17 Novembre 1494 – Morte di Giovanni Pico della Mirandola – Studio sulle fattezze del nostro connazionale

17 Novembre 1494 – Morte di Giovanni Pico della Mirandola – Studio sulle fattezze del nostro connazionale

14 Novembre 2024 0

Su proposta del Comitato Nazionale per la Valorizzazione dei Beni Storici Culturali ed Ambientali di Roma, la Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola ha provveduto al finanziamento di “indagini” su i resti mortali di  Giovanni Pico.

Dopo sette mesi di indagini e studi, sempre la Fondazione, ha organizzato il rientro, dal 2 al 4 febbraio 2008, dei resti mortali di Giovanni Pico a Mirandola, i resti sono poi ripartiti per Firenze.

Tutte le informazioni che seguono sono tratte dal ben più particolareggiato ed esaustivo documento :

Peripateticus Miles – Vita, fattezze e morte di Giovanni Pico della Mirandola – Autori Bruno Andreoli e Giorgio Gruppioni

L’apertura delle tombe e la ricognizione dei resti

26 luglio 2007: nel chiostro adiacente il muro occidentale della chiesa di San Marco si procede all’apertura delle tombe di Pico della Mirandola, Angelo Poliziano e Girolamo Beninvieni. Sono presenti, alcuni membri dell’equipe scientifica (Giorgio Gruppioni, Bruno Andreolli, Francesco Mallegni e Stefano Benazzi), l’Arch. Vincenzo Vaccaro della Soprinten­denza ai Beni Ambientali ed Architettonici della Provincia di Firenze, le forze dell’ordine, alcuni addetti alla documenta­zione video sotto la guida del regista Paolo Montesi, nonché numerosi giornalisti. Tutto avviene sotto lo sguardo vigile e discreto del Padre Fausto Sbaffoni, Priore della Comunità dei domenicani del Convento di San Marco, e sotto la dire­zione del dott. Silvano Vinceti, promotore e organizzatore dell’operazione.

Verso le 11.30, due operai si apprestano ad aprire una breccia nel muro, in corrispondenza delle lapidi che indicano il punto in cui sono racchiusi i resti dei tre personaggi.

La cassa venne precedentemente aperta il 2 marzo 1940

«Il 2 marzo del 1940, alla presenza di funzionari della Soprinten­denza all’Arte Medioevale e Moderna, di illustri personalità del Centro di Studi sul Rinascimento e dei Religiosi di questo Con­vento, è stata fatta anche la ricognizione delle ossa di Pico della Mirandola e di Girolamo Benivieni, chiuse in una stessa cassa situata nell’interno di questa muraglia occidentale della chiesa».

Viene constatato che:

« Giova notare che questa è la quarta ricognizione poiché la cas­sa fu aperta nel 1590, nel 1699 e nella prima metà dell”800. Dentro la nuova cassa è stata racchiusa la vecchia che abbiamo voluto conservare».

Dunque che effettuò la ricognizione dei resti nel 1940 osservò ciò che anche noi stavamo ora vedendo: le spoglie di Giro­lamo Benivieni e del grande Pico della Mirandola affiancate l’una all’altra dentro la stessa cassa. Ma le diverse condizioni di conservazione dei resti indicano che il luogo di sepoltu­ra in cui furono originariamente deposti i due inumati e in cui avvenne la decomposizione del cadavere dovevano essere diverse. Il mantenimento quasi completo della connessione anatomica delle ossa attribuite a Benivieni, l’integrità del­le parti molli mummificate e del vestiario, nonché l’aspetto antico della cassa interna e i segni che si scorgono sul fondo e sulle pareti di essa plausibilmente attribuibili agli umori della decomposizione, tutto fa supporre che quella cassa rappresenti il luogo della originaria deposizione di Girola­mo Benivieni. Al contrario, le ossa del secondo inumato non sono certamente nella loro posizione originale, ma sono state spostate dopo che il cadavere si era già pressoché compietamente decomposto.

In base a queste osservazioni, si può immaginare che al mo­mento della morte, la salma di Benivieni sia stata deposta nella bara in cui si trova tuttora e che nella stessa bara siano state trasferite le ossa di Pico della Mirandola. Ciò potreb­be essere avvenuto al momento della sepoltura di Benivieni, dato che Pico era morto quasi cinquant’anni prima. Questa deduzione appare plausibile in quanto i resti attribuiti a Pico sono quasi completamente scheletrizzati e potrebbe essere avvalorata dal fatto che alcuni resti ossei di Pico mancano, so­prattutto quelli di dimensioni minori, il che fa pensare al tra­sferimento dei resti di Pico da un’altra sepoltura con perdita di alcuni degli elementi ossei più piccoli. Del resto il feretro del filosofo rimase per molto tempo insepolto, addossato a un muro sotto il porticato del chiostro del cimitero di San Marco, senza iscrizione né insegne, ed ebbe una vera e pro­pria sepoltura soltanto nel 1542, grazie all’offerta di un locu­lo comune da parte di Girolamo Benivieni, l’amico inconso­labile che, quando Pico morì, fu sul punto di suicidarsi per la disperazione e che volle essergli sepolto accanto. Non si può neppure escludere, in alternativa, che al momento della mor­te di Benivieni, sia stata riaperta la bara contenente le spoglie di Pico e le sue ossa siano state spostate su un lato della cas­sa per far posto alla salma del poeta fiorentino. Quanto alle piccole ossa mancanti, esse potrebbero essere andate perdute nel corso delle ricognizioni a cui sono stati sottoposti i resti in alcune occasioni, come ci informa la pergamena rinvenuta dentro la cassa.

