Coppa di testa e Testa imbastita
Oltre alla coppa tradizionale, ricca di sapori e di profumi e così buona quando viene stagionata nelle zone di Piacenza e di Parma, nel Mirandolese c’è sempre stata e c’è ancora la tradizione di produrre le famose coppe di testa e l’altrettanto celebre Testa imbastita.
Queste sono due specialità tipiche della tradizione salumiera mirandolese e, se la coppa di testa si può trovare in varie altre località, la testa imbastita si trova solo nella zona di Mirandola. Vediamo dunque di cosa si tratta.
La coppa di testa si ricava dalla parte magra superiore del collo del maiale: prima della debita stagionatura è come una grossa bistecca che assomiglia vagamente alle famose coppe di Parma e di Piacenza o anche all’altrettanto celebre capocollo calabrese. La grossa fetta di carne viene accuratamente rifilata, poi salata a mano e alla fine infilata in un budello suino per asciugarsi e poi stagionare. La coppa di testa è un’eccellente accompagnatrice della polenta ma va bene anche in mezzo ad un panino.
Abbastanza diverso e assolutamente caratteristico – come ci informa Franco Pozzetti, originario di Cividale, frazione di Mirandola – è il caso della testa imbastita. In effetti, la testa imbastita sembra essere più tipica di Cividale che della Mirandola
Per ottenere questo strano salume è necessario tagliare di netto la testa del maiale, comprese le orecchie, naso e cervello del povero suino. Dopo una lunga cottura, che non può durare meno di cinque o sei ore, la testa cotta viene fatta riposare e poi, quasi per miracolo, in modo naturale, la parte ossea, denti e occhi compresi, si stacca dalla polpa. Cioè si verifica un disosso praticamente automatico. Quando la parte carnosa della testa si raffredda, essa viene condita con sale, pepe, cannella e chiodi di garofano. Poi viene infilata dentro un grosso budello e infine lasciata riposare. Dopo un paio di settimane, la testa imbastita è pronta per il consumo.
Ci è stato spiegato che a qualcuno piace addirittura mangiare perfino gli occhi del maiale, sempre secondo l’antica regola secondo la quale del povero suino non si deve buttare via proprio nulla.
Queste sono alcune delle specialità salumiere della Bassa modenese, ma è evidente che in materia di secondi piatti la cosa non finisce lì.
Tratto da “La cucina mirandolese” di Giuseppe Morselli – Edizioni CDL