Mirandola – La Banda della Milizia della Bassa
Sfilata della Milizia Fascista – Per gent.conc.di Ugo Rossetti
……Con l’ultimo periodo Nenci siamo entrati nell’epoca fascista. Il Fascismo, al potere dal 1922, si impegna in una sistematica opera di assorbimento e fascistizzazione di tutti gli aspetti della vita pubblica, dunque anche dell’associazionismo bandistico. E tuttavia, poco, anzi pochissimo, sappiamo della Banda della Milizia Fascista, che abbiamo visto comparire sinistramente sulla piazza mirandolese nel 1929, togliendo l’ingaggio a quella civile diretta dal vecchio Nenci. L’archivio è povero di documenti a riguardo. Ma per fortuna, da questo periodo in avanti, vengono in soccorso le testimonianze orali, di persone che possono dire: “Io c’ero”. Passiamo dunque la parola a un testimone oculare. Bruno Benatti, classe 1922, suonatore di tromba, ragazzino in quegli anni e membro della Banda della Milizia: “La Banda della Milizia era organizzata attingendo da tutti i comuni e le località della Bassa: S. Felice, Medolla, Cavezzo, San Martino Spino, Concordia. Vestiva la divisa militare grigioverde e si riuniva solo per parate e celebrazioni. Il Fascio pagava le ore ai bandisti operai. Le prove si facevano nella Caserma Mussolini in via Pico, poco prima del servizio”. Si tratta dunque di un complesso anche ampio, di 50/60 elementi, ma dal carattere eterogeneo e forse, verrebbe di dire, raccogliticcio. Chiediamo ancora al Benatti quali fossero le modalità di reclutamento dei suonatori: “Ci hanno precettato con la cartolina militare, eravamo costretti a suonare. A me dissero che o andavo a suonare o licenziavano mio padre in fabbrica. Ci facevano suonare per la Scuola Ufficiali che aveva sede nella Caserma Mussolini, stavamo impegnati due o tre giorni. Dopo di noi venne chiamata la Banda di Chieti, una banda di “giro” cioè di professionisti”.
Forse ci sorprende la cartolina militare, la minaccia di licenziamento del padre, ma questo faceva parte della prassi, se così la si vuol chiamare, dell’epoca e poi, non dimentichiamolo, si era sotto una dittatura. Nulla potremmo sapere dei direttori di Banda di quegli anni, anche qui l’archivio tace, se non ci soccorressero i testimoni orali, che ci suggeriscono gli oscuri nomi di un Cimini, un Rostuto, un Papaccio. È questo un periodo di trapasso, scompaiono i grandi direttori di Banda come Nenci, mentre la Scuola di Musica dopo la breve riapertura del 1926-29 torna a chiudere i battenti. E li terrà chiusi per un pezzo. È un periodo in cui entra in crisi un’intera tradizione musicale, con le sue luci e le sue ombre, con le sue figure pittoresche, di stampo ottocentesco. Scompaiono in questi anni colorite e macchiettistiche figure di musicisti e musicanti che vivono poveramente della loro sola attività, in un’Italia preindustriale, prima dell’avvento della società di massa. Ne vogliamo ricordare alcune.
Ci aiuta l’ex bandista Dino Valente, classe 1916. Il nostro intervistato ricorda il violinista Alarico Zeni, bravo violinista ma grande bevitore, che teneva scuola di violino a casa sua, sotto i portici di via Fenice. Ricordiamo Evaristo Cimini, suonatore di tromba che dopo aver passato la vita al seguito del Circo Buks, ritornò a Mirandola vecchio e povero. Nella città natale diresse, sembra, la Banda per qualche tempo e insegnò musica a domicilio, recandosi personalmente dagli allievi che spesso lo ricompensavano con “un bicchiere di vino” o un “piatto di minestra”. Negli ultimi anni andò a San Giacomo Roncole dove fu accolto da Don Zeno, il quale lo incaricò di fondare una piccola Banda che lo accompagnasse durante i suoi giri per la richiesta di offerte. La “Bandina” di Don Zeno si esibiva nelle corti e una volta arrivò fino a Pavullo. Benatti ci dice che Cimini scrisse molta musica, della quale sono sopravvissute solo due marce: La Mirandolese e La Medolla.
Con la Banda della Milizia si conclude il periodo fascista. Accanto a questa Banda di regime continuò ad esistere una banda civile, ridotta senz’altro al lumicino, ma di fatto sopravvissuta per tutti gli anni Trenta, finché nel 1938 divenne Banda del Dopolavoro Fascista. Prima di congedarci dalla Banda della Milizia e dal Fascismo vogliamo però raccontare una storia, curiosa, che ci è stata raccontata da un vecchio bandista ora defunto, Nando Caleffi.
Sei un bolscevico!
“Bolscevico! Sei un bolscevico!
