Massa Finalese

Massa Finalese

21 Agosto 2024 0

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1898 - Castello Carrobbio - Massa Finalese

Su di un dosso, emergente dalle paludi della Bassa Modenese, alcuni affermano esistesse, fin dai tempi di Roma, un piccolo villaggio: l’ipotesi deriva dal ritrova­mento, nella zona dove oggi è l’abitato di Massa, di re­sti di un notevole insediamento romano, risalente ai primi secoli dell’Era Volgare (avanzi di terrecotte, di urne cinerarie, nonché di monete recanti l’effigie di Ottaviano Augusto o di Marco Agrippa, o della moglie di Giulio Filippo l’Arabo, ecc.). Il pagus sarebbe poi andato distrutto con le invasioni barbariche.

E comunque certo che un luogo abitato esisteva all’i­nizio del IX secolo: lo conferma un documento, datato 1 novembre 811, con il quale Gisone, Vescovo di Mo­dena, concedeva in enfiteusi a cinque agricoltori alcune terre (con edifici e boschi) situate in territorio di Mas­sa (il cui etimo, appunto, sta ad indicare «un insieme di fondi rustici, una massa agricola di terre e di conta­dini»).

In una pergamena del 998 (nella quale per la prima volta, è citato il nome di Massa), si parla della donazio­ne di una «massariccia» (fondo) da parte del Vescovo al Monastero di San Pietro, donazione accresciuta nel 1009 e nel 1025.

Si può, quindi, dedurre che «la località di Massa co­minciò a profilarsi nella pianura padana con le sue case e la sua popolazione verso il 1000, prima ancora che sorgessero altri grossi centri, quali Cento, Bondeno e la stessa Finale. Fu una specie di sentinella avanzata, fon­data, secondo la tradizione dei monaci di Santo Spirito di Ferrara, perché rendesse bella e feconda di prosperi­tà e lavoro una terra paludosa e incolta qual era allora la valle del Po. Nei primi anni della sua esistenza, l’im­portanza di Massa fu assai superiore a quella che ebbe poi appresso» (Don Volpi).

Come ogni centro urbano che si rispetti, anche Mas­sa (luogo allora preminente nel territorio, posto a metà strada — circa 6 Km — tra San Felice ad ovest e Fina­le ad est) ebbe l’onore di possedere un castello, di pro­prietà del Vescovo di Modena, poi della contessa Ma­tilde di Canossa, di nuovo del Vescovo, che, nel 1227, lo cedette al Comune di Modena: l’edificio, progressi­vamente decaduto, andò, infine, distrutto nel 1345, ad opera di Paolo Pico della Mirandola.

Anche Massa, ovviamente, dovette subire la guerri­glia in varie epoche: quella tra guelfi e ghibellini e quella tra i potenti: Pico, Gonzaga, Estensi. Questi ul­timi, nel 1330, la spuntarono definitivamente, con l’ausilio del Legato Pontificio, che loro concesse «in feudo perpetuo il Finale» e, con esso, l’ormai soggetta Massa, la quale, da allora appunto, degli Estensi (di Ferrara e, poi, di Modena) seguì le sorti.

La primitiva chiesa di Massa era dedicata a Santa Maria e sorgeva, presso il castello, in località «Le Mot­te» (ora il Motto). Gravemente danneggiata dall’incur­sione di Paolo Pico nel 1345, fu sostituita, nel 1385, da un’altra, dedicata a San Geminiano e della quale non rimangono che quattro lapidi, murate nell’attuale facciata, che ne ricordano gli eventi; nella prima si leg­ge: «1385 a dì 15 marzo questa giescia de Messer San­to Zeminiano da Massa à fatto fare Aldrovandino e Giacomo fratelli di Rangone. Guizzardo Diagengo è stato aggiunto a fare questa pesa»; la seconda così reci­ta: «D.O.M. Questo tempio già eretto dai suoi antena­ti, ora per troppa vetustà cadente, il conte Ugo Rangoni, vescovo di Reggio Emilia e principe, ha restaurato in forma più grande ed elegante, per la sua mirabile de­vozione verso San Geminiano. 1° agosto 1538». La terza lapide, in latino, ricorda la costruzione della na­vata di sinistra: «D.O.M. La famiglia Rangoni, cui, da tempo remoto, compete il diritto di patronato, fece re­staurare, ampliare e ornare questo sacro tempio, dedi­cato, da lungo tempo, al glorioso vescovo Geminiano patrono dei Modenesi, nell’anno 1731». La quarta lapi­de, in latino, ricorda il rifacimento della facciata: «A Giuseppe Bortolazzi, giureconsulto, cavaliere maurizia- no e della corona d’Italia, che, a sue spese, curò, nel 1895, il rifacimento, in forma nuova, della facciata, da tempo fatiscente, ad opera dell’architetto finalese Gio­vanni Grossi, l’arciprete vicario teologo Alfonso Baral- di, con grato animo pose».

