Roberta Paltrinieri – Perle di cultura – L’arca monumentale di Prendiparte Pico in San Francesco a Mirandola – Un’identificazione zoologica, mulo o asinello?

Roberta Paltrinieri – Perle di cultura – L’arca monumentale di Prendiparte Pico in San Francesco a Mirandola – Un’identificazione zoologica, mulo o asinello?

17 Dicembre 2025 0
Roberta Paltrinieri

Nata a Mirandola, è plurilaureata in ambito filosofico, letterario, storico e artistico.

Ha fondato e insegnato per oltre vent’anni nel suo Studio Didattico ed è stata docente per quindici anni nelle scuole pubbliche medie e superiori della provincia modenese. È stata redattrice di testi d’arte e autrice di dispense di argomenti vari. Ha tenuto all’estero seminari e conferenze sull’arte italiana.

Ha collaborato e collabora a vario titolo con docenti universitari in Italia e all’estero.

È ricercatrice indipendente, scrittrice e ghostwriter.

Ha intrapreso la collaborazione con Al Barnardon perché ritiene che la cultura locale in tutte le sue sfaccettature -arte, storia, letteratura, filosofia e tradizioni- sia un patrimonio inestimabile da sostenere e valorizzare.

 L’arca monumentale di Prendiparte Pico in San Francesco a Mirandola – Un’identificazione zoologica, mulo o asinello?

La chiesa di San Francesco a Mirandola racchiude un originale ed enigmatico elemento scultoreo la cui complessa e sfuggente interpretazione ne accresce il fascino.

Quella di Mirandola, tra le prime chiese francescane in Italia, fu edificata probabilmente poco dopo la canonizzazione del Santo (1228) intorno al 1286-1287, come risulta dal testamento di tale Matteo Papazzoni che dispose in quegli anni di esservi sepolto. Eretta all’esterno delle mura, in origine era di piccole dimensioni, sul tipo della Porziuncola, a una sola navata e con tetto a capanna. Riedificata da Costanza di Tommasino Pico, venne riconsacrata nel 1400 e inglobata nel nucleo settentrionale della città dopo l’allargamento delle mura nel XV secolo.

Chiesa di San Francesco a Mirandola

L’interno fu ampliato a tre navate, evidenziate anche sulla grande facciata esterna da due pilastri, con archi acuti e colonne semplici e cruciformi alternate. Nel 1660 fu realizzato un portico esterno a cinque arcate, poi abbattuto nel 1927.

Chiesa di San Francesco prima del 1927

I Pico, particolarmente devoti al Santo di Assisi, elevarono l’edificio religioso a loro Pantheon; infatti all’interno della chiesa si trovavano diverse tombe e memorie funebri di personaggi della famiglia Pico, che negli ultimi tempi venivano inumati in un sepolcro comune del casato nella cripta, purtroppo distrutta e interrata intorno al 1922, della Cappella della Beata Vergine di Reggio. Rimangono invece le quattro tombe monumentali pensili realizzate in tempi più antichi.

Tuttavia nessuno dei Pico riposa ora nella chiesa. Le tombe a muro, profanate e ormai vuote, sono state spostate varie volte nel corso dei secoli prima della collocazione attuale.  Il sarcofago di Prendiparte fu addirittura utilizzato come base della mensa dell’altare maggiore.

Le tombe, allineate e infisse al muro nella parete di settentrione, appar­tengono a Galeotto I (+1499), Prendiparte (+1394), Spinetta (+circa1400) e Giovan Francesco I (+1467); la prima e l’ultima sono rinascimentali, mentre le altre due in stile gotico sono quasi coeve alla ricostruzione quattrocen­tesca della chiesa.

Le arche pensili dei Pico, in San Francesco

Questo tipo di arche monumentali, a cassone pensile, sorrette da mensole e poste sulle pareti interne delle chiese, ebbero grande diffusione in Italia nel 1300. La tomba pichiana più notevole, dal punto di vista artistico e simbolico, è senza dubbio quella di Prendiparte, uno dei più significativi esempi di scultura gotica in Emilia e una delle migliori realizzazioni della bottega dei Dalle Masegne, scultori veneziani. L’autore dell’opera fu Paolo, figlio di Jacobello Dalle Masegne, che si firma, come già nella tomba di Jacopo Cavalli a Venezia, in un piccolo marmo murato sotto l’arca, che riporta in volgare: “Quest’opera de talio è fatta in preda – un Venician la fé ch ’à nome Polo – nato di Jacomel ch‘à taia preda”.

