Quarantoli – Frazione di Mirandola

Quarantoli – Frazione di Mirandola

10 Marzo 2022 2

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Ci sembra giusto ricordare le nostre frazioni, un tempo ricche di storia e, sempre più spesso, dimenticate e trascurate.

Pieve di Santa Maria della Neve

QUARANTOLI

Rinvenimenti archeologici, specie nelle zone di Mortizzuolo, Cividale, Quarantoli, ci parlano di piccolissimi villaggi di terramaricoli, della loro povera vita. Siamo nell’età del bronzo.

Reperti archeologici del periodo romano ci assicura­no dell’esistenza di Quarantoli in quest’epoca e della sua importanza al tempo dei Longobardi: era sede di una curia, ossia di una corte dominatrice di tutta la zona valliva e boscosa compresa fra i due fiumi Secchia e Pa­naro: era il territorio che più tardi diventerà il ducato di Mirandola. A tale importanza è certamente legata la pieve di Santa Maria della Neve, che è l’unica chiesa romanica di tutto il territorio.

Il primo documento scritto su «Quarantula» risale all’842 e «intorno al 1000 la corte di Quarantola si pre­sentava come il centro religioso e civile più importante della zona» (Franco Tonini).

Per quanto se ne sa, il toponimo Mirandola fa uffi­cialmente la sua prima comparsa in un rogito del 1050, conservato a Reggio Emilia, sul quale viene fatto dono alla chiesa di S. Michele, in quella città, di un terreno in un luogo «qui dicitur Mirandula» (che è detto Mi­randola): è un terreno arativo e con viti. La semplice indicazione apre un piccolo spiraglio sull’agricoltura della zona, che dipende dalla corte di Quarantoli dove sorge una pieve. Già possesso dell’abbazia di Nonantola, fu da questa ceduta in enfiteusi, per l’annuo canone di dodici denari lucchesi e metà delle anguille, dei pesci e dei cinghiali che vi si catturassero, a Bonifacio, marchese di Toscana. Sua figlia, Matilde, la grande contessa di Canossa, ne infeudò un suo fido capitano, Ugo di Manfredo, con l’obbligo di continuare a pagare al mo­nastero il canone suddetto (26 gennaio 1115).

I suoi numerosi discendenti, noti come «Figli di Manfredo» divisi in varie famiglie, governarono per cir­ca due secoli il territorio in «consorteria», insieme, il che non significa d’accordo.

Nel 1318, racconta il cronista Ingrano Bratti, e que­sta volta gli si può credere, i Figli di Manfredo «elessero cinque di loro Consorti delli più sapienti e Etterati, e cioè Guido et Lanfranco di Pij, Bartholomeo Pico detto Capino della Mirandola, Giovanni di Papazzoni et Gio­vanni Padella, dandogli amplissima facoltà di reformare et ordinare meglio di novo li loro antiqui statuti di essa corte de Quarantola… per il ben vivere delli loro vassalli et del dominio suo…. Questi saggi fecero bellissime ordinationi». Stabilirono anche «che uno de loro vassalli salariato di continovo stesse sulla torre antica sopra lo ponte del Castello della Mirandola, ove sono le campa­ne del Comune di esso castello, acciò chel detto vassallo fidelmente guardasse bene con bona et diligente custo­dia così di notte corno de giorno lo predetto Castello da nemici, et che di giorno facesse segno con tanti bottj della campana grande quanti cavalli potesse vedere lon­tano per approssimarsi alla detta terra della Mirandola, affinché bisognasse, tutta la Corte de Quarantola coll altrj suoi Castelli fusse meglio et presto preparata ed advertita a pigliare l’armi contro chi volesse molestare o danneggiare in conto alcuno essa terra della Mirandola et Corte de Quarantola».

Il 28 novembre 1354, con un suo diploma, l’impera­tore Carlo IV di Lussemburgo assoggettò all’Impero le corti di Quarantoli, S. Possidonio e il castello di Mi­randola, e ne investì la consorteria dei Pico.

