Mauro Calzolari – La chiesa parrocchiale di s.Maria Bianca di Vallalta (Concordia sulla Secchia). Documenti sull'edificio di culto dal 1475 al 1998
- Le vicende dell ’edificio
La località di Vallalta, oggi in comune di Concordia sulla Secchia, presso i confini con il territorio mantovano, è già citata nel 1252, epoca in cui rientra nel cospicuo patrimonio fondiario del consorzio familiare noto come i Figli di Manfredo, a cui appartengono i Pico, che poi diverranno gli unici signori dell’area: un patrimonio che da qui si estendeva a Fossa e a Quarantoli, in un ambiente a boscaglie e a valle. Una caratteristica, quest’ultima, sottolineata probabilmente, a mio parere, anche dal toponimo: valle lata, “ampia”, e non alta.
L’origine della chiesa è invece nota con certezza, grazie a una serie di documenti dell’Archivio di Stato di Reggio Emilia, segnalati per la prima volta da Mauro Giubertoni.
Nel 1475 la comunità di Vallalta, con l’appoggio di Galeotto I Pico, ottiene dal vescovo di Reggio – nella cui diocesi rientrava allora il distretto mirandolese e concordiese – di separarsi dalla chiesa di Fossa, che risultava troppo distante, e di fabbricare una propria chiesa parrocchiale, dotandola in modo che vi possa risiedere un rettore. Don Geminiano Montanari, canonico della Collegiata di Mirandola, pone la prima pietra dell’edificio di culto, che è ultimato l’anno successivo. Il 30 maggio 1476 gli uomini della “villa” nominano il loro primo rettore, don Bernardino Pitocchi; ma non sappiamo per quali vicende, lo troviamo ben presto sostituito da don Giacomino Gherarducci, che muore nel 1478. A lui succede don Geminiano Barbetti, e poi don Giusto “de Alamania”, che a sua volta rinuncia nel 1483, trasferito alla prepositura di Santa Maria di Mirandola, e al suo posto, come rector ecclesìae Sanctae Mariae de la Valalta, subentra don Leonorio Stadiani.
Come sappiamo, sia dalla planimetria del Codice Marliani sia soprattutto grazie alle memorie di don Giovanni Veratti, parroco agli inizi del Settecento, la chiesa quattrocentesca rimane sostanzialmente inalterata nelle sue strutture fino alla radicale riforma attuata a partire dal 1712 (fig. 1). Si presenta orientata canonicamente, con l’altare maggiore rivolto a oriente, ha un’aula rettangolare lunga m 14,20 e larga m 8,40, con copertura a capriate e tetto sostenuto da un tavolato di legno; un presbiterio con abside pentagonale, con copertura a volta largo m 4,70 e profondo m 5,80. Oltre il maggiore, si trovano due soli altari laterali, sullo stesso muro adiacente al presbiterio, uno dedicato a San Francesco e l’altro alla Beata Vergine di Reggio. Le pareti interne risultano affrescate con una campitura di tre archi dipinti «che formavano tre capelle con li suoi collonati, e le figure de’ santi formavano come tre altari»; vi si potè distinguere la Madonna con il Bambino Gesù e San Giuseppe, San Antonio Abate e, probabilmente, la natività di Maria.
Il campanile sorge nell’angolo sud-est, fra l’aula e il presbiterio e viene sopraelevato nel 1607, con una cella campanaria sovrastata da una guglia conica.
La facciata (fig. 2) è a capanna con paraste che formano tre scomparti: quello centrale, sormontato da un arco cieco a tutto sesto, con l’ingresso decorato da una cornice in cotto e protetto da un portichetto antistante e, in alto, una finestra circolare (oculo), anch’esso ornata da cornice in cotto. I due scomparti laterali sono sovrastati da un arco cieco rampante. I perimetrali sono scanditi, all’esterno, da paraste che sorreggono arcate cieche (4 per lato nel 1664; 3 nel disegno di don Veratti del 1712, forse approssimativo). Sul lato sud si aprono una porta secondaria e due finestre rettangolari.
Si tratta di una tipologia costruttiva diffusa nel Tre-Quattrocento nella Bassa Modenese e ben documentata nell’area centro-emiliana, in particolare nelle chiese minori della città di Ferrara.
