Roberta Paltrinieri – Perle di cultura – La misteriosa colonna ofitica di Santa Maria della Neve a Quarantoli

Nata a Mirandola, è plurilaureata in ambito filosofico, letterario, storico e artistico.
Ha fondato e insegnato per oltre vent’anni nel suo Studio Didattico ed è stata docente per quindici anni nelle scuole pubbliche medie e superiori della provincia modenese. È stata redattrice di testi d’arte e autrice di dispense di argomenti vari. Ha tenuto all’estero seminari e conferenze sull’arte italiana.
Ha collaborato e collabora a vario titolo con docenti universitari in Italia e all’estero.
È ricercatrice indipendente, scrittrice e ghostwriter.
Ha intrapreso la collaborazione con Al Barnardon perché ritiene che la cultura locale in tutte le sue sfaccettature -arte, storia, letteratura, filosofia e tradizioni- sia un patrimonio inestimabile da sostenere e valorizzare.

La misteriosa colonna ofitica di Santa Maria della Neve a Quarantoli
Nella pieve romanica di Santa Maria della Neve a Quarantoli di Mirandola è conservato un manufatto architettonico rilevante sia per la forma che per la rarità di esemplari: una colonna ofitica. La caratteristica che contraddistingue questo originale elemento è l’impossibilità di attribuirvi un’interpretazione univoca in quanto collegato a vari e differenti significati, anche esoterici.
La chiesa, eretta già nel IX secolo e documentata fin dal 1044, venne interamente rifatta, secondo i canoni dell’architettura romanica, nel XII secolo per iniziativa di Matilde di Canossa. Dopo i restauri quattrocenteschi, nel 1670 la pieve fu trasformata seguendo il gusto barocco ancora distinguibile in facciata.
L’edificio attuale è una ricostruzione dovuta ai discussi interventi di restauro dell’arciprete don Alberto Fedozzi fra il 1915 e il 1945, che da un lato cercarono di evidenziare le caratteristiche romaniche, ma dall’altro apportarono modifiche piuttosto radicali come il presbiterio con deambulatorio di ispirazione ravennate. La reale struttura della chiesa romanica presenta una pianta basilicale a tre navate con tetto a capriate, mentre i muri perimetrali e i colonnati interni sono stati rifatti.
Gli elementi più interessanti, ascrivibili alla fase originaria della pieve, sono gli arredi scultorei: il pulpito, poggiante su due telamoni in pietra, con murate sculture romaniche raffiguranti i simboli dei quattro Evangelisti, databili tra il XII e il XIII secolo, attribuite alla scuola di Wiligelmo; una loggia costruita con capitelli a stampella di reimpiego su colonnine provenienti verosimilmente da un chiostro scomparso. Particolarmente singolare è l’altare maggiore, composto da elementi di sicura pertinenza della pieve. Costruito in modo semplice, l’altare è formato da una mensa in pietra da taglio, con incisa in cifre romane “MCXIIII indictione VIII-XVII Kalendis decembris”, 15 novembre 1114 data della consacrazione, sorretta da due pilastrini tardo-romanici di pregevole fattura, attribuiti a maestranze attive nel cantiere del duomo di Modena. Il raffinato pilastrino di sinistra è sormontato da un capitello cubico finemente inciso con fogliame inclinato. Il pilastrino di destra è senza dubbio il più peculiare: presenta un capitello a volute con una netta decorazione di foglie e rami che poggia su colonne ofitiche o annodate.
Per colonne ofitiche o, altrimenti dette annodate, si intende un elemento architettonico composto da due colonne unite da un nodo piano; il termine ofitico deriva dal greco ophis, cioè serpente, al quale può vagamente somigliare l’attorcigliarsi del nodo ai due elementi scultorei.
Gli esempi conosciuti di colonne ofitiche si trovano praticamente tutti in edifici religiosi di epoca romanica. Oltre alla pieve di Santa Maria della Neve, uno degli esempi più antichi assieme alla pieve di Gropina in provincia di Arezzo, troviamo queste colonne anche in altri rilevanti luoghi di culto come, per ricordare solo i più vicini territorialmente, il duomo di Modena e quello di Ferrara, le basiliche di San Zeno a Verona e San Marco a Venezia, le abbazie cistercensi di Chiaravalle milanese e di Chiaravalle alla Colomba in provincia di Piacenza e la chiesa di San Michele a Pavia.
Le notizie riguardo questa particolare tipologia sono parecchio scarse, essendo passata quasi inosservata o superficialmente indicata come un artificio ornamentale creato dall’inventiva dell’esecutore.
Tuttavia durante il medioevo la colonna non rappresentava solo un elemento strutturale o decorativo, ma richiamava molteplici significati. Per tale ragione la colonna ofitica riveste uno specifico interesse.