L’ultimo scorcio del Trecento va anche ricordato per un atto giuridico che definisce e consolida la strut    tura amministrativa del feudo. Nel 1386 si provvide, in­fatti, alla stesura degli «Statuti della Terra del Comune della Mirandola e della Corte di Quarantoli», ad opera di giuristi sicuramente esperti di diritto romano.

Nel Quattrocento, Giovanni Pico dovette rendersi conto della modestia della sua Mirandola: una rocca an­cora di tipo militare circondata da piccoli, poveri bor­ghi. Non aveva nemmeno una chiesa parrocchiale, ma ancora dipendeva, per la cura d’anime, dalla Pieve di Quarantoli. La chiesa, a quel tempo, era considerata l’e­dificio pubblico più importante, il simbolo di una città: la popolazione vi si riuniva non soltanto per le solennità religiose, ma anche per gli atti più importanti della vita civile e politica. Possiamo immaginare la soddisfazione dei mirandolesi all’annuncio che Papa Eugenio IV ave­va dato il permesso di erigere una pieve, con fonte bat­tesimale e annesso cimitero. I lavori di costruzione del tempio, l’attuale Duomo, affidati ad un ignoto architet­to, iniziarono nel 1440. Intanto Quarantoli veniva «ri­dotta al rango di villa di Mirandola…Nel 1710 viene an­nessa con Mirandola agli Stati Estensi e segue le sorti di questa città nel periodo napoleonico, nell’annessione al Ducato Estense di Modena, fino all’Unità d’Italia» (Franco Tonini).

Nell’Ottocento agitazioni di braccianti (le prime in provincia di Modena) si ebbero a Mirandola sul finire dell inverno 1882, al grido di «Pane e lavoro». Fu un episodio circoscritto, ma si ripetè nel 1885, quando cir­ca duecento disoccupati di Gavello, di Tramuschio, Quarantoli, manifestarono davanti al Palazzo Comuna­le; erano disorganizzati ed ottennero solo qualche vaga promessa. Ma l’inverno continuava a portare sulla piaz­za sempre la stessa implorazione «Pane e lavoro», che, inascoltata, provocava tumulti, sedati con l’intervento militare e con gli arresti. E proprio un capitano dei Ca­rabinieri si chiede, in un suo rapporto del 18 marzo 1898, se non sarebbe più opportuno «…preparare fin dalla bella stagione lavori per essere in grado di distri­buirli ai braccianti lorquando s’appressa l’inverno, senza bisogno che questi li ottengano per mezzo di dimostra­zioni, con grave danno anche del prestigio delle autori­tà…». Parole vane. Il prefetto di Modena sciolse le coo­perative e i circoli socialisti e cattolici di Mirandola, Concordia, S. Giacomo, Quarantoli «per eccitamento dell odio di classe». Da Reggio Emilia a Ravenna la re­gione fu posta sotto controllo militare.

Il 1908 finisce con un durissimo sciopero agrario, che coinvolge braccianti, mezzadri, terzadri, mentre cin­quecento soldati presidiano la zona; dopo tre mesi di lotta si conclude, a dicembre, con un accordo fra i pro­prietari, che si sono uniti in Associazione e la Fede­razione delle Leghe, forte di 12.000 iscritti.

1909. La sinistra vinse le elezioni amministrative e riconquistò il Comune, ma al suo interno patì polemi­che, fratture, ricomposizioni che si accentuarono al mo­mento della guerra di Libia (1911-1912) e soprattutto allo scoppio della prima guerra mondiale, la quale gravò in infiniti modi su una zona dall’economia precaria co­me il mirandolese.

A Mirandola, durante il ventennio fascista, l’ormai pluridecennale problema della disoccupazione, sempre crescente, non conobbe soluzioni nuove o efficaci: si fa­vorirono movimenti migratori stagionali, come quello delle mondine, che a centinaia andavano nelle risaie pie­montesi; si limitò l’impiego di alcuni mezzi meccanici per aumentare i posti di lavoro; si ricorse ai lavori pub­blici. I canali di bonifica e irrigazione, con impiego di scarriolanti e lavoratori manuali, resero fertili molte zone vallive, che, però, non venivano debitamente sfruttate.