L’arca monumentale pensile di Prendiparte Pico

L’arca presenta una serie di rilievi e sculture di vigorosa concezione e abilissima fattura. La statua del defunto a grandezza naturale, adagiata su di un sudario arricciato e con il capo sopra un cuscino a fiocchi, è distesa sulla parte anteriore del coperchio dell’urna, rivestita con l’armatura da soldato. Prendiparte fu infatti un valente capitano d’armi al servizio dei Visconti e podestà di Milano, Brescia, Pavia, oltre che signore di Mirandola.  

Tomba di Prendiparte Pico, disegno fronte, prima del 1806

La parte anteriore del sarcofago, divisa in tre pannelli, mostra nello spazio centrale un pregevole gruppo che ritrae il Lamento davanti alla Croce. All’angolo destro si trova la statua di S. Antonio abate con ai piedi un maiale e in mano un campanello e un libro, mentre all’angolo sinistro è collocata la possente figura di S. Cristoforo con il Bambino Gesù sulle spalle e un ramo di palma in mano.

Tomba di Prendiparte Pico, disegno lati, prima del 1806

Ai lati il sarcofago è decorato da motivi simbolici: sulla destra sono scolpiti lo stemma della famiglia, le iniziali di Prendiparte e un cane che sovrasta un cimiero.

Ma è ciò che si trova raffigurato sul lato sinistro che richiede una più attenta analisi per poterne dare un’interpretazione corretta. Qui si può osservare, a basso e altorilievo, un animale da soma prostrato a terra sotto il peso del carico con al di sopra uno svolazzante cartiglio che riporta un’enigmatica iscrizione, elemento che merita una successiva trattazione a parte.

Tomba di Prendiparte Pico, lato sinistro, con animale da soma

Il primo quesito da definire è di quale animale si tratti, quindi un’identificazione zoologica. Il Ceretti scrisse che si trattava “di una mula caduta a terra”, affermazione ripresa poi anche dal Cappi. Partendo dal presupposto che appare piuttosto difficile distinguere da una scultura a rilievo se si tratti di un mulo o di un asino, ancor più difficile, anzi impossibile, è individuarne il genere. Non potendo riferirsi a fonti storiche comprovate, la questione deve essere valutata in base a un’indagine iconografica e iconologica, cioè il confronto con altre immagini, il riferimento a fonti testuali e il simbolismo. In ambito religioso e nell’arte a soggetto sacro medievale è di gran lunga più frequente incontrare raffigurazioni dell’asino rispetto al mulo, per una serie di motivi radicati nelle Sacre Scritture e nella simbologia cristiana. La presenza dell’asino non era casuale, ma veicolava messaggi teologici profondi spesso in contrasto con la sua percezione mondana. Questo animale infatti era portatore di un forte simbolismo di fede cristiana, rappresentando l’umiltà e la mitezza. Il ruolo più significativo dell’asino, molto più centrale nella narrazione biblica di quanto si immagini, è collegato a vari episodi della vita di Gesù, raffigurati anche nei grandi capolavori del XIV secolo di artisti come Giotto, Duccio di Buoninsegna o Pietro Lorenzetti. I vangeli apocrifi riportano che la Vergine Maria, in attesa di Gesù, fu costretta a intraprende il viaggio verso Betlemme sul dorso di un asinello, con Giuseppe al suo fianco, a causa del censimento ordinato dall’imperatore Augusto.

Maestro di Castelseprio, viaggio a Betlemme, Santa Maria foris portas, Castelseprio, IX-X  sec.

L’asino è presente inoltre nella Natività: sempre nei vangeli apocrifi è menzionato con il bue per riscaldare il Bambino Gesù. Se il bue rappresentava il popolo eletto, l’asino indicava i gentili, i pagani, e insieme designavano l’unione dei popoli davanti al Messia.

