1909 – “Ristauro” di Palazzo Bergomi – Già Cassa di Risparmio di Mirandola

1909 – “Ristauro” di Palazzo Bergomi – Già Cassa di Risparmio di Mirandola

8 Maggio 2020 0

L’interessante documento propone lo studio, commissionato dalla Cassa di Risparmio di Mirandola, del restauro del già Palazzo Bergomi sede della Cassa di Risparmio.

                            ESTRATTO DAL RIFERIMENTO DEL DIRETTORE

                                                      Sul resoconto del 1908

“Circa il ristauro del palazzo e la sistemazione degli uffici non sem­bra fuori di luogo il ricordare le ragioni per le quali la deliberazione è stata presa.

Oltre il disagio con cui procede il servizio nei momenti di maggior affluenza del pubblico per defìcenza e disadatta disposizione dei locali, ed oltre allo stato poco decoroso presentato dall’ antico palazzo di residenza, si è avuto principalmente di mira di togliere il permanente pericolo d’ in­cendio che presentano le botteghe sottostanti agli uffici, specie per l’uso cui sono attualmente destinate.

Due furono i modi esaminati ; quello di passare gli uffici a pian ter­reno col contemporaneo restauro del palazzo, e l’altro di costruirne uno nuovo con alienazione di quello attuale.

La centralità di quest’ ultimo, e l’antichità di esso, indusse il Con­siglio a chiedere all’illustre archeologo Comm. Alfonso Rubbiani di Bolo­gna, parere sul valore artistico di esso.

Il Comm. Rubbiani dichiarò che l’edifìcio, di stile del rinascimento, aveva particolari di rara bellezza, e che indubbiamente era il migliore che rima­nesse alla Città, onde il curarne il ripristino e la conservazione, sarebbe stato atto di benemerenza verso 1’ arte e la storia.

Dopo quest’ autorevole giudizio, gli fu deferita la facoltà di affidare a tecnici di sua fiducia, lo studio per la disposizione degli uffici, avendo all’ uopo speciale riguardo alla luce ed al ricambio d’ aria.

In seguito alle assicurazioni tranquilizzanti date anche sotto questo ri­guardo, il Consiglio unanime, all’ intento di fare cosa utile all Istituto e di pubblico decoro alla Città, ne deliberava il ristauro e la sistemazione interna.”

                                                                        RELAZIONE

                                                  STORICO ARTISTICA DEI PROGETTISTI

                                 COMM. ALFONSO RUBBIANI – ING. ILDEBRANDO TABARRONI

                                                            ING. GUIDO ZUCCHINI

Uno degli edifici antichi meglio conservati della Mirandola è la casa che fu dei Bergomi ed ora serve da residenza alla Cassa di Risparmio, posta nell’angolo Sud-Ovest della Piazza. Di questa, così vasta ed ariosa, è forse il miglior ornamento e per la nota scura di colore, che ne mostra l’antichità, e per la leggiadria delle terrecotte che l’adornano ; antiche manomissioni e recenti restauri rendono più vivo il desiderio di vederla convenientemente restituita.

Non si sa con certezza l’anno di sua erezione, nè le ricerche da noi fatte all’ Archivio della Congregazione di Carità di Modena, ove sono alcune carte relative ai Bergomi, approdarono a nulla. Già alla metà nel secolo XV si trovano a Mirandola i notai Sàssoli, oriundi di Bergamo, non ultimi per ricchezza e sapere: più tardi presero, e mantennero dal luogo di origine, il cognome Bergomi.

Della loro casa in Piazza fa cenno un cronista di Mirandola nel descrivere il combattimento avvenuto nel 1518 tra i Mirandolesi e quelli della Concordia, i seguaci cioè di Giovanni Francesco II Pico e quelli del nipote Galeotto : « s’incontrarono, racconta il cronista, sotto il portico de’ Bergomi in Borgonovo e furono alle mani insieme gridando una parte — « Francesco, Francesco — e l’ altra — Galeotto, Galeotto — e cominciarono

« quelli della Concordia nascosti dietro alle colonne a sparare schiopetate con quelli della Terra quali poco a poco perdendo il campo si « ritirarono diritto alla Rocca ».

Non per molto tempo dovè il portico della casa rimanere aperto, giacché le sottoarcate che ora si vedono e che furono costruite per la stabilità dell edificio sono anch’ esse di antica data : poi, non si sa quando, il portico fu completamente chiuso e ne furono ricavate botteghe.

Nel 1638 Alessandro Bergomi lasciava la sua casa allo scopo di stabilirvi un convento di cappuccine, che avrebbe dovuto chiamarsi Collegio Alessandrino, ma lo stabile non fu riconosciuto adatto al nuovo ufficio; e divenne invece sede ai padri Serviti, che vi rimasero fino al 1768.