Ci si domanda infatti quali interpretazioni attribuire a questa tipicità architettonica, abbastanza rara e circostanziata a specifiche zone, quali contenuti poteva rappresentare per i contemporanei. La spiegazione più facilmente deducibile del significato delle colonne ofitiche deriva dalla loro territorialità poiché possono essere state utilizzate come “segno distintivo” da una maestranza o da una determinata famiglia di costruttori o scalpellini comacini. In effetti queste colonne si trovano ovunque i maestri comacini prestarono le loro abilità costruttive ed artistiche, divenendo quindi una materializzazione della loro presenza lavorativa. Ma chi erano questi artigiani-artisti?
I maestri comacini erano maestranze edili, muratori, scalpellini, stuccatori e scultori, attive soprattutto tra il VII e il XIII secolo, originarie dell’area compresa tra il lago di Como, da cui l’etimologia, e il Canton Ticino.
Le prime testimonianze dei comacini risalgono al VII secolo, quando vengono citati dal re longobardo Rotari prima nel suo Editto del 634 poi nelle Leggi Longobarde del 643, dove sono indicati come lavoratori del sacro.
I comacini erano artigiani itineranti: si spostavano, soprattutto nel nord e centro Italia, ma anche in Svizzera, Germania e Francia, spesso lungo le vie di pellegrinaggio, diffondendo tecniche costruttive e stile decorativo.
Di grande suggestione era il loro apparato ornamentale caratterizzato da decorazioni a intreccio, motivi geometrici, capitelli scolpiti con figure chimeriche, zoomorfe, telamoni e simboli cristiani. Tra gli elementi iconografico-allegorici i maestri comacini prediligevano motivi vegetali, labirinti e colonne, in particolare quelle ofitiche.
Questi mastri artigiani lavoravano in anonimo ma, oltre alla riconoscibilità stilistica, negli edifici romanici nei quali operarono sono presenti le colonne ofitiche, che possono dunque considerarsi come una firma scultorea.
Una seconda interpretazione di questa singolarità architettonica è correlata alla posizione negli edifici di culto.
Alle colonne ofitiche viene infatti associata una funzione apotropaica o di protezione per la loro presenza nei punti di accesso o di confine dello spazio sacro. L’analisi dei luoghi in cui sono state rinvenute ha evidenziato una modalità d’uso che si collega direttamente alla funzione apotropaica. Infatti le colonne ofitiche si trovano essenzialmente lungo il “limen sacro”, cioè nel portale d’ingresso, nelle bifore perimetrali o nel confine dello spazio del chiostro, sottolineando quindi un intento protettivo da influenze negative o spiriti maligni, connesso a tradizioni religiose e mistiche antiche.
Lo scopo simbolico di proteggere il luogo del culto e allontanare gli spiriti del male collega le colonne ofitiche al potente archetipo biblico delle mitiche Jachim e Boaz, le colonne del Tempio di Salomone a Gerusalemme. Queste delimitavano il vestibolo dell’edificio sacro (I Re 7, 15-22; 2 Cr 3, 15-17) e, oltre a proteggere il Tempio, segnavano metaforicamente anche il confine iniziatico tra la terra e l’oltretomba.
Un esempio della funzione di separazione tra il mondo dei vivi e quello dei morti attribuito alle colonne ofitiche si può osservare nel duomo di Modena. Qui le colonne sono poste all’ingresso laterale, nella cosiddetta Porta Regia, che delimita il duomo dall’attuale Piazza Grande nel cui sottosuolo si trovava la più estesa necropoli romana della città.
Un’altra spiegazione del significato e della presenza di queste colonne è data dal nodo piano che le caratterizza.
Considerato come la raffigurazione del nodo di Salomone, anche il nodo piano era interpretato come un simbolo di protezione, una sorta di barriera, in quanto anticamente gli intrecci geometrici da cui era formato si riteneva possedessero l’occulto potere di disperdere stregonerie e malefici.
Questo tipo di nodo usato dalle maestranze romaniche era riferibile sia al biblico nodo di Salomone che a quello di Ercole essendo i due intrecci praticamente interscambiabili nella forma. Il nodo del mitico eroe greco risultava probabilmente più popolare; infatti numerose raffigurazioni romane mostravano Ercole che, terminata la prima fatica, si annodava al collo la pelle del leone di Nemea. Sin dall’antichità al nodo di Ercole, rappresentato nelle case e in battaglia, era attribuita una funzione apotropaica nell’allontanare il pericolo e le forze del male, particolarità che mantenne anche dopo l’avvento del cristianesimo.
Il timor di Dio sempre presente nella quotidianità delle genti del medioevo e la speranza in una vita migliore nell’aldilà motivavano una profonda devozione che si manifestava anche nei pellegrinaggi per la salvezza dell’anima.
A questo aspetto può collegarsi un’ulteriore accezione delle colonne ofitiche. In base agli edifici in cui furono collocate potrebbero rappresentare una sorta di “landmark”, di indicatori di luoghi di culto considerati di particolare rilievo.
