Giovanni Pico ricordato da Francesco Molinari sul primo numero dell’Indicatore Mirandolese – Anno 1877
Nell’ accingerci a scrivere un рeriodico destinato principalmente a conservare ed illustrare le memorie di questa Città, che fu già sede gloriosa della principesca famiglia Pico, il pensiero e la penna ricorrono
tosto a quel Grande, che fu la più splendida illustrazione cosi della nobilissima sua progenie, come della terra che gli fu madre avventurata.
Ed in vero crederemmo di venir meno ad un dovere di cittadini amatori della gloria del loro paese, se non consacrassimo le prime linee della nostra pubblicazione a ricordare brevemente LA FENICE DEGLI INGEGNI ed a rendere omaggio alla sua immortale memoria.
Giovanni Pico nacque nel castello della Mirandola, il 24 febbraio 1463, da Gio. Francesco I Pico e da Giulia di Feltrino Boiardo, Signore di Scandiano.
Fino dall’ infanzia diede saggio di straordinaria penetrazione di ingegno e di quella prodigiosa memoria, che fu la caratteristica del suo genio sovrumano. Infatti appena sentita la lettura di un libro in
prosa od in versi, egli ne ripeteva parola per parola lunghissimi squarci nell’ordine naturale ed anche inverso.
Per aderire ai desideri della madre, compiuto appena il secondo lustro d’età, abbracciò lo stato есclesiastico, e fu insignito del grado di Pratonotario Apostolico.
Allo studio della teologia e della filosofia Giovanni Pico aggiunse quello delle lettere e delle lingue, delle quali, giunto al 18 anno, dicesi ne conoscesse ben ventidue.
Dopo aver visitate le più celebri Università dell’ Italia e della Francia, per approfondirsi nella filosofia scolastica e nella dottrina d’ Aristotile, nel 1486, regnando Innocenzo VIII, si recò a Roma, ove diede splendide prove del suo acutissimo ingegno e della sua immensa erudizione esponendo al pubblico le sue novecento celebri Proposizioni relative ad ogni ramo dello scibile umano e chiamando a dispota sulle medesime tutti i sapienti del suo tempo.
Queste proposizioni, che ancor mangono frá le opere di Giovanni, sebbene si riferiscano in gran parte alla magia, alla cabala e ad altre frivole quistioni, pure gli procurarono la fama di uomo meraviglioso e quasi divino. L’ invidia degli emuli cercò di denigrarlo, accusan dolo di eresia e di costumi depravati. Si difese contro la prima accusa divulgando la sua Apologia ed Alessandro VI riconobbe la su innocenza con breve delli 18 giugno 1493. Alla seconda rispose riformando pienamente i suoi costumi dedicandosi alla pietà, alla ritiratezza ed allo studio della religione.
E per ciò dopo aver fatta rinunza del Principato al nipote Gio. Fracesco, egli viveva tranquillamente a Firenze, occupato negli esercizi delle più elette virtů verso i poveri e ignoranti, confortato dall’amicizia di
Marsilio Ficino, del Poliziano di Lorenzo de’ Medici, che lo amavano qual fratello. Poco però eşso godette di tale tranquillità, poichè nel 4 Novembre 1494 fu colto da malattia mortale ed il 17 dello stesso
mese, giorno in cui Carlo VIII re di Francia entrò in Firenze, moriva nella verde età di anni trentuno. Il suo cadavere fu deposto nella chiesa di S. Marco, e sulla sua tomba fu scolpita la seguente epigrafe, che
nel suo laconismo è eloquentissima:
Joannes Jacet Hic Mirandula: Cetera norunt – Et Tagus et Ganges; Forsan et Antipodes. – Ob.an. sal. MCCCCLXXXXIIII. vix.an. XXXIII.
Giovanni Pico fu di statura alta e di sembianze angeliche; ebbe occhi cеrulei e svegliati, chioma bionda ed inanellata – Oltre alle sue famose Proposizioni, compose diverse altre opere, ristampate più volte e lodate
assai per la eleganza e facilità del dettato. Fra queste vanno notate le sue Disertazioni contro l’ astrologia giudiziaria, nelle quali combattè questo pregiudizio cosi forte nella sua epoca; non senza però dare a conoscere come egli fosse bensì contrario all’astrologia, quale veniva considerata nel tempo in cui viveva, ma ne ammettesse un’ altra da lui chiamata antica e veritiera, colla quale credeva di poter prevedere
con sicurezza le cose future. Del resto però quasi tutti i biografi del Pico sono concordi nell’ attribuirgli il merito di aver distrutta la dottrina astrologica, tanto in voga nel secolo XV. Le sue opere, destinate
in gran parte a combattere errori e pregiudizii che oggi più non esistono, sono adesso sepolte nell’ oblio; la fama però del suo nome, che si è conservata altissima attraverso ai secoli fino a noi, dimostrano ad evidenza come, fra i grandi uomini della sua età, egli avesse un posto distintissimo. E a deplorare non poco che un ingegno cosi potente si perdesse dietro la cabala, la magia ed altre frivolezze. I pregiudizii
dei tempi in cui viveva ne rendono certo minore la colpa. Se fosse vissuto in epoca più propizia agli studii filosofici ed avesse avuto giorni più lunghi, sarebbe stato facilmente il vero restauratore della filosofia.
I Mirandolesi, dopo oltre tre secoli dalla morte del loro grande Concittadino, gli eressero nel 1824 nel tempio di S. Francesco un busto marmoreo; tardo e troppo modesto omaggio alla memoria di un Genio
il cui nome risuona ancora glorioso dall’uno all’altro polo. Facciamo voti ardenti affinche per cura speciale del patrio Municipio sorga presto nella città nostra un monumento più degno della Fenice degli Ingegni.
F.M.
Francesco Molinari