Nel 1841 Giovanni della famiglia Montanari che aveva comperato il palazzo, fece fare lavori ai davanzali delle finestre, ma la Commissione d’Ornato li fece disfare e rimettere come erano prima : nel 1865 l’Ing. Grazio Montanari modificò totalmente il lato sud della sua casa, co­prendo il portico con una parete bugnata sormontata da cordone e rifa­cendo del tutto il cornicione, le finestre e il paramento murario : non distrusse però l’ organismo interno del portico, sì che riesce facile ora il ricuperarlo.

Le finestre del piano nobile invece si presentavano con un aspetto più misterioso e fu fortuna che quelle verso la Piazza non venissero toccate nel restuaro del 1865.

Osservate bene da vicino si potè constatare come le ghiere di mattoni sagomati e ricoperti dintonaco e poi dipinti ad ovoli e rosette non risalissero ad epoca molto antica. Nell’ archivio di Mirandola lo scrivente ha trovato la domanda di Montanari Giovanni, diretta alla Commissione d’Ornato, affine di potere rifare le cornici delle finestre del piano nobile dalla parte che guarda la Piazza e non avendo modo di comporle con mattoni fregiati in basso rilievo come gli antichi, il Montanari propone di farle in materiale comune colle stesse modonature e fingendo, se la Commissione lo richiegga, di imitare colla pittura i bassorilievi. La Commissione passò agli atti la domanda senza rispondere; il che può fare supporre, vista anche la sua severità, che il lavoro fosse ben fatto e a ragione d arte. Certo è che la pittura corrisponde quasi interamente al senso plastico, onde sono informate le terrecotte dei pen­nacchi e degli occhi e degli archetti delle finestre, si che è parso logico ed artistico partito il ripetere il procedimento inverso a quello usato nel 1843 e cioè fare di rilievo quello che è finto in pittura.

Gli assaggi murali ci hanno confermato quanto sospettavamo che, cioè, appoggiate al davanzale delle finestre s’innalzassero un giorno fino ai capitelli della ghiera candeliere di cotto, tolte forse perchè guaste e sostituite da mattoni. E che le antiche fossero di rilievo lo dice, oltre che lo stile dell’ edificio, la sporgenza dei mezzi capitelli dal muro e l’ impronta lasciata dalle basi di alcuna delle candeliere sulle lastre di marmo che formano il davanzale. Le nuove pilastrate di mattoni furono ornate di pittura, ma le traccie di questa appaiono ora così povere e sbiadite da non potere verificare se anche in questo caso la pittura aveva riprodotto le forme di rilievo.

E’ stato naturale il pensiero che l’ arte, la quale aveva adornato la casa Bergomi, non rappresentasse il frutto unico di un unico artista, ma che le stesse influenze lombarde e ferraresi, che fanno rassomigliare le finestre Bergomi, più nell’ impianto però che nella decorazione, ad alcune di Ferrara, si dovessero ritrovare in altri monumenti.

Il solo ancora rimasto e che si può ascrivere, nonché alla stessa epo­ca, allo stesso stile della casa Bergomi, è il Palazzo Comunale, eretto nel­la sua parte settentrionale  nel 1468 da Giulia Boiardo vedova di Giov.Francesco I  Pico.

Palazzo del Municipio 1910

La  sua  primitiva  facciata a  finestre bifore, adorna di un balcone nel mezzo e di una nicchia nell’alto colla statua della Madon­na, rimase intatta fino agli ultimi anni del secolo XVIII. Restaurata nel 1836-38 la mostra dell’orologio che già si era sovrapposta alla nicchia del­la Madonna,  per opera di Giacinto  Paltrinieri, sostituiti nel 1854 due angeli e un      quadrante    di   rame al    manufatto del ’36 con disegno di Antonio Ferri, l’Ing. Felice Poppi rifece nel 1868 completamente l’at­tico e la facciata del palazzo, pure lasciando intatte le finestre ricche di terracotta. Non sono passati molti anni da quando il Municipio di Mirandola incaricò l’architetto Vincenzo Maestri di studiare un nuo­vo e generale progetto di restauro. E purtroppo questo fu eseguito, purtroppo diciamo, giacché non ancora era cosi vivo e manifesto il de­siderio, come è ora, di conservare tutto che abbia carattere d ’arte nei monumenti antichi, sia pure rimaneggiati e modificati parzialmente.