Già da tempo si sentiva l’esigenza di una riforma dell’edifìcio di culto, per renderlo più spazioso e conforme ai dettami del concilio tridentino. Nel 1673 don Ippolito Penaroli procura i materiali necessari per il cantiere. Si fabbricarono, in due volte, 40.000 mattoni, 8000 coppi e 4000 quadri da pavimento. Furono condotte le pietre alla chiesa, ma il progetto si arenò e i laterizi rimasero inutilizzati, venendo in parte trafugati e in parte ridotti in rottami inutili.
Il progetto viene ripreso agli inizi del XVIII secolo, questa volta con successo. I lavori avvengono per stralci, per impulso di don Veratti, e con il pieno appoggio della popolazione, tra il 1712 e il 1729; architetto è Sante Violini, fabbriciere della Camera Ducale. Si procede prima a erigere le due cappelle del Rosario e della B. V. di Reggio, una di fronte all’altra e in vicinanza del presbiterio; poi si completa l’ala nord della chiesa con altre due cappelle, formando una navata laterale. Lo stesso si esegue sul lato di mezzogiorno, sforando i perimetrali e creando un’altra navata laterale con le relative cappelle, con criteri di simmetria e con le medesime proporzioni di quelle già presenti sulla parete opposta. Quindi si attua il sopralzo della navata centrale, con un cleristorio di circa due metri e mezzo, dotato di tre finestroni per lato; si adegua di conseguenza anche la facciata della chiesa, aprendo un finestrone in posizione centrale.
Il nuovo tetto è sostenuto da lambrecchie e coppi, mentre l’aula è coperta con una volta a botte in arelle, con unghiature in corrispondenza delle finestre laterali. Poi si realizza un cornicione interno di coronamento nella navata centrale, con paraste e capitelli in corrispondenza delle singole cappelle. Si approfitta dei ponteggi per intonacare e imbiancare la facciata della chiesa e dipingere rimmagine della Madonna sopra la porta maggiore. Infine si innalza il coro e l’arco trionfale sopra l’altare maggiore per renderli più proporzionati al corpo della chiesa. Da ultimo, si realizza una nuova sagrestia in cornu Evangelii.
Il cantiere è provvisto dei laterizi occorrenti da fornaci locali, attivate appositamente, di sabbione, di legname e di ferrarezza.
Intorno alla metà dell’Ottocento sorge l’esigenza di una chiesa più capiente e pertanto si dà inizio al progetto di allungare l’interno di una campata, creando così lo spazio per due nuovi altari, e nel contempo si pone mano al disegno di una nuova facciata, unita al corpo della chiesa da un volto più alto di quello esistente, con l’intento di sopraelevare anche il restante del vaso della chiesa. Difficoltà sostanzialmente di ordine economico fanno procedere molto a rilento i lavori, che vengono sospesi nel 1865, lasciando più bassa una parte del tetto della navata centrale e la facciata, in stile neoclassico, non rifinita.
Stando a quanto riferisce don Pozzetti nel 1929 e poi ancora nel 1955, «reggendo la parrocchia don Luigi Comi [1890-1908], fu operato lo sfondamento delle cappelle per collocazione degli altari, prima ingombranti le navate laterali»: un intervento, questo, del quale non ho reperito riscontri nei documenti dell’archivio parrocchiale.
All’incongruenza del tetto della chiesa si pone rimedio soltanto nel 1924, in seguito a un fulmine che ne fece cadere una parte: occasione irrinunciabile per il parroco don Artemio Pozzetti per uniformare il soffitto al livello più alto, con una volta a botte reale con unghiature in corrispondenza delle finestre laterali.
Nel Secondo Dopoguerra il medesimo parroco attua altri due interventi sulle strutture della chiesa: l’innalzamento del volto del presbiterio e dell’abside, perchè fosse proporzionato all’aula liturgica (1951) e la sopraelevazione del campanile, con l’aggiunta di un piano per una nuova cella campanaria e di «finestroni a bifore di imitazione stilistica» e con ricostruzione di una guglia conica più slanciata, ottenuta con i mattoni di quella vecchia, preventivamente smontata (1954).
Ulteriori restauri hanno portato all’adeguamento liturgico degli interni, e in particolare dell’altare maggiore, e al completamento delle decorazioni della facciata, arricchita nel 1988 da tre bassorilievi in terracotta dell’artista Romano Pedoni.
Mauro Calzolari
Tratto da: Quaderni della Bassa Modenese anno 2022 – n°81
Editore G.S.B.M.