“Hanno chiesto chi ne voleva far parte e io ho risposto di no”.
“Sei un bolscevico, comunista, spariscimi da sotto gli occhi”.
Chi sono i due agitati interlocutori di questo vivace dialogo? Sono il bandista Nando Caleffi e il Capitano Ledi della Milizia Fascista del Comune di Mirandola. Ma cos’era accaduto?
Ecco l’antefatto. Si diceva che nei primi anni Trenta venne formata la Banda della Milizia, nella quale confluirono le nuove leve e i vecchi bandisti della Banda di Nenci. Ecco il racconto dalla viva voce del bandista Caleffi:
«Una sera in cui stavamo provando si presentarono il maestro Papaccio e il Capitano della Milizia, ci fecero mettere tutti in cerchio e ci informarono che la Banda sarebbe diventata Banda della Milizia. Saremmo stati dotati di uniforme, armati, dotati di tutti i privilegi annessi. In piazza eravamo tutti d’accordo a dire di no, non ci saremmo stati, mai. Ma quando si presentarono e chiesero “Accettate sì o no?” solo io ho avuto il coraggio di dire no. Il Capitano Ledi della Milizia disse che le ragioni del rifiuto avrebbe voluto conoscerle un’ altra volta. Si era alla vigilia delle elezioni, era il 24 marzo del ‘31 o del ’32. Una sera arriva l’autolettiga con un milite armato, viene dentro e io gli dico che qui non ci sono ammalati. Lui risponde: “Ti siamo venuti a prendere per il servizio di piazza”, e io: “non faccio parte della musica della Milizia”, e lui: “Guarda che ho sentito delle parole, ti conviene venire”. Allora ho accettato e sono partito, quando sono arrivato c’era questo Capitano Ledi di Carpi aiutante del Console Testa e io gli dico: “Guardi signor Capitano io non faccio parte della musica”. Lui mi risponde: “Vada a casa a prendere lo strumento e si presenti”. Poi abbiamo fatto parecchie marce in piazza. Finito il servizio ci siamo ritirati all’Aquila nera per bere. Io dico: “Io non bevo”. E allora il maestro Papaccio dice: “Portate un panino”. Io gli rispondo: “Non ho fame e non ho sete, sono pieno fin sopra i capelli di questa pagliacciata”. Il maestro Papaccio il giorno dopo mi disse: “Ho riferito al Capitano Ledi. Caleffi non s’offenda, quanto prima sarà chiamata dal Console”. Passano alcuni giorni e arriva il messo comunale per invitarmi dal Console Testa. Là al palazzo della Milizia c’era questo capitano Ledi di Carpi, con un occhio di vetro. Fanno entrare me e il maestro Papaccio dal Capitano, che ci fa aspettare dieci minuti sull’attenti, come due salami, poi incomincia a dire: “Lei non vuol far parte della musica.” E io: “Guardi han chiesto chi si sente e chi no”. Ma lui continua: “Lei è un bolscevico”. E poi non so quante me ne ha dette per circa mezz’ora: “Voi non potete vedere il Duce” e io: “Guardi signor Capitano il militare l’ho già fatto per il Re, per sei anni, non sono disposto a vestire ancora la divisa. E poi siccome la mia clientela non è tutta fascista, posso avere delle noie”. Ma il capitano continuò: “Lei Caleffi non si preoccupi che le troviamo del lavoro in esubero”. E io: “Guardi Capitano preferisco di no”. Ma lui continua: “Lei è un bolscevico” e io: “Guardi che sono cattolico”. Quando ho detto così, s’è alzato in piedi e con l’occhio di vetro che quasi gli usciva dall’orbita ha incominciato a urlare: “Via, fuori, comunisti, comunisti!”. Il giorno dopo vado da un parroco amico, di Carpi, per chiedergli di spiegare al Capitano Ledi che non ero un bolscevico. Il parroco, gran fascistone amico del Capitano, mi porta a Carpi per andare a trovare il Capitano, era domenica mattina. Finalmente lo troviamo, in piazza. Il parroco dice: “Guardi Capitano Ledi che è un buon cittadino” e il Capitano chiede: “Ma di chi parla reverendo?” e il parroco: “Di Caleffi che è qui con me”, il Capitano quando mi vede e mi riconosce comincia a urlare: “Non mi parli di quella persona lì. Via Bolscevico! Comunista, comunista! Via via di qui! Via via via!”».
Così si conclude questa storia tragicomica, con un capitano fascista con l’occhio di vetro che urla in piazza a Carpi e un bandista, al dire il vero un po’ bertoldesco, che riesce a spuntarla. E fu così che Nando Caleffi nella Banda della Milizia non entrò mai.
Giacomo Gibertoni
Tratto da: Fatti e Figure della Mirandola
Edizioni Al Barnardon
Anno 2000