Via Milazzo – La Maddalena
Almeno ai miei occhi di bambino, Maddalena Garavini, la moglie del Nuto, era un miracolo di donna, capitato non si sa come in via Milazzo.
Una di quelle donne che, oltre che gentili ed accoglienti, sanno essere dolcissime, dolci come solo le ciliege di Vignola sanno esserlo. Mica per niente veniva da Vignola.
Non so come sia capitata a Mirandola, so per certo però che il Nuto (me lo raccontò proprio lui una sera a tavola, con quei suoi occhi allegri e un po’ lucidi per il buon vino) se ne innamorò un giorno vedendola pedalare in piazza con quelle due belle gambe in evidenza e quel bel viso aperto e sorridente, con due guance rosse come delle stark delicious appena colte.
“L’era tant bella, da inamuraras; al ritratt dla salut!”
Era davvero una bella donna, non molto alta ma con un bel viso che ispirava serenità. Portava i capelli tirati indietro, con un grosso chignon raccolto a cipolla. Bambino, capitai una volta a casa sua mentre si stava lavando i capelli, ricordo la sorpresa nello scoprire che aveva i capelli lunghissimi che gli scendevano giù giù fino ai fianchi. Stetti a rimirarla incantato mentre, ancora umidi, se li pettinava lentamente con ampie e misurate spazzolate.
Era lei di fatto che teneva il banco della frutta in piazza. Il Nuto era troppo preso dalle pubbliche relazioni: era sempre dalla Fernesta o al Commercio.
La casa di via Milazzo era sempre aperta e il pomeriggio diventava luogo di incontro tra le molte donne del vicinato. Quando mi capitava di andarci, per una qualche commissione, ero sicuro, già in partenza, che ci avrei trovato, una a caso o tutte insieme, la Delmina, l’Argia, l’Antonietta, la Suntona, l’Ermelina, mia zia Laura … e ne dimentico qualcuna di sicuro. La Ninfa l’ho incontrata poche volte, la Ninfa era quasi tutti i giorni indaffarata con sempre un bucato in più da fare.
Maddalena era sempre disponibile, non si negava mai per una chiacchierata, anche a costo di tardare con i lavori domestici o per la cena. La grande cucina al primo piano era il loro ritrovo.
Non era certo il tipo da mettere qualcuno alla porta. Non c’era acqua a bollire o soffritto sul fuoco che le impedisse di accogliere le sue amiche. Il fatto è che le univa di certo qualcosa in più di una semplice amicizia, una vicinanza e una solidarietà che andava oltre il fatto che abitassero la stessa strada.
Nonostante quelli fossero anni difficili un piatto di minestra e una cortesia non si negava a nessuno.
Il banco della frutta per giunta faticava a creare reddito e il costo crescente della vita li obbligò a scelte drastiche. Franco si era già trasferito a Milano dove aveva trovato lavoro in ATM, guidava il tram, lo stipendio era sicuro e, insisti oggi, insisti domani: – Gnii a Milan, quell as trova, mej che a la Mirandla!- alla fine si decisero. Per di più la Malvina, che si era già sposata, era andata ad abitare a Spilamberto. Per Bruno, il figlio minore, Milano avrebbe potuto essere una opportunità migliore.
Era la seconda metà degli anni ’50 quando fecero su baracca e burattini e se ne andarono tutti e tre a Milano.
Nonostante tutto, Maddalena, approfittando delle periodiche visite ai fratelli di Vignola, non tralasciava mai una visita agli amici di Mirandola. Così ogni tanto la vedevo arrivare su per via Milazzo con la sua inseparabile sporta, sempre sorridente e positiva. Ricordo ancora quella volta che, dalla finestra, la vidi risalire la via con un bimbetto nuovo, il nipotino “milanese”, Cesare il figlio di Franco.
Nuto invece non si è rivisto più a Mirandola. Ormai era un milanese, e poi si sa: a Milan an’s dorum brisa, a gh’è sempar quell da far!!
Dopo il mio trasferimento all’Olivetti, ogni occasione era buona per andarli a trovare nella loro nuova casa di Brugherio.
L’ultima volta che la vidi, già inferma, immobilizzata nel letto, fu quando andammo a trovarla, con i miei due nuovi figlioletti, di ritorno dal Sud America.
Come sempre sorridente, anche se dolente, con i suoi ancora lunghissimi capelli sparsi sul cuscino.
Franco Gambuzzi
P.S. :Tra le foto che conservo ne ho trovate un paio che mi sembrano emblematiche. La prima che deve risalire agli anni 30 in cui sono raffigurate insieme a Maddalena alcune amiche con i figli, l’altra della Pasqua ’41 in cui è raffigurata con le mie zie.