Santi de Al Barnardon dal 30 Ottobre al 5 Novembre
30 ottobre
Educato nel monastero benedettino di Reichenau, sul lago di Costanza, Volfango dal 956, pur non essendo prete, ha diretto la scuola arcivescovile di Treviri, in Renania. Nel 965 lascia l’incarico e si ritira nell’abbazia di Einsiedeln (attuale Svizzera), e tre anni dopo viene ordinato sacerdote. Vorrebbe lavorare alla cristianizzazione degli Ungari che, smesse le razzie, stanno diventando agricoltori. Ma i suoi sforzi hanno poca fortuna. Nel 972 viene nominato vescovo di Ratisbona, la città bavarese che le valli dei fiumi Regen e Naab collegano con le terre boeme; e queste, dal punto di vista ecclesiastico, dipendono da lui, dalla diocesi di Ratisbona. Ma questo non piace a Volfango, che vede il futuro d’Europa meglio di molti altri, e fa perciò una cosa che sbalordisce: vuole rimpicciolire la sua diocesi, per dare ai cristiani boemi una diocesi boema, con sede a Praga e con un loro vescovo. Intorno a lui si protesta: ma come, se quasi tutti i vescovi cercano di ingrandire le loro diocesi, perché questo qui vuole mutilare la sua? Volfango sa che per incarnare il cristianesimo in un popolo bisogna riconoscerne e valorizzarne la personalità, anche con sede e gerarchia ecclesiastica locale. Un problema che occuperà anche il XX secolo, e che Volfango aveva già compreso. Infatti lascia che a Ratisbona si mormori e si protesti, ma la diocesi di Praga si fa. E nel 976 ha il suo primo vescovo, Tiethmaro, predecessore del grande sant’Adalberto. Nel 974 la lotta del duca Enrico II di Baviera e l’imperatore Ottone II lo costringe a rifugiarsi nel monastero di Mondsee (regione di Salisburgo). E lì vicino egli innalza una chiesa dedicata a san Giovanni. Ingrandita e abbellita, essa verrà più tardi dedicata al suo nome. Volfango muore sul lavoro, durante una campagna di predicazione, in Austria. Nel 1052 il papa Leone IX lo proclamerà santo.
31 ottobre
San Quintino, vien detto romano di nascita, e sarebbe giunto in Gallia al seguito di San Luciano di Beauvais. Dopo aver evangelizzato alcune regioni del Nord-Est, avrebbe posto il centro della sua predicazione ad Ambianus, cioè ad Amiens. Qui anch’egli cadde vittima, non di una donna, ma dei celebre e leggendario persecutore francese Riziovaro, prefetto militare sotto Massimiano Imperatore, cioè agli inizi dei III secolo. In mancanza di notizie precise sulla passione di questo celebre Martire francese, leggiamo quanto dice lacopo da Varagine nella sua Legenda Aurea: ” Quintino, facendo molti miracoli, per comandamento di Massimiano Imperatore fu preso dal prefetto di Roma, e battuto tanto che i battitori vennero meno ne le battiture, poscia messo in prigione. Ma l’angelo di Dio sciolse i legami de la prigione, e andoe nel miluogo de la città, e predicava al popolo. Onde preso poi un’altra volta, e disteso alla colla infino a la rottura de le vene, battuto ancora co’ nerbi crudi durissimamente, sostenne l’olio e la pece ‘l grasso boglientissimo; e faccendosi scherno del prefetto, adirato il prefetto gittogli in bocca la calcina e l’aceto e la senape “. Dopo questi e altri raffinatissimi tormenti, Quintino fu decapitato e il suo corpo gettato nel fiume. Per cinquantacinque anni non se ne seppe più nulla, finché a Vermand, sulla Somme, una ” gentile dama romana ” non ritrovò e riconobbe nelle acque il corpo del Santo.
