Via Milazzo – Renso
Trovo che il periodo che stiamo vivendo, dal punto di vista delle opportunità di lavoro, abbia parecchie analogie con i primi anni ’50 quando, appena usciti da un periodo di distruzione e di divisioni, sociali e politiche, si cercava di trovare soluzioni occupazionali che consentissero un reale ed effettivo ritorno ad una autonoma normalità.
Ora, non mi si prenda alla lettera, è evidente che i due periodi storici non sono paragonabili non fosse altro per il comprensibile entusiasmo per la fine della guerra che consentiva allora una fiducia pressoché illimitata nel futuro. Entusiasmo e fiducia che oggi, purtroppo, sono merce rara.
Ritengo che la qualità necessaria per superare certi momenti sia, ora come allora, la fantasia e l’inventiva, la creatività e l’immaginazione condite da molta, molta pazienza.
E coraggio, tanto coraggio.
Pensavo a questo mentre, guardando una sua foto, mi sono ritrovato a considerare alcuni aspetti della troppo breve vita (quindici anni ormai son passati da quando se ne andò) di colui che, più che cugino, per me fu fratello.
Renzo (per me, e per tutti noi, Renso) aveva perduto in periodo di guerra tutta la famiglia, prima la mamma poi il fratellino e infine il papà.
Mio padre gli aprì la casa e a lui debbo il mio nome. Si oppose, con quella forza che solo i bambini sanno avere, al nome che mi era predestinato per farmi assumere quello del suo fratellino.
Agli inizi degli anni 50, con la nascita della mia sorellina, arrivata mentre mia zia Assunta ne usciva maritandosi, la mia famiglia contava per sei: i miei genitori, mio nonno e noi tre.
Dunque, tornando a bomba, Renso dopo aver finito la scuola di Avviamento trovò lavoro, cominciando dalle pulizie, nel laboratorio odontotecnico di Ernesto Cavazza, in via Volturno.
Comodo e vicino a casa, bastava attraversare il giardino a fianco di Pollastri, per essere al lavoro.
Fu quella una meritevole e notevole fucina di “meccanici dentisti” mirandolesi (così venivano chiamati).
Ne ricordo alcuni che vi si formarono quasi contemporaneamente, oltre a Renso, Romano Consoli e Vanni Neri, quest’ultimo poi trasferitosi a Milano.
Prima del militare si iscrisse al corso per odontotecnici organizzato dai preti Dehoniani del Villaggio del Fanciullo di Bologna.
Poiché la frequenza era serale fu gioco forza organizzare le proprie giornate adattandole alla bisogna.
Di giorno al lavoro in laboratorio, nel tardo pomeriggio treno per Bologna, poi la bici, a deposito in stazione, e pedalata veloce in San Donato per le lezioni. Finite le quali, sempre in bicicletta, andava presso la famiglia Mantovani (da via Milazzo si erano a suo tempo trasferiti in Borgo Panigale) per poter riposare in un letto decente. Il mattino presto ancora con la bici in stazione per riprendere il treno e poter essere a Mirandola puntuale per il lavoro.
Questo ritmo di vita l’ha tenuto per i tre anni della durata del corso.
Quando lo chiamarono per il militare aveva già il diploma in tasca. Pronto per poter affrontare, finita quella corvée, una propria e autonoma scelta imprenditoriale.
Come chiamarla questa forza di volontà, questa voglia di imparare, se non abnegazione e smania di futuro?
Mi piace ricordarne la storia alla vigilia del 25 aprile, quello che sarebbe stato il suo ottantesimo compleanno. Ciao Renso, e buon compleanno!
Franco Gambuzzi