Livio Bonfatti – L’autostop
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Livio Bonfatti, mirandolese di nascita (1947), ha conseguito il diploma di geometra nel 1968. Ha svolto l’attività lavorativa presso l’Ufficio Tecnico del Comune di Mirandola. Dal 1985 al 1988 ha collaborato alle iniziative editoriali della casa editrice “Al Barnardon” mediante articoli e con impegni redazionali. Dal 1988 è socio della Associazione culturale Gruppo Studi Bassa Modenese e partecipa attivamente alla elaborazione di progetti editoriali. Contemporaneamente pubblica numerosi articoli sulla Rivista semestrale dell’ Associazione. Gli argomenti trattati spaziano dalla idrografia antica, alla geomorfologia storica, ovvero mettendo a fuoco quella che definiamo la “storia del paesaggio”, accompagnata da una puntuale ricerca archivistica. Il territorio preso in esame è quella parte di Pianura Padana che si distende dalla via Emilia sino al Po.
L’AUTOSTOP
Venni ad abitare a Mirandola nel corso del 1960, in una via a fondo cieco, via Giuseppe Giusti, quindi poco trafficata e che aveva, come unico riferimento, la casa cantoniera A.N.A.S., posta, venendo da Modena, poco prima dell’ingresso nella nostra cittadina. Mi capitava quindi di passare più volte al giorno, davanti all’abitazione del capo cantoniere e della sua famiglia. Nei mesi estivi, non era infrequente, che la casa cantoniera fosse il luogo privilegiato per giovani, spesso stranieri, che chiedevano un “passaggio” ai veicoli transitanti, utilizzando un “modo”, ormai conosciuto internazionalmente, di “oscillare il pollice della mano nella direzione desiderata”.
Costituiva per noi italiani una novità, inizialmente non molto apprezzata, in quanto, vista la scarsità dei mezzi allora viaggianti sulle strade extraurbane, costringeva gli autostoppisti stranieri a lunghe attese, prima di poter avere un “passaggio”. Solo quando ho iniziato le scuole superiori a Modena mi resi conto che fare l’autostop, poteva costituire un utile accorgimento, per andare o ritornare da scuola, senza dover attendere gli autobus della S. E. F. T. A, vincolati a orari ben precisi e a volte non coincidenti con i programmi scolastici. Per tornare da Modena, in autostop, dovevo prendere un filobus che mi portasse alla Sacca e da lì era abbastanza facile trovare un automezzo diretto verso la Bassa. Da Mirandola risultava più difficile raggiungere Modena in quanto erano necessari più “passaggi”. Solo il lunedì si era facilitati dal fatto che nel capoluogo provinciale si svolgeva il settimanale “mercato bestiame” e quindi, molti “mediatori” mirandolesi, si recavano, per affari, al Foro Boario.
L’esperienza maturata nel fare l’autostop ci aveva consigliato di adottare accorgimenti od opportunità per conseguire migliori risultati e favorire con ciò un più sollecito trasporto. A volte conveniva mostrare un cartello indicante la località da raggiungere, in altri casi era opportuno creare un gruppetto, due o tre persone, tutt’insieme per raggiungere la stesso luogo. In alternativa ci si recava presso una stazione di servizio, chiedendo il “passaggio” agli automobilisti che si fermavano per il rifornimento. In generale era sconsigliato fare l’autostop nelle ore serali o nella notte fonda, in quanto c’era la obiettiva difficoltà di mettersi in evidenza o di giudicare visivamente sia l’autista sia in mezzo al quali avremmo richiesto il “passaggio”.
Ma chi erano gli autisti, così generosi, da offrirti un “trasporto” nella propria auto? Anzitutto si trattava di uomini che trovandosi da soli in auto, desideravano avere una compagnia per intrattenere una qualche “chiacchiera”e rendere così meno noioso il viaggio. Qualcun altro, spinto da sincero altruismo, riteneva farti un piacere caricarti sulla propria auto. Infine ho lasciato per ultimo l’autista che ti dichiarava, mentre tu salivi sull’auto:«Vado di corsa! Non avrà paura se vado veloce?». In questo caso era evidente che non gli interessava accennare ad un colloquio e forse voleva mostrarti semplicemente le sue capacità di guida.
Come lasciano intravedere queste ultime righe del mio racconto, fare l’autostop, poteva essere occasione di “incontri avventurosi” e qualche volta con sorprese del tutto inaspettate. Al riguardo vorrei parlarvi della volta che con il mio caro amico Celsino, decidemmo di recarci, per trascorrere un bel fine settimana al mare, alla spiaggia di Porto Garibaldi. Poiché tornava conveniente limitare, per quanto possibile, le spese, pensammo di raggiungere i lidi ferraresi utilizzando l’autostop e di pernottare o in una pineta vicino alla spiaggia o meglio su qualche lettino, vicino al mare. Come partenza scegliemmo di andare a Poggio Rusco, per fare l’autostop lungo la strada Virgiliana (ex- SS 496) in quanto aveva un maggior traffico veicolare diretto a Bondeno. Mentre aspettavamo, appena fuori Poggio, un passaggio, venimmo avvicinati da un ragazzetto, un po’ più giovane di noi che ci chiese dove eravamo diretti. Alla nostra risposta:«Al mare, a Porto Garibaldi!», egli così commentò:«Quasi, … quasi, piacerebbe anche a me andare al mare, anzi, se siete d’accordo vengo con voi!». Rimanemmo perplessi per questa affermazione, ma non ci stupimmo più di tanto in quanto allora era frequente vedere autostoppisti sui bordi delle strade. E poi aggiunse:«Mi chiamo Gianni, sono di Poggio e vado spesso al mare a Porto Garibaldi con la mia famiglia. Potremmo andare nello stesso alberghetto, che tiene abitualmente una camera per noi». Questa ultima opportunità tornava comoda anche a noi, potendo dividere le spese in tre. Demmo perciò il nostro assenso a Gianni di accompagnarci nel viaggio. Al ché Gianni lasciò la sua bici lungo il fosso, a bordo strada. Raggiunto Porto Garibaldi nel primo pomeriggio, dopo aver usufruito di svariati “passaggi”, andammo in spiaggia per goderci il mare. Alla sera ci recammo nell’albergo indicato da Gianni, per trascorrere la notte. Il gestore dell’hotel effettivamente conosceva Gianni ed aveva con lui molta confidenza. La mattina del giorno successivo, al risveglio, sentimmo bussare alla porta della camera. Al nostro:«Chi è?», la risposta fu:«Carabinieri!!». Gli agenti entrando chiesero:«Chi di voi tre è Gianni?». A quel punto Gianni si sentì in dovere di giustificarsi dicendo che era partito per il mare, senza aver avuto il tempo di avvertire i suoi genitori. Con ciò la verità è emersa in modo chiaro. Gianni, evidentemente uno “scavezzacollo”, abituato a questi comportamenti, aveva spaventato i famigliari, tanto più abbandonando la bicicletta “lungo il fosso”.
Tuttavia, anche a seguito di fatti incresciosi e tragici, il fare l’autostop, a metà degli anni ’80, passò di moda. I genitori stessi invitavano i loro figli adolescenti a non utilizzare tale forma di trasporto per spostarsi. Con l’aumento della motorizzazione in ogni famiglia, vi era almeno una autovettura che poteva supplire alle esigenze di mobilità, per ragioni di studio o di semplice accompagnamento.