Come si evince facilmente dall’insieme degli edifici religiosi riportati in cui lavorarono i maestri comacini, il loro rilievo può essere riferibile sia alla valenza per il territorio e la comunità religiosa di riferimento che per la vicinanza alle grandi vie di pellegrinaggio, fortemente frequentate durante il medioevo.
Al di là di tutti i concetti e le interpretazioni affrontate finora, il valore spirituale di questo elemento architettonico è senza dubbio il più importante.
La colonna ofitica racchiuderebbe infatti un elevato significato cristologico: nelle fonti bibliche Cristo è definito un Tempio che racchiude il concetto di Sacro (Giovanni 2, 19-21). Cristo è Colui che sconfigge il male, quindi incarna totalmente la funzione apotropaica evocata architettonicamente presso il limen sacro.
La colonna ofitica è dunque immagine di Cristo: è Lui il nodo che unisce la terra e il cielo attraverso la Sua duplice natura, umana e divina.
Inoltre le due colonne e il nodo che le serra sono state simbolicamente interpretate come gli elementi del mistero della Trinità divina. C’è un solo Dio in tre persone, c’è un solo elemento architettonico in tre parti: Padre e Figlio sono rappresentati dalle colonne, solide e protese verso il cielo, l’aldilà spirituale, mentre il nodo rappresenta la Spirito Santo, l’amore divino che unisce ed eleva.
Anche il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio è presente nelle colonne annodate. In Cristo si condensano due nature, la divina e l’umana, raffigurate dalle colonne, ma c’è una sola Persona, quella divina, resa visibile dal nodo che unisce le due nature.
In questo contesto spirituale il nodo potrebbe essere anche interpretato come l’immagine della solida unione tra gli uomini di fede, con gli ideali religiosi che testimoniano, e Dio. Inoltre poiché queste colonne si trovano in varie abbazie, il nodo potrebbe vieppiù confermare e sostenere il vincolo reciproco che sorregge i monaci nella loro attestazione di fede e conformità alla regola.
Oltre l’intrinseco significato teologico, non ci è dato evincere lo scopo che il pilastrino con colonna ofitica rivestiva al momento in cui fu collocato in Santa Maria della Neve. Infatti in una fotografia di fine XIX inizio XX secolo del Catalogo generale dei beni culturali si vede il pilastrino addossato ad una parete; solo in seguito fu utilizzato come supporto per la mensa dell’altare. Non sappiamo quindi se la colonna ofitica fosse posta presso il portale d’ingresso per adempiere alla funzione di protezione; se abbia solamente testimoniato la presenza dei maestri comacini nella zona o confermato l’importanza della pieve per la comunità locale così come per i viaggiatori per la vicinanza alle grandi vie di pellegrinaggio. È tuttavia innegabile come, indipendentemente dalla funzione originaria, la presenza di questa tipicità architettonica impreziosisca ancor più la pieve di Quarantoli.
Auspichiamo di rivedere al più presto ripristinato questo mirabile esempio di romanico emiliano che ad oggi porta ancora i gravi segni del terremoto del 2012.
BIBLIOGRAFIA
Cfr per la Pieve di Santa Maria della Neve:
- La Pieve di Santa Maria della Neve in Quarantoli secolo XII. Guida storico artistica, Editrice Teic, Modena, 1972
- Pieve di Santa Maria della Neve a Quarantoli di Mirandola, in Ars Romanica, 6 aprile 2012 (in www.romanico-emiliaromagna.com)
Cfr per i maestri comacini:
- C. Tosco, L’architettura medievale in Italia. 600-1200, Bologna, Il Mulino, 2016
- W. Ravenscroft, The Comacines: their predecessors and they successors, Forgotten Books, 2018
- F. Reggiori, Comacini Maestri, in Enciclopedia Treccani.it
Cfr per le colonne ofitiche o annodate:
- Quarantoli, Mo, chiesa parrocchiale, frammenti di sculture. Riprese della pieve di Santa Maria della Neve di Quarantoli durante i restauri (8 lastre), in Catalogo Generale dei Beni Culturali
- M. Uberti, L’enigmatica colonna annodata, in www.duepassinelmistero.com
- S. Corrente Naso, Le colonne ofitiche, funzione e simbologia, in Simboli, 28/12/2014
- F. Folloni, Misteri modenesi. Le colonne annodate e i segreti esoterici di San Geminiano, in Modena Today, 22/07/2016
- Italia nell’arte medievale, Il duomo di Modena, in www.medioevo.org
- Valente Moretti, Il pulpito di Gropina. Una splendida meditazione sulla vita di fede, Calosci ed., Cortona, 2004

toscani alberto
Articolo molto interessante vorrei verificare se ne parlò Cappi o se si trova trattato l’argomento in tesi di Federica Covezzi” Quarantoli sculture in movimento “
19 Settembre 2025