Livio Bonfatti – Curiosità – La Stazion di Rosp

Livio Bonfatti – Curiosità – La Stazion di Rosp

16 Agosto 2025 0
Livio Bonfatti

Livio Bonfatti, mirandolese di nascita (1947), ha conseguito il diploma di geometra nel 1968. Ha svolto l’attività lavorativa presso l’Ufficio Tecnico del Comune di Mirandola. Dal 1985 al 1988 ha collaborato alle iniziative editoriali della casa editrice “Al Barnardon” mediante articoli e con impegni redazionali. Dal 1988 è socio della Associazione culturale Gruppo Studi Bassa Modenese e partecipa attivamente alla elaborazione di progetti editoriali. Contemporaneamente pubblica numerosi articoli sulla Rivista semestrale dell’ Associazione. Gli argomenti trattati spaziano dalla idrografia antica, alla geomorfologia storica, ovvero mettendo a fuoco quella che definiamo la “storia del paesaggio”, accompagnata da una puntuale ricerca archivistica. Il territorio preso in esame è quella parte di Pianura Padana  che si distende dalla via Emilia sino al Po.

Principali pubblicazioni.

  1. Bonfatti, Mirandola sulla Secchia, in La Sgambada , 5ª edizione, Mirandola 1985.
  2. Calzolari- L. Bonfatti, Il Castello di Mirandola dagli inizi del Settecento alla fine dell’Ottocento: “descrizioni”, documentazione cartografica e trasformazioni planimetriche, in Il Castello dei Pico. Contributi allo studio delle trasformazioni del Castello di Mirandola dal XIV al XIX secolo, Mirandola 2005.
  3. Bonfatti, Manfredo del Fante. La Bassa Modenese sul finire del XII secolo, vista attraverso le vicende di un cavaliere medievale, «QBMo», 70 (2017).

-Curiosità- “La stazióñ di rósp”

Nei primi anni ’50 del secolo scorso mi capitava, di frequente, di accompagnare mio padre Eolo a far visita alla sorella Ebe, sposata al signor Pollastri, del Cristo di Quarantoli.

Era per me un lungo viaggio in bicicletta, anzi seduto sulla canna, in quanto non possedevo ancora una mia biciclettina e la bici di mio padre aveva un meccanismo di frenatura, freno con il contropedale, difficile da gestire. Come al solito si partiva da Crocicchio Zeni per dirigerci verso Mirandola e già questo era una conquista, poter osservare una cittadina che non conoscevo, in quanto a Crocicchio era d’abitudine andare al mercato domenicale di Cavezzo.

Mi stupivo dei bei viali alberati, dell’imponenza degli edifici, delle piazze. Tutto ciò rappresentava per me una novità, sconosciuta. Ed allora tempestavo mio padre di domande: «Cus’èl?», «Cum s’ ciàmla?» e se incontravamo qualcuno che ci salutava: «Chi èl?», «Cussa fàl?». In effetti mio padre lavorava a Mirandola, alla carrozzeria Barbi e quindi conosceva molti mirandolesi. Lasciata Mirandola ci indirizzavamo verso Quarantoli, anzi oltre, per arrivare al Cristo. Non capivo perché quella località avesse questo strano nome. Solo diversi anni dopo e giungendo al Cristo, provenendo dalla via Cagarello, ora via Dei Fabbri, ho potuto vedere il Crocifisso collocato in una nicchia, nel muro del bar del paese.

