Luciana Tosi – Al dialètt e l’italiàan che fiin faraan?
“Da chi còo chè” è la terza raccolta di poesie dialettali carpigiane di Luciana Tosi, dopo “Al mee speec” e “Brisli ed vita”.
Poetessa autodidatta carpigiana, scrive, come da sue dichiarazioni, d’istinto, di petto, scrive come parla, con pochi accenti, semplicemente con qualche vocale doppia. Parla, pensa e sogna in dialetto e scrivere poesie è, per lei, una buona medicina per affrontare i momenti difficili che la vita riserva.
La poesia che segue ha, in fondo, la traduzione in italiano
AL DIALÈTT E L’ITALIÀAN CHE FIIN FARAAN?
Mo che incòunter stràan
tra al dialètt vilàan e l sgnoor italiàan.
I s’n iin diti ed tutt i culóor.
L’italiàan da sèmper superióor,
lee saltee sù con fervóor.
“Voi dialettali, la dovete piantare
siete da sempre una lingua volgare.”
Oh andòmm piaan col gl’ofeesi,
uèeter a si infièe e piin d’preteesi.
“Noi ovunque andiamo,
ci capiscono, dialoghiamo.
Voi, rendetevi conto, siete tre gatti,
come al solito strillate come matti.”
Chèer al mee sgnoor italiàan rafinèe,
a tulii di faat giir per diir un quèel,
nuèeter a sròmm grèss ma sincèer,
uèeter dal parooli a gh nii cavee un mistèer.
“Rendetevi conto, siete in estinzione,
siete più nel torto che nella ragione,
nessuno vi ascolta e vi capisce s
e continuate così mi infastidite.”
Quaand andeveen a scoola
la mìsstra la s’sighèeva,
perché in dialètt a s ciacarèeva,
l’era la lingua ed famja,
ma la mìsstra la n’al capiiva mia.
“Poveretta che fatica avrà dovuto fare
per insegnarvi la nostra lingua madre,
che deriva dal lontano latino,
l’abbiamo studiata ore e ore a tavolino.”
S’lee per quel lè, chèer al mée italiàan,
nuèeter a desgnòmm da bèin più luntàan,
la nostra lingua a l’òmm imparèeda,
tra i mùrr d’cà, dai noster vèec tramandèeda,
mèinter i feeven al paan o impieeven al fuglèer.
A ciacaròmm na lingua antiiga raijseeda,
na lingua simpatica, bèin mis-cèeda…
sè, bèin mis-cèeda col latèein, al tedeesck ,
al spagnool e francees,
a l’Uniòun Europeea nueeter a gh sòmm andee a tees.
“Non dite sciocchezze, guardate la realtà,
il dialetto più nessun lo sà,
fatevene una ragione e non a torto
rendetevi conto che il dialetto è morto!
Noi siamo il presente e il futuro.”
Come futuur al vdòmm piutoost scuur,
pcunsèin a la voolta, ogni dè
con l’inglees i val piaanten lè!…tiè
“Non ci sbagliamo, siete gretti e anche scorretti,
nessuno metterà mano sull’onorato italiano.
Vi saluto e le vostre maledicenze,
evidenziano i vostri limiti e tante carenze.”
Dla noostra lingua a sii esproprièe, prepotentemèint,
maa ueeter a gh pèinsa, sia l’Europa che l’Parlamèint
Vrii al gl’urèci, an s’peerla più italiàan,
la tecnologia, la s’fa ciacarèer americàan.”
Cheer i mee sgnóor, al giòmm con dulóor ,
ma fra sinquant’aan
an s’ciacararà più dialètt,
moo gnaan italiàan.
Traduzione
IL DIALETTO E ITALIANO CHE FINE FARANNO?
Ma che incontro strano tra il dialetto villano ed il nobile italiano!
Se ne son dette di tutti i colori.
L’italiano, da sempre superiore, è saltato su con fervore.
“ Voi dialettali la dovete piantare, siete da sempre una lingua volgare”.
“Oh, andiamo piano con le offese, voi siete boriosi, pieni di pretese”.
“Noi ovunque andiamo, ci capiscono, dialoghiamo.
Voi, rendetevene conto, siete tre gatti, come al solito strillate come matti”.
“ Caro il mio signore raffinato italiano, voi prendete complicati giri per dir qualcosa, noi saremo poveretti, ma siam sinceri, voi dalle parole traete dei misteri”
“ Rendetevi conto, siete in estinzione, siete più nel torto che nella ragione, nessuno vi ascolta e vi capisce, se continuate così, mi infastidite”.
“ Quando andavamo a scuola , la maestra ci rimproverava, perché in dialetto si parlava, era la lingua della famiglia, ma la maestra non comprendeva”.
“ Poveretta, che fatica avrà dovuto fare per insegnarvi la nostra lingua madre, che deriva dal latino, l’abbiamo studiata ore e ore a tavolino”.
“ Se è per quello, caro il mio italiano, noi veniamo da ben più lontano, la nostra lingua abbiamo imparato tra i muri di casa, mentre si faceva il pane e s’accendeva il focolare, i nostri vecchi ce 1’hanno tramandata.
Parliamo una lingua antica, radicata, una lingua simpatica, ben miscelata col latino, il tedesco, lo spagnolo e il francese, all’Unione Europea siamo andati vicino”.
“ Non dite sciocchezze , guardate la realtà, il dialetto più nessuno lo sa, fatevene una ragione e non a torto rendetevi conto che il dialetto è morto.
Noi siamo il presente e il futuro”.
“ Beh, il futuro lo vediamo piuttosto scuro, un pezzettino per volta, fetta su fetta ,ogni dì la globalizzazione , con l’inglese, ve lo ficcan lì”.
“ Non ci sbagliamo, siete gretti ed anche scorretti, nessuno metterà mano all’onorato italiano.
Vi saluto e le vostre maldicenze evidenziano le vostre carenze”.
“ Della nostra lingua ci avete espropriato prepotentemente, ma a voi ci pensano sia l’Europa che il Parlamento, aprite le orecchie, non si parla più l’italiano, la tecnologia ci fa parlare americano”.
Cari i miei signori, lo diciamo con dolore, ma ,fra cinquantanni, non si parlerà più il dialetto, ma neanche l’italiano.
Tratto da: Da chi còo chè (Da queste parti) – Poesie dialettali
Autrice: Luciana Tosi
Anno 2018