Massa Finalese
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1898 - Castello Carrobbio - Massa Finalese
Su di un dosso, emergente dalle paludi della Bassa Modenese, alcuni affermano esistesse, fin dai tempi di Roma, un piccolo villaggio: l’ipotesi deriva dal ritrovamento, nella zona dove oggi è l’abitato di Massa, di resti di un notevole insediamento romano, risalente ai primi secoli dell’Era Volgare (avanzi di terrecotte, di urne cinerarie, nonché di monete recanti l’effigie di Ottaviano Augusto o di Marco Agrippa, o della moglie di Giulio Filippo l’Arabo, ecc.). Il pagus sarebbe poi andato distrutto con le invasioni barbariche.
E comunque certo che un luogo abitato esisteva all’inizio del IX secolo: lo conferma un documento, datato 1 novembre 811, con il quale Gisone, Vescovo di Modena, concedeva in enfiteusi a cinque agricoltori alcune terre (con edifici e boschi) situate in territorio di Massa (il cui etimo, appunto, sta ad indicare «un insieme di fondi rustici, una massa agricola di terre e di contadini»).
In una pergamena del 998 (nella quale per la prima volta, è citato il nome di Massa), si parla della donazione di una «massariccia» (fondo) da parte del Vescovo al Monastero di San Pietro, donazione accresciuta nel 1009 e nel 1025.
Si può, quindi, dedurre che «la località di Massa cominciò a profilarsi nella pianura padana con le sue case e la sua popolazione verso il 1000, prima ancora che sorgessero altri grossi centri, quali Cento, Bondeno e la stessa Finale. Fu una specie di sentinella avanzata, fondata, secondo la tradizione dei monaci di Santo Spirito di Ferrara, perché rendesse bella e feconda di prosperità e lavoro una terra paludosa e incolta qual era allora la valle del Po. Nei primi anni della sua esistenza, l’importanza di Massa fu assai superiore a quella che ebbe poi appresso» (Don Volpi).
Come ogni centro urbano che si rispetti, anche Massa (luogo allora preminente nel territorio, posto a metà strada — circa 6 Km — tra San Felice ad ovest e Finale ad est) ebbe l’onore di possedere un castello, di proprietà del Vescovo di Modena, poi della contessa Matilde di Canossa, di nuovo del Vescovo, che, nel 1227, lo cedette al Comune di Modena: l’edificio, progressivamente decaduto, andò, infine, distrutto nel 1345, ad opera di Paolo Pico della Mirandola.
Anche Massa, ovviamente, dovette subire la guerriglia in varie epoche: quella tra guelfi e ghibellini e quella tra i potenti: Pico, Gonzaga, Estensi. Questi ultimi, nel 1330, la spuntarono definitivamente, con l’ausilio del Legato Pontificio, che loro concesse «in feudo perpetuo il Finale» e, con esso, l’ormai soggetta Massa, la quale, da allora appunto, degli Estensi (di Ferrara e, poi, di Modena) seguì le sorti.
La primitiva chiesa di Massa era dedicata a Santa Maria e sorgeva, presso il castello, in località «Le Motte» (ora il Motto). Gravemente danneggiata dall’incursione di Paolo Pico nel 1345, fu sostituita, nel 1385, da un’altra, dedicata a San Geminiano e della quale non rimangono che quattro lapidi, murate nell’attuale facciata, che ne ricordano gli eventi; nella prima si legge: «1385 a dì 15 marzo questa giescia de Messer Santo Zeminiano da Massa à fatto fare Aldrovandino e Giacomo fratelli di Rangone. Guizzardo Diagengo è stato aggiunto a fare questa pesa»; la seconda così recita: «D.O.M. Questo tempio già eretto dai suoi antenati, ora per troppa vetustà cadente, il conte Ugo Rangoni, vescovo di Reggio Emilia e principe, ha restaurato in forma più grande ed elegante, per la sua mirabile devozione verso San Geminiano. 1° agosto 1538». La terza lapide, in latino, ricorda la costruzione della navata di sinistra: «D.O.M. La famiglia Rangoni, cui, da tempo remoto, compete il diritto di patronato, fece restaurare, ampliare e ornare questo sacro tempio, dedicato, da lungo tempo, al glorioso vescovo Geminiano patrono dei Modenesi, nell’anno 1731». La quarta lapide, in latino, ricorda il rifacimento della facciata: «A Giuseppe Bortolazzi, giureconsulto, cavaliere maurizia- no e della corona d’Italia, che, a sue spese, curò, nel 1895, il rifacimento, in forma nuova, della facciata, da tempo fatiscente, ad opera dell’architetto finalese Giovanni Grossi, l’arciprete vicario teologo Alfonso Baral- di, con grato animo pose».