Giotto, nativita, Basilica inf. di S.Francesco, Assisi, 1310 circa

Durante la fuga in Egitto l’asino condusse la Sacra Famiglia in salvo dalla tragica ira di Erode, indicando servizio, devozione e umile fatica

Giotto, fuga in Egitto, Cappella degli Scrovegni, Padova, 1303-1305

Più tardi all’ingresso a Gerusalemme, la domenica delle Palme, Gesù cavalcava un’asina (Matteo 21, 1-7), adempiendo alla profezia di Zaccaria (9,9) che annunciava un Messia che sarebbe giunto in umiltà su di un asino, sicuramente una scelta simbolica anziché arrivare su di un cavallo, cavalcatura regale e bellicosa, nonché emblema di orgoglio e fierezza. Gesù scelse dunque l’asino, animale da fatica e di pace, per sottolineare con forza la sua estrema Humilitas, umiltà.

Duccio di Buoninsegna, Ingresso di Cristo a Gerusalemme, Museo del Duomo, Siena, 1308-1311

Inoltre San Francesco, nella prima rappresentazione della Natività nel 1223 a Greccio, volle l’asinello e il bue per rendere più concreta e toccante la scena, in ossequio alla tradizione popolare e ai vangeli apocrifi che li indicavano come testimoni dell’evento. Gli animali simboleggiavano anche la modestia, la povertà e l’obbedienza alla volontà di Dio, come richiama anche la profezia di Isaia (1,3) che afferma: “il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone”. Tali parole furono poi interpretate proprio per giustificare la presenza di bue e asinello nel presepe come simbolo di coloro che riconoscono il Messia. In un ulteriore episodio biblico l’asina di Balaam (Numeri, 22) vede l’angelo di Dio e inizia a parlare per avvertire il profeta. L’animale riconosce Dio prima dell’uomo stesso e dunque incarna saggezza e sottomissione al volere divino.

L’asino assumeva connotazioni ambigue, come spesso indicato nei bestiari medievali, solo quando non era associato a Cristo o ai santi. In tali contesti laico-popolari o sacrilegi poteva dunque rappresentare valori negativi come ignoranza, ottusità o pigrizia, mentre nell’arte sacra o in campo religioso incarnava unicamente qualità positive come modestia, bontà, sacrificio.

Al contrario il mulo, molto sfruttato nella vita quotidiana in quanto più robusto e resistente dell’asino, in ambito cristiano rivestiva un significato assai negativo. Essendo un ibrido sterile veniva associato a concetti di ingratitudine, stoltezza, volubilità e colpa. Dal punto di vista simbolico, essendo appunto un ibrido sterile, aveva connotazioni di impotenza e aridità spirituale che rendevano l’animale del tutto inadeguato a rappresentare ideali di salvezza o purezza. L’infecondità o mancanza di frutto, l’impurità, il peccato sono connotazioni simboliche aspramente negative per cui il mulo era ritenuto inadatto a personaggi o episodi collegati alla vita e alla missione di Gesù. Inoltre per l’assenza di riferimenti nella narrazione biblica non godeva certo della stessa legittimazione iconografica dell’asino e nell’arte sacra fu sempre considerato una figura scomoda e problematica. Compariva solo in scene specifiche per veicolare un significato metaforico negativo, come nell’episodio della mula di sant’Antonio da Padova dove rappresenta l’infedeltà e l’ostinazione che solo in seguito vengono convertite. Nell’arte profana invece, come emblema di resistenza, forza e passo sicuro, il mulo raffigurava la vita rurale e il viaggio non a scopo religioso.

Tomba di Prendiparte Pico, particolari

In quanto monumento funebre collocato in un edificio di culto l’arca pensile di Prendiparte Pico, molto credente poiché come riporta l’epitaffio “morì ben contrito e confessato”, richiedeva immagini che riflettessero la santità del luogo e il rispetto della fede e del defunto, escludendo quindi raffigurazioni profane o inappropriate. Per tale motivo appare assolutamente razionale ritenere che l’animale scolpito sia un asino, proprio a seguito dei riferimenti biblici, delle comparazioni iconografiche e del contesto. A ciò si aggiunge inoltre l’importante riscontro di San Francesco, titolare della chiesa, che volle la presenza dell’asinello nella rappresentazione del  presepe, elevandone la figura in un ambito religioso di assoluto valore. 

BIBLIOGRAFIA

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