La zia Ebe ci riceveva, assieme a mio cugino Eliseo, sempre festosa, contenta di vederci, perché i legami fraterni, fra lei e mio padre, avevano superato dolorosi drammi familiari, che li avevano segnati profondamente. Infatti la prematura morte della loro mamma Maria, avvenuta nel 1922, a seguito di una febbre influenzale (forse l’ultima ondata dell’epidemia di Spagnola), che aveva ucciso oltre alla madre anche due sorelle, aveva reso orfani i cinque fratelli rimasti, di cui due femmine adolescenti e tre maschi in tenera età. Le due sorelle Ebe ed Egle avevano fatto da mamma ai tre fratellini. Devo anche dire che la famiglia di mio nonno Livio, bracciante agricolo, viveva nelle ristrettezze economiche, prevalenti in quel preciso momento storico, ma che avevano ancor di più uniti i familiari rimasti. Mio padre si ricordava che possedeva, allora, un solo fazzoletto, che la sorella Egle gli consegnava alla domenica, quando andava alla messa in chiesa e che glielo ritirava non appena fosse ritornato a casa.

Ma veniamo al vero motivo per cui valeva la pena che accompagnassi mio padre al Cristo di Quarantoli, ovvero in quella località passavano i treni sulla vicina linea ferroviaria. Ed ecco mentre Eolo parlava con la zia Ebe, io prestavo attenzione alla campanella che suonava, ogni qualvolta fosse in arrivo un convoglio ferroviario, per avvertire dell’abbassamento delle sbarre nel passaggio a livello sulla via Valli. In questi casi io correvo, velocemente, sulla via per riconoscere il tipo di trasporto di passaggio ed in particolare, se si trattasse di un treno merci, contare il numero di vagoni costituenti il convoglio e le caratteristiche della merce trasportata. Rappresentava perciò, per me, un gioco e una sfida, nel poter essere tempestivo all’arrivo del treno e nel contare i vagoni, determinando, in anticipo, anche la stazione di provenienza, cioè da Mirandola o da Poggio Rusco.

Devo dire che dopo alcune volte, in diverse occasioni, ero diventato “bravino” a svolgere questo preciso compito che mi ero dato ed ero quindi soddisfatto di me stesso per essermi migliorato sia nella conta dei vagoni sia nel prevedere il luogo di provenienza. Tuttavia questa mia precisione non corrispondeva sempre alla tempistica dei convogli. Infatti a volte le sbarre del passaggio a livello rimanevano abbassate senza che passasse, per un lungo tempo, alcun treno. Ciò mi disorientava, mancandomi una precisa ragione. Di questa circostanza ne parlai con mio cugino Eliseo ed egli così mi rispose: «Sè! Sa càpita che un treno, cal ven da la stazióň ad Poggio, al gh’à ad’ bisogn ad farmaras a la “staziòň di rósp”!». Stupito dissi: «La “stazióň di rósp”! Cus’èla!». Sempre mio cugino mi spiegò la ragione di questo nomignolo. Occorre dire anzitutto che allora la tratta ferroviaria Bologna – Verona era a binario unico, per cui era indispensabile che i convogli giungessero nelle stazioni intermedie ad un preciso orario, così come da “tabella di marcia”.

 Qualora il treno, per ragioni impreviste, fosse stato, per i treni in uscita dalla stazione di Poggio, in anticipo, doveva essere rallentato od anche fermato, per rispettare la tabella oraria. In particolare era stato definito il luogo dove tale manovra era possibile, cioè nel tratto fra il casello/stazione di Tramuschio e il passaggio a livello del Cristo, nelle adiacenze di un fabbricato abitato da un ferroviere e dalla sua famiglia. In buona sostanza, in mezzo alla valle, a poca distanza dal fondo agricolo della Falconiera. Analogamente valeva per i convogli ferroviari in uscita dalla stazione di Mirandola. Tuttavia tali manovre apparivano inspiegabili agli ignari passeggeri ed ancor di più agli agricoltori che stavano coltivando i terreni a ridosso della ferrovia. Proprio quest’ultimi, non vedendo salire o scendere passeggeri, in queste estemporanee fermate, affibbiarono un nomignolo a questo luogo, ovvero “la staziòň di rósp”, in quanto ritenevano che solo i rospi, del vicino canale Quarantoli, potessero usufruire dell’accesso al treno.

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