Livio Bonfatti – Considerazioni su i “sugui con la carpàda”
Livio Bonfatti, mirandolese di nascita (1947), ha conseguito il diploma di geometra nel 1968. Ha svolto l’attività lavorativa presso l’Ufficio Tecnico del Comune di Mirandola. Dal 1985 al 1988 ha collaborato alle iniziative editoriali della casa editrice “Al Barnardon” mediante articoli e con impegni redazionali. Dal 1988 è socio della Associazione culturale Gruppo Studi Bassa Modenese e partecipa attivamente alla elaborazione di progetti editoriali. Contemporaneamente pubblica numerosi articoli sulla Rivista semestrale dell’ Associazione. Gli argomenti trattati spaziano dalla idrografia antica, alla geomorfologia storica, ovvero mettendo a fuoco quella che definiamo la “storia del paesaggio”, accompagnata da una puntuale ricerca archivistica. Il territorio preso in esame è quella parte di Pianura Padana che si distende dalla via Emilia sino al Po.
È autunno!… Allora si vendemmia! L’è al mument ad far i sùgui!!
Verso la fine di settembre, o ai primi di ottobre, si rinnovava ogni anno la consuetudine di andare dallo zio Tonino, a Quarantoli, a trascorrere una piacevole giornata, di solito il sabato, per vendemmiare.
Ci riceveva la zia Lella, già ostetrica dell’ospedale di Mirandola, che aveva accompagnato i parti di Donata ed aveva quindi visto la nascita dei nostri figli. Mentre Stefano e Chiara facevano confidenza con gli animali del cortile e visitavano i torelli, ospitati nella stalla, io, Donata e mia suocera Maria, andavamo lungo le piantade per vendemmiare l’ûa d’or. Non eravamo soli, perché nel corso della giornata ci raggiungeva Tonino, poi nel pomeriggio, tutta una parentela dei Papotti, che coglieva l’occasione per fare una rimpatriata di famiglia. Ed ecco che in un solo pomeriggio eravamo aggiornati,– vita, morte e miracoli – di tutti i gradi delle persone consanguinee, facenti parte del casato Papotti, risiedenti in Quarantoli o nel contado.
Il compenso per tutto questo impegno familiare era costituito da dû pilǒñ di mosto che lo zio Tonino ci portava, dopo averlo spillato direttamente dal tinàzz. Questo preziosissimo e rosato prodotto vinicolo costituiva la base per fare i sùgui o sugoli, che dir si voglia. Tutta la mia famiglia assaggiava questa prelibatezza della tradizione mirandolese. Però notavo, che mangiandone io un po’, più degli altri, i sùgui mi provocavano acidità di stomaco, dovuto essenzialmente al grado zuccherino raggiunto dal mosto nel corso della fermentazione.
Sentito il parere dei nostri vecchi, saggi della loro esperienza di vita, ci venne suggerito di preparare i sùgui con la carpada. Anzi se ne volevamo assaggiare di sùgui buoni, fatti come si faceva una volta, cioè fatti come Dio comanda, dovevamo andare alla Sagra di Santa Giustina alla Vigona.
Ed infatti a ridosso del 7 ottobre, giorno dedicato alla Santa, partecipavamo alla manifestazione che si teneva nel sagrato della chiesa. Alla fine di pesche e lotterie varie a beneficio della parrocchia, alcune signore procedevano a somministrare bicchieri, in plastica, ripieni di sùgui. Ed allora era tutto un precipitarsi, dei convenuti cittadini mirandolesi, ad acquistare la nostra specialità, temendo di giungere in ritardo e rimanere senza.
In effetti i sùgui preparati da anziane delle famiglie Borsari-Campagnoli erano eccezionali. Non solo erano dolcissimi, non disturbavano affatto lo stomaco, ma erano stati cotti in un paiolo di rame, posto in una fugazza, riscaldata con un fuoco di legna. Il fumo che si propagava o forse la stessa cenere che svolazzava sul paiolo, conferiva ai sùgui un ché di asprigno, che arricchiva la nostra specialità di un tocco del tutto agreste. Vuoi per merito “dell’aria” della Vigona, vuoi per la qualità di uva utilizzata, quei sùgui risultavano inimitabili. E proprio come dice quel proverbio mirandolese: « Sat vǒl andgàrat, va in du gh’è dimóndi acqua!», andai a trovare il mio caro amico Alberto Campagnoli della Vigona[1], e gli ho detto:«Ve’ Alberto!, Ho pinsà ad dàrat na mañ a villmàr (vindèmiar),… an voi minga di sòld, ma at‘ dmànd ad dàrum na casètta d’ûa bona, par far i sùgui».
Ed infatti per una decina d’anni, a fronte di due giornate di vendemmia, potevo procurarmi due cassette di uva, qualità lambrusco Salamino, scegliendo i grappoli più maturi. Il resto della preparazione dei sùgui era di competenza di Donata. Ed infatti solo una donna poteva avere l’avvertenza di usare la pentola giusta, cosi come per l’altra attrezzatura necessaria, in quanto i sùgui “i macciàn dimondi e dòp a ghè da pulir con la vàrechina”. Dopo aver sgranato i grappoli d’uva si mettevano gli acini a bollire in una pentola d’acciaio, badando di far scoppiare la maggior parte degli acini. Poi bisognava, con un colino di plastica, scolare il mosto in un altro contenitore sempre in plastica, provvedendo a schiacciare, con un cucchiaio d’acciaio, i chicchi che non erano scoppiati durante la prima bollitura. Tutto il mosto così ottenuto doveva essere rimesso nella prima pentola per una seconda bollitura. Era il momento eventualmente di aggiungere zucchero alla bisogna, ma a questo punto doveva essere versata, a pioggia, la farina, mescolando continuamente. Vi devo dire che non ho mai saputo la quantità di farina necessaria per ogni litro di mosto, forse Donata riteneva che fosse “un segreto di Stato”, oppure come lei diceva che “l’andava a òcc’”, partendo da 100grammi di farina per ogni litro di mosto, comunque la quantità di farina impiegata condizionava “pesantemente” la durezza dei sùgui.
La durata della bollitura era circa di 40 minuti, badando bene di mescolare sempre e “schiumare” al “capèll” del mosto. Un ultimo consiglio, versate i sùgui in vassoietti di alluminio o plastica e non in ciotole o tazze di casa, perché se regalate i sùgui non sempre la tazza ritorna a casa vostra, con “spaiamento” di eventuali servizi.
[1] L’amico di una vita, Alberto Campagnoli è Maestro assaggiatore dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena ed è il titolare e produttore della Acetaia della Vigona, ospitata in via Vigona, 4 a Mirandola.