proporzioni modeste, un uomo che compariva per le strade tutto in bianco come un cuoco, berretto compreso. Portava due secchi di acqua potabile, anche quelli di smalto bianco, attorno ai quali, in appositi anelli a corona, erano disposti molti bicchieri e alcune bottiglie di sciroppo.
Egli apriva sorridente la propria campagna di vendita con uno slogan porto con stile ”la bibita americana, chi la beve si risana”. E continuava la promozione parlando di prezzo delle uova con le massaie, di pioggia e siccità con gli agricoltori, di Carnera con gli sportivi, facendo di ogni sosta un affollato punto di vendita di bibite verdi, gialle e rosse.
Visto che anche altri vendevano bevande non si può dire che quel successo dipendesse solo dalla sete dei consumatori. Dietro c’era tutto quel bianco (vestito, berretto, secchi) che suggeriva l’idea, anche se solo l’idea, di una garanzia igienica proprio negli anni in cui il tifo imperversava, c’era la rima che proponeva l’allora persistente suggestione di un’America lontana legata al concetto di floridezza e di salute, c’erano il confidenziale sorriso, le chiacchiere accattivanti…
Uno scoppio di applausi sottolineò la fine della seduta e spense il film dell’antico mercato.
L’osservatore, richiamato alla realtà, si guardò attorno preoccupato.
”E adesso”, si disse, “come stendo il mio servizio? Se non ci sono gli atti dovrò chiedere o lavorare di fantasia”.
”A pensarci bene, però, un’apertura dell’articolo con quelle tre figure del vecchio mercato…; in fondo esprimevano, anche se rozzamente, tre momenti di una scienza ancora da definire. Vediamo un po’ la donna dei limoni… be’, il suo era appena un abbozzo. Contava sulla ripetitività e sull’idea del risparmio”. ”La seconda… direi che era già più avanti; adombrando i misteri della scienza e aggiungendo il beneficio ”la morte degli insetti” evidenziava la sequenza proposta – vantaggio e cominciava a dirozzare la materia”.
”E l’uomo? … Ecco, se uno qualunque dei partecipanti al convegno dovesse descrivere l’attività di quell’ometto in bianco cadrebbe nell’impiego di una serie di termini quali studi di mercato, esigenze dei consumatori, comunicazione e lasciamo pure stare budget, target e direzione per obiettivi. Infatti il ricorso a queste ultime misteriose parole sarebbe eccessivo. Resta però il fatto che, se non un moderno Pico, un modesto mirandolese d’antan avrebbe potuto offrire argomento di discussione su quell’importante capitolo del marketing che va sotto il nome di promozione delle vendite”.
”E alla conclusione di queste fantasie cosa scrivo per il mio periodico? La naftalina in polvere e la bibita americana? Temo proprio che il direttore non abbia propensioni per il colore”.
”E allora sarà opportuno tenere i piedi in terra, chiedere gli atti del congresso e procedere sui binari della giovane scienza del mercato”.
Allontanato così un intrigante ricordo, il giornalista si avvicinò deciso al tavolo della segreteria e, con voce squillante_ domandò: ”Ebbene sono pronte le bibite americane?”.
Libero Gavioli
Della Vecchia Mirandola e di poche altre cose
Autore: Libero Gavioli
Anno: 1989
Nell’immagine: Anna Mascheroni – Per gentile concessione di Luigi Mascheroni