Sergio Poletti – La liberazione di San Martino Spino
LA LIBERAZIONE DI SAN MARTINO
Era il 23 aprile 1945: San Martino Spino, prima di mezzogiorno, veniva liberata dagli Alleati dopo quattro anni e mezzo di sciagurata guerra, aperta da un Duce che non aveva mezzi sufficienti per sostenerla, neanche in Grecia e Albania, tantomeno in Russia e in Africa, scegliendo peraltro alleati che sembravano invincibili, ma che da soli volevano conquistare e umiliare il mondo, con leggi razziali orrende, in una avventura nazionalista più che folle. I soldati liberatori a piedi venivano a ventaglio dal Sud, protetti da carri armati; pochi tedeschi erano rimasti, dei diecimila della Bassa, e cercavano il Po per ritirarsi al Nord. Al Casellone si era svolta all’alba la prima grande battaglia delle nostre primissime formazioni di parà, ora aeree passate con gli Inglesi e gli Americani
I primi avevano fornito le loro divise, i secondi gli aerei. La sola vittoria del genere, chiamata Operazione Herring.
Al Casellone, tra San Martino e Poggio Rusco, lo scontro più cruento, con 14 paracadutisti italiani caduti, comandati dal tenente Bagna, due civili uccisi, mentre cadeva Bagna, il padrone di casa e un invalido, 18 tedeschi fanti abbattuti, portati poi come “ignoti” nel nostro cimitero.
Via Valli non era asfaltata. I carri armati americani, diretti ad inseguire il nemico e a Portovecchio, lasciavano i segni profondi del loro passaggio.
La sfilata seguì quando non c’era più pericolo. C’erano americani, inglesi, indiani, australiani. Un altro mondo e tutti i sanmartinesi ad applaudire quello che era il nemico prima, i liberatori, quelli tosti super armati, con le divise importanti, con una ricchezza al seguito, anche per sfamarci veramente. E i tedeschi prigionieri, disarmati e con le mani sulla testa, portati a Portovecchio, a Mirandola. Si facevano vedere anche i partigiani. Alcuni dell’ultima ora, tanti altri più convinti e della prima ora.
C’erano ferite profonde da curare, lutti da osservare, l’amarezza, il declino e la paura dei perdenti, quasi tutti ravveduti e svegliati dalla vera democrazia, dalla giustizia, assaporando veramente la libertà.
La gente spuntava dai rifugi. I nostri soldati potevano tornare dal fronte, piuttosto malridotti.
San Martino pianse tre eroi partigiani (c’è chi dice quattro, ma in carcere finirono in molti di più) i civili giovani mitragliati e morti nelle terre del Centro militare, negli attacchi alle postazioni tedesche, combattenti in Russia, i prigionieri dei campi di concentramento tedeschi, chi era dall’altra parte, il piccolo sepolto dalle macerie di un convoglio di munizioni, diventato un angelo il giorno della Liberazione, la cui tomba è sempre tenuta in modo perfetto.
Ci siamo fatti le camicie con la stoffa dei paracaduti, abbiamo acceso le stufe con le micce dei soldati, ci hanno portato biscotti, cioccolate e gomme americane, gli alleati ci hanno lasciato dei loro Dodge, abbiamo mangiato le scatole di formaggio tedesco da un chilo ancora per un anno, abbiamo venduto ferri vecchi, ossa e stracci. Abbiamo comprato per pochi soldi i vestiti e le divise degli americani, tutta roba che avevano regalato all’Italia disastrata, ma operosa. I pochi tedeschi ospitati, una volta catturati, avevano donato le loro ultime cose: macchine fotografiche a soffietto, pugnali, libri scritti in gotico nella loro lingua. Alcuni ci vennero a trovare quando tornarono in Italia, diretti alla costa romagnola. Non erano tutti cattivi. Molti furono costretti a combattere, in terre ostili. Erano nel torto anche come invasori e aderendo ad un tentativo di conquista impossibile. Quanto i partiti italiani si divisero, in democrazia, sono venuti a confronto principalmente due mondi, di opposti regimi.
Io non potrò però mai dimenticare che in Italia, benché così ben equipaggiati, e arrivati quando le sorti piegavano già malissimo, giustamente, per i germanici, gli americani, per liberarci, perdettero 50 mila uomini. 50 mila: un numero enorme. E non so gli altri di altri paesi, razze ed etnie diverse. Tra i nuovi eroi ai sanmartinesi vennero in mente anche i 105 ebrei portati versò la libertà, a grave rischio personale, grazie al nostro parroco Don Sala e ad Odoardo Focherini, Giusti tra le Nazioni secondo lo Stato ebraico.
Non immaginavamo, passati tanti decenni, potessimo vivere ancora in un’economia di guerra. Perché il Papa lo dice: stiamo vivendo una terza guerra mondiale, non c’è la pace da tutti desiderata, parlano ancora le armi. E’ assurdo, inconcepibile, frustrante, ingiusto, crudele. Succede a due passi dall’Europa.
Sergio Poletti
Tratto da “Lo Spino – il Punto di San Martino” n°194
L’immagine è tratta dal giornalino.