Renzo Ugolini
Le tele del pittore Renzo Ugolini… ai caffè…
di Remo Romeo Vellani
Renzo Ugolini, o meglio: Ugolini Renzo, così firmava le sue opere. Passo svelto, magro, sguardo attento e simpaticamente curioso. Portava abiti sempre lisi, come se avesse addosso una fame antica. Ma era una semplice impressione, i vestiti non erano affatto consunti e la fame, era da gran tempo dimenticata.
Forse, però, c’era ma veniva da lontano, da quando ancor bambino con la sua famiglia abitava nel “Casinone” di San Giacomo Roncole. Teneva sempre un cammino lesto, spalle leggermente incurvate come se il peso che portava le tirasse giù, il pittore percorreva il “listone” (così i mirandolesi chiamano la pista centrale riservata ai pedoni) di Piazza Costituente, la piazza nobile di Mirandola, esattamente di fronte ai resti del castello che fu di Giovanni Pico.
Il peso che portava era poca cosa: una o due tele da pittore o, in alternativa, qualche “pezzo” di legno compensato. Così lo ricordo, insieme a tanti amici mirandolesi.
Negli anni sessanta e settanta del secolo scorso, questa scena si ripeteva spesso. Il protagonista era infatti l’Ugolini pittore di amabili e ricche composizioni di fiori di campo.
I suoi “fiori”, soggetto che prediligeva rispetto ad altri come paesaggi o scene di caccia, erano carichi dei colori dei fiori che crescevano “selvatici” nei prati e nei fossi della campagna della sua Mirandola e sbordavano da anfore o da vasi sbilenchi e appena abbozzati.
Era sui fiori che Renzo amava indugiare, curare i particolari e trasferiva i colori che “rubava” alla natura.
I campi di frumento davano i gialli; dai papaveri selvatici coglieva le tonalità dei rossi; dalle siepi di salice della valle, dai campi di granoturco e dalle viti riprendeva le mille variazioni del verde; dalle margherite e dalle farfalle copiava i “bianchi” e tutti gli altri colori.
Di Ugolini pittore ero amico. Non è più di questo mondo. Qualche anno fa ci ha lasciati e destino cinico, per un pittore, una crudele malattia gli aveva impedito di continuare a dipingere già da diversi anni.
Delle sue opere nessun editore ha mai pubblicato un catalogo. Non un gallerista, anche di quelli più scalcinati, gli ha mai dedicato una rassegna, nemmeno l’assessorato alla cultura del suo comune, in tanti anni, ha mai pensato di onorarlo e ricordarne, in qualche maniera, la sua opera.
Eppure sono molte le famiglie di mirandolesi e delle località vicine, forse centinaia, che hanno appeso alle pareti delle proprie case le opere di Ugolini Renzo. E nessuno accetta di cederle, venderle o disfarsene.
Sì! È una vera colpa che di questo nostro concittadino pittore non se ne parli. Ugolini faceva parte, e le sue opere ne restano fedele e generosa testimonianza, di quell’ampia schiera di artisti senza estesa.
STRAORDINARIE ABILITA’ MANUALI DI RENZO UGOLINI, NON SOLO QUANDO DIPINGEVA
di Italo Bassoli
Dei tanti ricordi che ho di Renzo Ugolini dirò di due che mi sembrano significativi. Uno per raccontare delle sue straordinarie abilità manuali, non solo quando dipingeva. L’altro per testimoniare del suo strano rapporto con il denaro.
Verso la metà degli anni sessanta (quindi oltre 40 anni fa) la mia numerosa famiglia aggiunse due stanze alla nostra piccola casa di Cividale. Una di queste era la camera da letto mia e di mia moglie. Bisognava metterci i mobili e il denaro era pochissimo.
Ne parlai con Renzo. “Nessun problema”, mi disse: “Vieni con me”. Andammo in un mobilificio di Cavezzo dove comprammo diversi pezzi grezzi di legname che Ugolini montò ricavandone un grande armadio, (due piani, 5 ante per piano, con cassetti incorporati per ovviare all’acquisto del comò). Poi lo dipinse di un verde veneziano, con finitura di porporina color oro e decalcomanie a motivi floreali sulle ante. Poi fece i due comodini e la toilette, con relativa specchiera. Tutto in stile veneziano.
Per quanto riguarda il letto: mi portò da un fabbro e sulla “cementata” antistante la bottega, con un gesso, disegnò sul pavimento le volute che l’artigiano ricalcò con tondini di ferro ricavandone le testate che Renzo completò battendo le punte, appiattendole, dipingendo il tutto con colori verde e oro.
Nei giorni in cui fece il lavoro, (io ero solo il garzone, incantato dell’abilità con cui risolveva i tanti problemi pratici che via via si presentavano), ospitammo Renzo a pranzo e a cena. Durante quelle soste conviviali parlava, parlava, raccontando cose strampalate che lui riteneva vere e noi ci guardavamo bene dal richiamarlo alla realtà. Lo lasciavamo sognare e ciò, credo, lo gratificava molto.
Il secondo ricordo: dei molti dipinti di cui via via ero venuto in possesso, ne ho conservati due. Gli altri li ho regalati. Per me uno è molto bello e ha un grande valore affettivo. Rappresenta un mazzo di fiori.
Ricordo che lo dipinse di getto, come era normale per lui. Aveva dipinto il quadro per regalarmelo. In diversi, successivamente, mi dissero, Renzo rifiutò di venderlo perché diceva: “L’ho fatto per regalarlo a Italo”. Fui fortunato perché non incontrò nessuno che gli proponesse di giocarselo a biliardo o a carte. Non volle che glielo pagassi.
La ragione di ciò, probabilmente, ha a che fare con l’abitudine del gioco. Quando Ugolini aveva in tasca un po’ di denaro veniva nel “Caffè degli Asini”, che era il bar che frequentavo anch’io. Trovava senza eccezione qualcuno con cui giocare a biliardo. L’ho sempre visto perdere. Quando vinceva concedeva la “pari” sino a quando perdeva ciò che aveva vinto (così, ricordo, che fece al “Caffé Piombi”, allora gestito da Michele, quando ad un noto industriale di Concordia vinse la fuoriserie).
Il fatto, brutto, era che fino a quando Ugolini aveva del denaro coloro che giocavano con lui lo “gasavano” con complimenti ed apprezzamenti, quando, poi, rimaneva senza soldi lo umiliavano. Non tutti, ma quasi, si comportavano così. Più di una volta, non sopportando lo spettacolo, con la scusa di fargli prendere un caffè lo chiamavo fuori dalla sala del biliardo e gli allungavo un po’ di denaro facendomi promettere che avrebbe smesso di giocare prima di finirlo. E me ne andavo. In seguito mi informavo se aveva mantenuto la promessa. Sì, l’aveva mantenuta. Sempre.
Tratto da “Burgus Furus (Borgo Furo) San Giacomo Roncole Anno 2007
Gaetano
Ho un suo quadro vorrei sapere se oggi che valore ha?
5 Giugno 2022