Leva­te le pilastrate d’ angolo che rinfìancavano le due, colonne terminali del por­tico, sostituito con altre il balcone del 67, demolito l’attico che corona­va la facciata e cambiato il contorno all’orologio, pure le finestre furono non solo cambiate di posto, ma decorate al pari degli archivolti del por­tico con nuove forme decorative, libere imitazioni delle antiche. E nessu­no potrà ora essere contento che a queste siano state sostituite altre, che, per quanto modellate con sapienza, sono il frutto di certe vedute appros­simative sui diversi stili passati e che già ora a noi appaiono fredde e po­vere e insufficienti.

Da una fotografia del Palazzo Comunale fatta nel 1896, prima cioè del restauro del Maestri, si ha una pallida visione di ciò che era rimasto d’antico specialmente nelle finestre, che, e per l’epoca della loro costruzione e per il carattere di tradizionalità che si riscontra nell’ arte dei pic­coli centri avrebbero potuto dare preziosi suggerimenti per completare quelle Bergomi.

Con questo concetto si fecero ricerche a Modena tra le carte del Maestri che si conservano alla Biblioteca Estense e tra i suoi disegni ora alla Bi­blioteca Poletti sperando di trovare qualche schizzo o rilievo delle antiche terrecotte. Ma le ricerche nulla fruttarono se non la certezza, che appare per altro dalla relazione unita dal Maestri al suo progetto e dalla lista di spese del lavoro, che i trafori e le candeliere delle finestre sono completamente nuovi.

Senonchè in una sala del Museo Civico di Modena vicino ai gessi, che riproducono gran parte degli ornamenti romanici sparsi nelle chiese del Modenese, un gruppo di calchi di forme quattrocentesche con caratteri, diremo, Mirandolesi ci fecero subito sospettare non venissero appunto da Mi­randola, tanto più sapendo che erano stati eseguiti per incarico del Maestri. Non fu senza soddisfazione che nel granaio del Palazzo Comunale si trovò un frammento di pilastrata in cotto preciso ad uno dei calchi del Museo Modenese e fu facile verificare che anche gli altri riproducevano le antiche terrecotte del palazzo.

Con tali frammenti si è potuto agevolmente comporre tutta la candeliera delle finestre, ben sapendo come il motivo formato di un vasetto, dal quale partono allacciandosi ritmicamente due tralci fino a sbocciare nell’alto con un fiore o con una fiamma o con una favetta, sia d’origine antichissima. Forse esso ricorda i tempi remoti, nei quali la decorazione, era fatta con veri tralci e festoni e vasi e che poi, fissata nella pietra, nel marmo o colla pittura è rimasta quasi ad indicare uno dei tipi più gentili e pittoreschi di decorazione. Dal significato simbolico, che a tale motivo dava l’arte romanica, si passò nella rinascenza al puro desiderio di decorare fino a perdersi qualsiasi aspetto di verità e fissarne le forme in un tipo unico e ripetuto.

Nella stessa Mirandola un frammento di terracotta, murato ora dietro l’altare maggiore di S. Francesco, e ben antico, riproduce il vaso, e i due rami allacciati, che s’ergono verso l’alto.

La somiglianza tra l’architettura dei due edifici e la loro decorazione pure riconoscendo in quella della casa Bergomi una maggior gentilezza, ci autorizza logicamente ad applicare in quest’ ultima le candeliere cosi da noi composte.

Esempio chiaro anche della tradizionalità artistica più sopra accen­nata sono i capitelli del portico della casa Bergomi che riproducono, leggermente modificati, i capitelli cubo-sferici inventati dai Romanici e che in Mirandola, usati largamente in S. Francesco, seguitarono a vedersi in molte case del secolo XV.

L’ antico stemma dei Bergomi, levato nel 1798 e confinato fino a non molti anni or sono in una casa privata di Mirandola era murato nell’ angolo sud est dell’ edilizio. Da uno schizzo fatto fare dal benemerito Cav. Can. Felice Ceretti, che mi è stato cortese di suggerimenti relativi a queste ricerche, abbiamo potuto riprodurne la forma, anche sapendo che era scolpito nel marmo e sembrandoci omaggio dovuto agli antichi pro­prietari il rimettere a posto il loro antico e nobile ricordo.

Per il portico, il quale, ripreso il suo organismo architettonico potrà venire, quando si voglia, completamente aperto, si é studiato un sistema di chiusura, che pure aiutando la stabilità generale dell’edificio e non disturbando l’armonia dell’ architettura, contribuisse alla sicurezza dei locali interni.

Con questo intendimento si è pensato ad un tipo di intelaiatura di cemento armato, di tale semplicità da rendere ben chiari il suo ufficio e l’epoca di sua costruzione, solo dando allo stipite dell’entrata, che però nel disegno che presentiamo è studiato in massima, un carattere moderno.

7 Marzo 1909.

Ing. Guido Zucchini – relatore

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