1 novembre
Le commemorazioni dei martiri, comuni a diverse Chiese, cominciarono ad esser celebrate nel IV secolo. Le prime tracce di una celebrazione generale sono attestate ad Antiochia, e fanno riferimento alla domenica successiva alla Pentecoste. Questa usanza viene citata anche nella settantaquattresima omelia di Giovanni Crisostomo ed è preservata fino ad oggi dalle Chiese orientali. Anche Sant’Efrem il Siro parla di tale festa, e la colloca il 13 maggio. La ricorrenza della Chiesa occidentale potrebbe derivare dalla festa romana della Dedicatio Sanctae Mariae ad Martyres, ovvero l’anniversario della trasformazione del Pantheon in chiesa dedicata alla Vergine e a tutti i martiri, avvenuta il 13 maggio 609 o 610 da parte di papa Bonifacio IV; la data del 13 maggio coincide con quella citata da Sant’Efrem. In seguito papa Gregorio III (731-741) scelse il 1º novembre come data dell’anniversario della consacrazione di una cappella a San Pietro alle reliquie “dei santi apostoli e di tutti i santi, martiri e confessori, e di tutti i giusti resi perfetti che riposano in pace in tutto il mondo”. Arrivati ai tempi di Carlo Magno, la festa in onore di tutti i santi era diffusamente celebrata in novembre. Il 1º novembre venne decretato festa di precetto da parte del re franco Luigi il Pio nell’835. Il decreto fu emesso “su richiesta di papa Gregorio IV e con il consenso di tutti i vescovi”. La festa si dotò di ottava solenne ancora presente nel rito straordinario della Chiesa durante il pontificato di papa Sisto IV, quando, bandendo la crociata per la liberazione di Otranto nel settembre 1480, il pontefice implorò la benedizione dell’Altissimo sulle schiere cristiane.
2 novembre
La commemorazione di tutti i fedeli defunti (in latino: Commemoratio Omnium Fidelium Defunctorum), è una ricorrenza della Chiesa latina celebrata il 2 novembre di ogni anno, il giorno successivo alla solennità di Tutti i Santi. La ricorrenza è preceduta da un tempo di preparazione e preghiera in suffragio dei defunti della durata di nove giorni: la cosiddetta novena dei morti, che inizia il giorno 24 ottobre. Alla commemorazione dei defunti è connessa la possibilità di acquistare un’indulgenza, parziale o plenaria, secondo le indicazioni della Chiesa cattolica[1][2][3]. In Italia, benché molti lo considerino come un giorno festivo, la commemorazione dei defunti non è mai stata ufficialmente istituita come festività civile. Il colore liturgico di questa commemorazione è il nero, o il viola, il colore della penitenza, dell’attesa e del dolore, utilizzato anche nei funerali. Nella forma straordinaria del rito romano, se il 2 novembre cade di domenica, la ricorrenza è celebrata il giorno successivo, lunedì 3 novembre. Nella forma ordinaria, invece, si celebra il 2 novembre in ogni caso.
3 novembre
Il vescovo S. Malachia è una delle più belle glorie che la Chiesa Cattolica vanti nella terra d’Irlanda. Nacque in quell’isola l’anno 1094 da nobili e pii genitori che lo educarono rettamente nella religione cristiana e l’avviarono assai per tempo per le vie del sapere, sotto la guida di dotti maestri. Ancora giovanissimo si diede a vita eremitica, sotto la direzione di Imaro, uomo insigne nella santità e nella penitenza. Dopo qualche tempo il pubblico venne a conoscenza delle virtù del giovane eremita e coloro che prima lo deridevano e disprezzavano furono presi da santa ammirazione. La fama della sua santità giunse anche alle orecchie dell’Arcivescovo di Armac, che per divina ispirazione lo volle ordinare sacerdote. Malachia, stimandosi indegno di tale dignità, si rifiutò, ma costretto dall’ubbidienza dovette sottomettersi. Sostenuto dalla divina grazia e irreprensibile nei costumi, ebbe dapprima l’incarico di predicare la Parola. Si dedicò a quest’apostolato con tanto zelo che in pochi anni la diocesi mutò d’aspetto. Rimasta vacante la chiesa di Cannoret, Malachia fu eletto alla dignità episcopale. Fu un nuovo rifiuto da parte sua, ma l’ubbidienza lo costrinse un’altra volta ad accettare. Fiducioso nell’aiuto divino, in breve stabilì tra quelle popolazioni una esemplare vita religiosa. Prima di morire, l’Arcivescovo di Armac aveva manifestato il desiderio di avere per successore il Santo, e clero e popolo accolsero lieti la proposta: ma un parente del defunto Arcivescovo ne usurpò la sede. Malachia, fu perseguitato, calunniato, ma alla fine la giustizia trionfò. Lasciato allora il governo di quella chiesa a Gelasio, dotto e pio vescovo, ritornò a Connoret, che divise in due diocesi, tenendo per sè la più piccola, quella cioè di Duno. In Duno formò un capitolo di Canonici Regolari, che associò a sé nel governo della diocesi, e intraprese con essi vita religiosa. S’aceresceva intanto la stima e la venerazione verso di lui, sia per le sue eccelse virtù, sia per i prodigi che operava: ma quanto più veniva esaltato, tanto più il Santo si umiliava. In un viaggio che fece in quel tempo a Roma, ricevette la potestà di Legato Apostolico d’Irlanda. Desiderando che l’Arcivescovo di Armac fosse eletto cardinale ed essendo venuto in Francia il Pontefice Eugenio III, si recò a fargli visita, ma giunto sul suolo francese ebbe notizia che il Papa era ripartito per l’Italia. Allora si recò nel convento di Chiaravalle, dove fu ricevuto da S. Bernardo e dai suoi monaci con grande allegrezza. Ma dopo pochi giorni Malachia venne colpito da improvvisa febbre: il male si aggravò e Malachià morì, secondo le sue predizioni, tra le preghiere di quei religiosi il giorno 2 novembre 1149. S. Bernardo ne fece l’elogio funebre e ne scrisse la vita.