Prima delle ultime modifiche, la chiesa contava, oltre a quello maggiore, sei altari: santi Zenone, Rocco e Antonio Abate (raffigurati in un quadro scomparso); Beata Vergine di san Luca (quadro pure scomparso); Beata Vergine del Rosario (statua privata di un abito e gioielli rubati dai soldati francesi); san Giovanni Battista (quadro con Erode, Erodiade e Salomè, ora scomparso); ss. Crocefisso (quadro con sant’Antonio da Padova, pure scomparso); san Giuseppe (altare non più esistente). Il tabernacolo dell’altare maggiore possedeva una chiave d’argento, rubata dai francesi. Ed ecco l’interno della chiesa attuale, a tre navate (lunga 35 metri, larga 22, alta 13), dopo le ultime modifiche: l’altare maggiore, dedicato alla Beata Vergine ed a San Geminiano, che sono rappresentati in una grande tela, opera di Carlo Rizzi. Nella navata di sinistra, partendo dall’ingresso, troviamo: il Battistero, la cappella del Sacro Cuore, con una bella ancona di stucco e scagliola, e la cappella dello Sposalizio della Vergine, con grande dipinto, copia dell’originale, di Sigismondo Caula, databile al primo Settecento (interessante la cornice di legno intagliato). Nella navata di destra incontriamo, sempre a partire dall’ingresso della chiesa, quattro cappelle: nella prima un Crocifisso cinquecentesco di ignoto scultore; nella seconda un sant’Antonio da Padova (secondo protettore di Massa) con un’ancona in scagliola, forse dello scagliolista Giovanni Garuti di Staggia (seconda metà dell’ottocento); nella terza una Madonna del Rosario, con ancona a plastificazione in finto marmo, opera forse del già citato Giovanni Garuti; nella quarta un’Immacolata Concezione, posta in un piccolo trono dorato (seconda metà dell’Ottocento).
Nei finestroni dell’abside, nelle finestre della cappella dell Immacolata, in quelle alte della navata centrale e nel rosone spiccano artistiche vetrate rappresentanti: Gesù che scaccia il demonio, la parabola del buon samaritano, l’Annunciazione, le nozze di Cana, il peccato originale, il sacrificio di Isacco, Mosè che attraversa il Mar Rosso, la presentazione di Gesù al tempio, Gesù in croce, la Resurrezione, la Pentecoste.
Il vecchio campanile fu abbattuto e sostituito da uno nuovo, la cui costruzione, iniziata il 29 giugno 1924, venne ultimata nel giugno 1926 con la benedizione impartita dall’Arcivescovo di Bologna, cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca. È a forma quadrata sormontato da un ottagono, da una cuspide e da una croce: il tutto per complessivi metri 41,15 di altezza.
La chiesa di Massa fu la matrice di ben quattro filiali: santi Filippo e Giacomo di Finale, san Girolamo di Codecoppi, san Lorenzo di Casumaro, visitazione di Maria Santissima e santa Elisabetta di Reno Finalese.
Restano, nel territorio parrocchiale, cinque oratori (dei nove esistenti in passato): Santa Maria della Neve,
Il Canaletto, l’Entrà, la Vettora, la Campa.
La decadenza di Massa iniziò con la distruzione del suo castello (1345): il primato esercitato sui territori vicini per tanti anni passò a Finale Emilia. Per ben quattro secoli i rapporti fra massesi e finalesi furono difficili, poiché nei primi perdurava l’orgoglio della superiorità sui secondi. La pacificazione avvenne soltanto nel 1757, ad opera dei rispettivi parroci. Nel secondo dopoguerra Massa conobbe un rilevante progresso economico: allo sviluppo dell’agricoltura si uni quello edilizio e industriale. Da sottolineare la costruzione di uno zuccherificio, all’avanguardia in campo europeo. Non mancano industrie meccaniche, distillerie, colorifici, maglifici ed altro.
A Massa Finalese, a metà agosto, si tiene la «Sagra dell’Anitra». Nell’occasione sono organizzati concorsi di pittura e di fotografia retrospettiva, gare sportive di ciclismo, di pesca, di tiro al piattello, concerti musicali.
Tratto da: Enciclopedia Modenese
Autori: Giancarlo Silingardi – Alberto Barbieri
Anno 1998