Dai resti scheletrici attribuiti a Pico della Mirandola si evince che si tratta di un individuo sicuramente di sesso maschile, morto ad un età di poco supe­riore ai 30 anni, caratterizzato da statura molto alta (187-188 cm), e ciò tanto più se si considera che 500 anni fa l’altezza media della popolazione doveva essere sensibilmente minore rispetto a quella attuale, corporatura robusta e atletica, spalle larghe e testa grande ma ben proporzionata rispetto al resto del corpo. Le inserzioni muscolari molto forti che si osser­vano a livello del cinto scapolare e degli arti superiori, più a sinistra che a destra, fanno ipotizzare che il soggetto fos­se aduso a svolgere un’attività fìsica intensa, che impegnava maggiormente la metà superiore, sinistra del corpo.

La saldatura dell’articolazione sacro iliaca destra, che carat­terizza il bacino, condizione inattesa soprattutto in un adulto giovane, potrebbe avere una probabile origine traumatica ed essere, ad esempio, l’esito di una pesante caduta.

Quanto all’aspetto del volto, l’esame dello scheletro facciale rivela forme regolari, muscolatura relativamente forte e naso importante.

Nel complesso i tratti somatici che si ricostruiscono dallo scheletro si addicono ad un uomo giovane «…di aspetto in­signe e nobile, di statura alta ed eretta…», come Giovan Fran­cesco II, nipote di Giovanni Pico, descrive il famoso zio.

Il volto di Pico ricostruito in base al cranio

Il metodo prevede innanzitutto la creazione di una copia del cranio mediante la realizzazione di un calco in gesso, oppure attraverso la tecnica di prototip azione rapida, a partire dal modello virtuale del cranio acquisito tramite opportune teniche (scansione digitale mediante Tomografia Computeriz­zata (TC) o Scanner 3D).

Sulla copia del cranio vengono quindi individuati 34 punti, pari ed impari, previsti dal protocollo, su ciascuno dei qua­li vengono incollati dei pioli di altezza corrispondente allo spessore che i tessuti molli hanno in media negli individui in ognuno di quei punti. Successivamente, ogni muscolo faccia­le viene modellato in plastilina, tenendo conto dello sviluppo individuale dei muscoli masticatori e mimici del volto dedot­to da un esame minuzioso delle inserzioni dei muscoli stessi sulle ossa (in particolare sul mascellare, sui margini inferiori delle orbite, sulle ossa e sulle arcate zigomatiche, sulla linea temporale e sulla mandibola) e opportunamente posizionato sul cranio. Si procede poi alla sovrapposizione di uno strato di plastilina in modo tale da riprodurre il tessuto cutaneo. Nel modello facciale così ottenuto vengono quindi collocati i globi oculari, di grandezza proporzionata all’ampiezza del­le cavità orbitarie, viene delineata l’inclinazione della rima palpebrale seguendo la congiungente il tubercolo zigomatico e la cresta lacrimale, si modella la forma del naso, tenendo conto dello sviluppo della spina nasale, dell’angolazione del pavimento delle coane nasali e dell’andamento della parte terminale del profilo nasale osseo. Lo sviluppo della rima buccale viene stimato secondo opportuni indici e, infine, in base all’età alla morte del personaggio si dà il giusto grado di invecchiamento alla pelle.

Il volto così ottenuto può infine essere completato con alcu­ni importanti dettagli, quali i capelli e gli elementi dell’ab­bigliamento che non possono che essere desunti dalle fonti iconografiche e documentarie.

La fisionomia di Giovanni Pico, ricostruita mediante la tec­nica di ricostruzione facciale, appare quella di un uomo gio­vane, dai lineamenti forti e insieme delicati, sicuramente di aspetto avvenente. La faccia è ampia, l’arcata sopracciliare poco marcata, la radice del naso alta, le sopracciglia disegnate ad arco, il naso importante, prominente e a profilo diritto; gli zigomi si mostrano forti, così come robusta è la mandibola, il mento è pronunciato e caratterizzato dalla fossetta mento­niera, le labbra non molto prominenti e carnose.

Come dettano le descrizioni tramandateci dalle fonti, gli oc­chi sono grandi, di colore azzurro, la pelle è rosea, i capelli biondi fluenti, l’espressione ascetica e malinconica. Sempre ispirandosi alle fonti iconografiche, il busto è stato corredato di un copricapo rosso di forma cilindrica simile a quello che si osserva nelle effigi più accreditate del filosofo.

Il nuovo volto di Giovanni Pico, confrontato mediante so­vrapposizione al computer, sia con il cranio, sia con i ritratti più accreditati del filosofo evidenzia che l’effige che più si avvicina al volto ricostruito è quella di un ignoto pittore ita­liano, che lo ha ritratto nella seconda metà del secolo XVI: le due immagini sembrano, infatti combaciare perfettamente. Alla serie numerosa di ritratti di Giovanni Pico si aggiunge così un “nuovo volto’’ ricostruito in base al cranio median­te le tecniche di antropologia forense. Esso non ha la prete­sa di riprodurre quei tratti fisionomici ed espressivi, unici e irripetibili, che contraddistinguono un volto da qualunque altro essendo, questi, caratteri che non lasciano tracce tan­gibili sullo scheletro e sfuggono perciò a qualunque tecnica di ricostruzione facciale. Quello che è stato ricostruito è il volto morfologicamente più aderente ai tratti anatomici del cranio di Pico: un volto che richiama alcuni tratti fisionomici ricorrenti nell’iconografia pichiana, ma che ci sembra restitu­ire meglio al grande filosofo mirandolese la tanto decantata bellezza.

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