4 novembre
Il suo nome, San Chiaro, si trova iscritto nel Martirologio, senza nessun’altra indicazione, fuor che quella di Martire. E a lui s’intitolò, fin dall’antichità, un paese della Francia, Saint-Clair. Si capisce però facilmente come un nome simile dovesse avere una leggenda totalmente fantastica, nata sul tardi, dopo il valico del Mille. Si narrò allora la novella di un principe inglese di straordinaria bellezza (riflesso evidente del nome!), fuggito in Francia per farsi monaco. Ma per quanto Chiaro cercasse di velare la propria avvenenza sotto il cappuccio monacale, una gentildonna s’invaghì perdutamente di lui. Per sfuggire a una vera e propria persecuzione della nobile dama innamorata, il monaco si celò nelle forre della montagna, dove però la sua bellezza non cessava di render chiari anche i recessi più oscuri. La gentildonna, delusa e irritata, volle vendicarsi di lui. Lo fece perciò cacciare come un selvaggio orso, ed uccidere dai suoi armati, che gli tagliarono il collo. Il monaco allora, raccolta la testa caduta tra i cespugli del bosco, ritrovò la via del monastero, rischiarando il cammino con il suo volto, bellissimo anche nella morte. Venne sepolto con devozione nella chiesa abbaziale, che i suoi miracoli resero chiara e famosa in tutta la Francia medievale.
5 novembre
Il Beato Caio, nonostante il nome tipicamente latino che potrebbe trarre in inganno, è il primo martire cristiano di nazionalità coreana. Nato appunto in questo paese dell’Estremo Oriente nel 1571, quando ancora in quella terra non era ancora penetrato il cristianesimo, avendo una naturale inclinazione alla vita soprannaturale, si diede alla vita eremita in una grotta. Quando i giapponesi invasero la Corea, Caio venne fatto prigioniero ed imbarcato. Un naufragio lo condusse provvidenzialmente nella casa di un neofita cristiano, il quale pensò di condurlo dai missionari gesuiti nella diocesi di Funai. Grazie ad essi Caio conobbe la vera fede, ricevette il battesimo e divenne appassionato e zelante catechista, aiutante dei missionari, infermiere dei lebbrosi, tanto da meritarsi l’appellativo di “piccolo apostolo”. Quando però infuriò nuovamente in Giappone una persecuzione anticristiana, Caio fu arrestato e gli fu ingiunto di non spiegare più i libri sacri ai neofiti. Il catechista coreano rispose però con convinzione che non avrebbe potuto rinnegare la sua fede per acconsentire alle loro richieste, siccome bisogna obbedire prima a Dio che agli uomini. Fu allora condannato a morte e la sentenza fu eseguita a Nagasaki il 15 novembre 1624. Legato con una leggera cordicella al braccio sinistro, Caio fu posto vicino ad un braciere che lo ustionò lentamente, senza arderlo. Morì così tra i più terribili tormenti, ringraziando il Signore di averlo condotto dalla Corea al martirio di Nagasaki, ma in pieno possesso di quella verità per la quale era giusto soffrire e bello donare la vita. Caio fu beatificato dal pontefice Pio IX il 7 maggio 1867 con altri 204 martiri in terra giapponese di varie nazionalità ed è ancora oggi in attesa di canonizzazione.