Prima delle ultime modifiche, la chiesa contava, ol­tre a quello maggiore, sei altari: santi Zenone, Rocco e Antonio Abate (raffigurati in un quadro scomparso); Beata Vergine di san Luca (quadro pure scomparso); Beata Vergine del Rosario (statua privata di un abito e gioielli rubati dai soldati francesi); san Giovanni Batti­sta (quadro con Erode, Erodiade e Salomè, ora scom­parso); ss. Crocefisso (quadro con sant’Antonio da Pa­dova, pure scomparso); san Giuseppe (altare non più esistente). Il tabernacolo dell’altare maggiore possede­va una chiave d’argento, rubata dai francesi. Ed ecco l’interno della chiesa attuale, a tre navate (lunga 35 metri, larga 22, alta 13), dopo le ultime modifiche: l’al­tare maggiore, dedicato alla Beata Vergine ed a San Geminiano, che sono rappresentati in una grande tela, opera di Carlo Rizzi. Nella navata di sinistra, partendo dall’ingresso, troviamo: il Battistero, la cappella del Sa­cro Cuore, con una bella ancona di stucco e scagliola, e la cappella dello Sposalizio della Vergine, con grande dipinto, copia dell’originale, di Sigismondo Caula, da­tabile al primo Settecento (interessante la cornice di le­gno intagliato). Nella navata di destra incontriamo, sempre a partire dall’ingresso della chiesa, quattro cap­pelle: nella prima un Crocifisso cinquecentesco di igno­to scultore; nella seconda un sant’Antonio da Padova (secondo protettore di Massa) con un’ancona in sca­gliola, forse dello scagliolista Giovanni Garuti di Stag­gia (seconda metà dell’ottocento); nella terza una Ma­donna del Rosario, con ancona a plastificazione in fin­to marmo, opera forse del già citato Giovanni Garuti; nella quarta un’Immacolata Concezione, posta in un piccolo trono dorato (seconda metà dell’Ottocento).

Nei finestroni dell’abside, nelle finestre della cappel­la dell Immacolata, in quelle alte della navata centrale e nel rosone spiccano artistiche vetrate rappresentanti: Gesù che scaccia il demonio, la parabola del buon sa­maritano, l’Annunciazione, le nozze di Cana, il pecca­to originale, il sacrificio di Isacco, Mosè che attraversa il Mar Rosso, la presentazione di Gesù al tempio, Gesù in croce, la Resurrezione, la Pentecoste.

Il vecchio campanile fu abbattuto e sostituito da uno nuovo, la cui costruzione, iniziata il 29 giugno 1924, venne ultimata nel giugno 1926 con la benedizione im­partita dall’Arcivescovo di Bologna, cardinale Giovan­ni Battista Nasalli Rocca. È a forma quadrata sormon­tato da un ottagono, da una cuspide e da una croce: il tutto per complessivi metri 41,15 di altezza.

La chiesa di Massa fu la matrice di ben quattro filia­li: santi Filippo e Giacomo di Finale, san Girolamo di Codecoppi, san Lorenzo di Casumaro, visitazione di Maria Santissima e santa Elisabetta di Reno Finalese.

Restano, nel territorio parrocchiale, cinque oratori (dei nove esistenti in passato): Santa Maria della Neve,

Il Canaletto, l’Entrà, la Vettora, la Campa.

La decadenza di Massa iniziò con la distruzione del suo castello (1345): il primato esercitato sui territori vicini per tanti anni passò a Finale Emilia. Per ben quattro secoli i rapporti fra massesi e finalesi furono difficili, poiché nei primi perdurava l’orgoglio della su­periorità sui secondi. La pacificazione avvenne soltanto nel 1757, ad opera dei rispettivi parroci. Nel secondo dopoguerra Massa conobbe un rilevante progresso eco­nomico: allo sviluppo dell’agricoltura si uni quello edi­lizio e industriale. Da sottolineare la costruzione di uno zuccherificio, all’avanguardia in campo europeo. Non mancano industrie meccaniche, distillerie, colori­fici, maglifici ed altro.

A Massa Finalese, a metà agosto, si tiene la «Sagra dell’Anitra». Nell’occasione sono organizzati concorsi di pittura e di fotografia retrospettiva, gare sportive di ciclismo, di pesca, di tiro al piattello, concerti musicali.

Tratto da: Enciclopedia Modenese

Autori: Giancarlo Silingardi – Alberto Barbieri

Anno 1998

 

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