Disvetro
Ci sembra giusto ricordare le nostre frazioni, un tempo ricche di storia e, sempre più spesso, dimenticate e trascurate.
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La chiesa di San Giovanni Battista, a Disvetro, in un disegno di Augusto Neri
DISVETRO
Frazione del comune di Cavezzo. Ancora una volta l’etimologia lascia qualche dubbio. L’ipotesi più accettabile sull’origine del toponimo fa passare il termine Disvetro, attraverso le seguenti forme, Dexvetre, citato nel 1275, Desvedre, Disvetrum, Disvetro. Il termine dovrebbe derivare dal latino «de ex vetere», che, sottintendendo il nome terra, starebbe a significare area bonificata e dissodata. L’interpretazione è confermata dalle notizie storiche che dicono il territorio dell’attuale comune di Cavezzo, sulle destra del fiume Secchia, bonificato e dissodato ad opera dei monaci benedettini nonantolani. Più arbitrarie e certamente meno convincenti appaiono altre supposizioni che vogliono il termine Disvetro derivato dal latino «Dux evaclum», sottintendendo «aquarum», vecchio condotto delle acque, sempre riferito alla bonifica nonantolana, e addirittura da «Dux veclum», condottiero vecchio, congettura questa del tutto oscura e incomprensibile.
Altri dubbi restano sulla presenza umana nel luogo in epoca preistorica. È risaputo che ancora nell’età del bronzo la Bassa modenese era in buona parte ricoperta d’acque stagnanti e da estese selve e che alcuni inserti umani esistevano in aree elevate ed asciutte, cosidette motte, dove sorgevano villaggi di capanne straminee, difesi da una palizzata, da un fosso, da un terrapieno.
Certamente agglomerati così sorsero nel Mirandolese, a Rivara di S. Felice, a Ca’ Rossa di Finale, a Rovereto di Novi, a Cibeno di Carpi, a Redù di Nonantola. anche a Disvetro, come vuole la tradizione antica sorretta però dalla documentazione storica, chè mai sono stati resi noti rinvenimenti di reperti archeologici nè a Disvetro nè nella zona circostante. E’ certo che su una motta, ossia su una modesta altura formata dai depositi alluvionali del fiume Secchia, a Disvetro, nel XIII secolo, sorgeva un battifredo, una torre di vedetta recintata, presidiata da militi, costruita e mantenuta dal comune di Modena, in un punto strategicamente importante, vicino al fiume Secchia, non lontano dai confini col Reggiano e col Mantovano. Vicino, si trovava un agglomerato di case, stalle, fienili e, secondo alcuni autori, dalla presenza delle case derivava il nome della villa, detta delle Casare, o Casarie; secondo altri, il toponimo proveniva dal cognome Casari, a sua volta originato dal nome casa; secondo altri ancora Casare non era altro che un termine che indicava il borgo Cavezali, poi detto Cavezolo, infine Cavezzo.
Nel 1860, nella riforma amministrativa ordinata dal dittatore Luigi Carlo Farini, Disvetro divenne una frazione del comune di Cavezzo. Il vicino fiume Secchia portò più volte distruzione e miseria; le rotte più disastrose furono quelle del 1879, del 1889, del 1960, che andarono ad aggiungersi a quella memorabile del 1702.
Oggi, la frazione si presenta come un agglomerato di case raccolte intorno alla chiesa; intorno, sparse, numerose case coloniche; l’economia è agricola.
Già in tempi lontani, tra Disvetro e Cavezzo, nel luogo dove ora sorge l’oratorio di S. Anna, si trovava un oratorio detto di S. Maria, fondato dai monaci benedettini nonantolani al tempo della grande bonifica, citato nel 1322, successivamente trasformato in chiesa, poi scomparso. Nel 1610, a Disvetro, su richiesta della popolazione in aumento demografico, venne eretto un altro oratorio intitolato a S. Giovanni Battista, nel 1613, trasformato in chiesa parrocchiale, nel 1663, ricostruito ed ampliato. Nel XVIII secolo fu rifatta la facciata. Nel 1660, venne innalzato il campanile, ricostruito nel 1927, su progetto dell’ingegnere Giacomo Masi di Cavezzo. La chiesa non presenta particolari motivi d’interesse artistico. Nella facciata, settecentesca, in due nicchie, le statue in terracotta di S. Giovanni Battista e di S. Antonio da Padova. Nell’interno, degni di nota l’altar maggiore, in marmo di Verona, opera dello scultore Pietro Lumi, del 1760, la tela sul secondo altare a destra, la Madonna con Gesù Bambino venerata da alcuni santi popolari, S. Giacomo, S. Antonio abate, S. Apollonia, di Francesco Setti, modenese, del 1872, il paliotto del primo altare a sinistra in scagliola, della scuola carpigiana secentesca.
Tre gli oratori. Uno, in località Barleta, dedicato a S. Rocco, protettore contro le epidemie, settecentesco, fondato da Ugo Setti, poi trasformato in fienile; il secondo intitolato alla Madonna del Rosario, popolarmente detto della Gaviola perché costruito nel 1692 ad iniziativa di Giacomo Gavioli, rifatto nel 1860 per volontà di Geminiano Delfini e dedicato alla Madonna Assunta, infine, in località Ronchi, l’oratorio della Madonna del Carmine, ottocentesco, edificato a spese di Bartolomeo Malavasi.
Presso Disvetro, in via del Dosso, nome riferentesi a un dosso, una delle tante modeste alture formate dal fango alluvionale del Secchia, un tempo presenti nel territorio, si trova la villa Delfini, settecentesca, nella quale, nel 1908, nacque il letterato Antonio Delfini.
Tratto da: Enciclopedia Modenese
Autori: Giancarlo Silingardi – Alberto Barbieri
Edizioni: Il Segno Editrice
Anno: 1994