Il benessere continuava ad essere di pochi, il mal­contento era grande. Mussolini volle dare un particolare segno della sua attenzione alla città di Mirandola, do­nandole 50.000 lire. Era il 1939, l’anno di quella che, per i tedeschi, doveva essere la «Blitzkrieg», la guerra è lampo, ma durerà sei anni e seminerà morte e rovina in Europa, in Africa, in Asia.

A Mirandola, come altrove in Italia, si videro partire i giovani per fronti lontani, si soffrirono privazioni e paure, che si fecero più grandi dal 1943.

Quando, caduto il fascismo, l’8 settembre il governo italiano firmò l’armistizio con gli alleati, la notizia fu ac­colta con un sollievo, che ben presto si trasformò in sgomento di fronte al dissolvimento del nostro esercito, alla deportazione dei soldati in Germania, all’ occupazione tedesca, alla costituzione della Repubblica di Salò.

La Resistenza si fece strada lentamente e con diffi­coltà nei paesi della Bassa, dove solo i comunisti ave­vano una lunga esperienza di clandestinità. Avendo conservato, durante il ventennio fascista, un embrione di organizzazione potevano guidare la lotta armata, di cui diventarono egemoni. I «Piccoli Apostoli» di don Zeno, laici e sacerdoti, si dedicarono con abnegazione al soccorso di ebrei, prigionieri, perseguitati. A Miran­dola si formò anche un piccolo nucleo di aderenti al Partito d’Azione.

Il territorio di Mirandola non vide fatti d’armi di ri­lievo, ma azioni contro tedeschi isolati, e sabotaggi, fra i quali quello contro la trebbiatura, che coinvolse anche i contadini per evitare che il grano, portato all’ammasso, finisse razziato e sottratto quindi alla popolazione.

A guerra finita, occorreva un grosso impegno per tornare alla normalità non tanto per i danni materiali, che a Mirandola non erano incommensurabili, quanto per le trasformazioni avvenute nella società, profonda­mente turbata sia per le dolorose esperienze sofferte, sia per il mutamento della situazione politica. La democra­zia si affermava tra contraddizioni ed errori, con una contrapposizione dura di partiti, dei quali il più forte era quello comunista.

Ai problemi politici si intrecciano quelli economici, aggravati da una forte inflazione che fino al 1947 non accenna a rallentare.

L’agricoltura assorbe sempre la maggior parte della popolazione attiva. Gli anni ‘50 sono contrassegnati da aspre lotte per i contratti della mezzadria, che riguar­dava il 54% dei terreni coltivati.

Alla fine, la parte spettante al proprietario viene ri­dotta al 40%, ma ormai l’antico sistema agrario si è al­terato, con l’introduzione di colture nuove, come quel­le dei prodotti ortofrutticoli e l’eliminazione di altre, ad esempio della canapa, soppiantata, per tessuti e cor­dami, da nuove fibre meno costose. Rimane fiorente l’allevamento del bestiame. Nel 1946 la mezzadria vie­ne abolita. Aumenta, allora, il numero dei coltivatori diretti, ma soprattutto si formano cooperative ed azien­de agricole, differenziate tra loro, che si avvalgono di salariati fissi. La meccanizzazione, sempre più elevata, crea nuovi disoccupati e si determina un flusso migra­torio verso le città industrializzate e un pendolarismo riguardante Carpi, dove è in rapida espansione il settore della maglieria. Mirandola resta ferma alle indu­strie alimentari, alcune di buon livello: caseifici, lavora­zione di carni suine, cantine, trasformazione di prodot­ti agricoli stagionali (barbabietole, pomodori, legumi, frutta). Nelle «Valli» esplode la coltivazione del coco­mero e del melone.

«La laboriosità dei Quarantolesi ha consentito la co­struzione di oltre 150 fra case e villette, tanto che il cen­tro ha subito una completa trasformazione, rinnovando­si tutto e assumendo l’aspetto di una tranquilla e mo­derna zona residenziale.

A testimonianza imperitura dell’antica gloria, resta la maestosa Pieve Romanica» (Franco Tonini).

Per secoli la pieve di Quarantoli fu la chiesa più im­portante della zona, almeno fino alla riedificazione di San Francesco a Mirandola.

Era in piedi fin dal settimo secolo e qualcuno so­stiene che essa era stata una cappella costruita su rovi­ne di un tempio romano. Nell’ultimo Seicento, col Ba­rocco imperante, la chiesa fu rifatta secondo il gusto del tempo e fu l’ultimo scempio nella storia di Quaran­toli. Passarono molti anni e nel primo dopoguerra l’ar­ciprete don Alberto Fedozzi attuò un piano organico che si proponeva per scopo il ripristino dell’antico edi­ficio.

La facciata, barocca, risale al 1670 ed è stata rima­neggiata in seguito. L’interno, a tre navate, è molto sug­gestivo per la scarsa luce che penetra dalle strette fine­stre. Il monumento più interessante è il pulpito, per le sculture antiche (scuola di Wiligelmo) che rappresenta­no i simboli degli evangelisti, nonché due telamoni ro­manici, utilizzati per reggere l’ambone. Interessante è anche l’altar maggiore, fatto di una mensa, che reca la data 15 novembre 1114, e di due pilastri romanici, di­versi fra loro. Anche il fonte battesimale fu composto, nel 1925, con elementi vari (romanici, rinascimentali e moderni). Altri pezzi notevoli sono: una grande tela del 1597, rappresentante il miracolo romano della neve (al quale si richiama il titolo della pieve), una Madonna col Bambino, del ‘300 (molto venerata), e due terrecotte, del ‘400 (Madonna col Bambino) e del ‘700 (Sacra Famiglia).

Di fianco alla chiesa è visibile una pregevole loggia, con bellissimi capitelli poggianti su esili colonne: mate­riale scultoreo del secolo XII. Un possente campanile romanico, a pianta quadrata, con ampie bifore al secon­do e al terzo piano, si innalza di fianco alla chiesa.

Tratto da: Enciclopedia Modenese

Autori: Giancarlo Silingardi – Alberto Barbieri

Il Segno dei Gabrielli Editori

Anno: 2000

2 comments on “Quarantoli – Frazione di Mirandola
  1. dante zucchi

    Non mi sembra corretto l’inizio.
    1- Si parla di Quarantoli al tempo dei romani e dei Longobardi, poi dice che la prima notizia di “Quarantula” è dell’842, probabilmente si voleva dire che in questo territorio (senza nome) esistevano villaggi terramaricoli.
    2 – Si parla di una curia e poi subito di una corte confondendo i due termini: la corte è una tipica struttura amministrativa a carattere privatistico per la conduzione di uno o più fondi; la curia è una struttura amministrativa a carattere pubblico di derivazione romana poi adottata come terminologia dalla Chiesa.
    3 – che questa curia fosse dominatrice del territorio fra i due fiumi Secchia e Panaro mi sembra strano, visto che il Secchia in quel periodo aveva un percorso ben diverso dall’attuale e nel contempo sullo stesso territorio il “dominus” era la più antica e prestigiosa abbazia di Nonantola e anche (nella parte ovest del territorio) la più antica Corte di Santo Stefano di Concordia.
    4 – visto che viene nominata anche Mirandola mi sembra che un accenno al famoso assedio da parte di Papa Giulio II della Rovere nel 1511 fosse dovuto.

    10 Marzo 2022 Reply
  2. dante zucchi

    “Per secoli la pieve di Quarantoli fu la chiesa più im­portante della zona, almeno fino alla riedificazione di San Francesco a Mirandola” Mi sembra difficile anche questa affermazione, visto la presenza di una importante chiesa plebana a San Possidonio con diversi canonici almeno fino al XII / XIII secolo. In seguito all’infeudazione dei Pico sul territorio da parte dell’Imperatore del S.R.I, alla distruzione del castello della Comunaglia (probabilmente da parte del Bonaccolsi, Podestà di MO e MN) , la costruzione di un nuovo e più moderno castello fecero della Mirandola un centro endemico di assoluta rilevanza nel territorio a partire dal XIV secolo.

    10 Marzo 2022 Reply
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