San Felice – Una Rocca presa con l’inganno
UNA ROCCA PRESA CON L’INGANNO
San Felice inizia le sue memorie storiche con alcuni coloni romani provenienti dall’Africa che si insediano in questo territorio, così frequentemente allagato dalle acque pluviali, portandovi il culto del Protomartire Felice, Vescovo di Tibari martirizzato in Venosa. La fede delle persone più umili diventa così, ancora prima di preziose carte, un archivio per leggere la storia.
Accanto alla Chiesa Arcipretale del 551, nel X sec. vi è già una prima fortificazione, matrice del futuro castello che attorno al 1000 dovrà resistere al passaggio selvaggio degli Ungheri.
Le prime memorie politiche vedono nel 1001 S. Felice sotto la giurisdizione di Ingone Vescovo di Modena. Nei secoli successivi oscillerà tra la giurisdizione temporale della Chiesa e quella del Comune di Modena.
Dopo l’aspra divisione in guelfi e ghibellini e la guerra con la guelfa Bologna, il Consiglio Generale di Modena chiama Obizzo II d’Este a signore della città e di centotrentacinque castelli, compreso S. Felice.
I limiti crudeli della storia vedono Azzo e Aldobrando, suoi successori, in lotta tra di loro. Nella confusa situazione come una lama di luce, arriva la decisione dei Modenesi che, stanchi per il protrarsi della situazione, si stabiliscono in repubblica legando a sè anche i castelli.
In seguito S. Felice passa sotto i Vicari Imperiali. Infuria la lotta tra Passerino Bonaccolsi, turbolento, sfrontato, bugiardo, feroce, e le truppe pontificie. S. Felice e Finale privi di soccorso patteggiano con i papalini e vi si consegnano. Per poco, però, perché a questa tematica tormentata porta il suo contributo Lodovico il Bavaro a cui i ghibellini rimettono questi territori.
Nel 1330 l’Imperatore sostituisce l’incapace suo rappresentante, conte De Turge, e nomina vicari Guido e Manfredo Pio, che hanno imparato come si deve le lezioni che la storia impartisce. Lo zelo dimostrato da Guido Pio è tale da meritargli in dono S. Felice.
Gli Estensi però non si danno pace. Sono da sempre una scabra presenza nella storia dei Pio e ne danno prova occupando Finale e minacciando S. Felice, pedina importante nella loro strategia espansiva.
Il Bavaro cade nelle censure ecclesiastiche. Guido e Manfredo Pio, sapientemente colgono i segni dei tempi e nel 1331 acclamano, similmente a molte città lombarde, loro signore Giovanni Re di Boemia, figlio di Enrico VII, e ne vengono confermati vicari (dalla morte di Enrico VII, l’impero è sempre vacante). Anche dalla misura di queste azioni e dalle decisioni svolte e intraprese con rapidità emerge una solida e favorevole sbozzatura del carattere di questi due personaggi che sanno muoversi con estrema abilità e sagacia, anche se è impossibile prevedere il futuro immediato.
Estensi, Scaligeri, Gonzaga e altri signorotti si alleano contro il Boemo. Il 27 ottobre 1332 Rinaldo d’Este assedia S. Felice con un forte esercito capitanato dal valoroso Giovanni da Camposampiero da Padova. Manfredo Pio però, abilissimo, riesce a seminare discordia tra il comandante delle truppe e il Signore della Scala che si ritira a Verona. Mastino della Scala disapprova la decisione del fratello, manda nuove truppe, ma ormai i Pio si sono poderosamente rafforzati.
La battaglia decisiva avviene il 25 novembre nelle aperte di Campo di Pozzo. Sullo sfondo fastoso e corrusco si delinea il castello; la nebbia a filo d’acqua accoglie l’incertezza della stagione che è nell’aria; tutto attorno si sente la presenza dell’immensa pianura circostante, ma il mondo e la vita si riducono al nemico che si ha di fronte. Si combatte tutto il giorno, poi a sera i Pio decidono la giornata con l’espediente di uccidere sistematicamente i cavalli degli avversari.
In virtù di questa vittoria Modena resta sotto la Signoria del Boemo che riconferma a Guido Pio il possesso di S. Felice. Nel 1333 con rinnovato impegno a favore di quella plaga ubertosa si inizia la costruzione del Canalino di S. Felice.
Nel 1335 gli Estensi, sempre loro, assediano Modena, né valgono le scorrerie dei Pio a romperne il cerchio. Manfredo infine chiede tregua, cede il dominio di Modena e del suo distretto (ad eccezione di S. Felice), alla casa d’Este. Il 23 aprile 1336 si firma la convenzione: “… che il Castello dì S. Felice con tutto il suo territorio sia rilassato a Guido Pio. ..e che il canale il quale scorre a S. Felice e fatto ad istanza di Guido Pio mai sia impedito”. Manfredo Pio conserva la piena signoria su Carpi e San Marino.
Nel 1338 muore Guido Pio e anche S. Felice passa agli Estensi.
Obizzo III, che viaggiava in incognito con il titolo di conte di S. Felice, nel 1340 fa costruire entro le cerchia delle mura, che per lui sono sempre state una sorta di sicuro richiamo, una munitissima rocca, assestata da Battolino Pioti il maggior architetto militare dell’epoca.
Seguono lotte tra gli Estensi e i Pico uniti ai Visconti. Ne approfittano Leandro e Federico Pio che il 17 agosto 1346 entrano nel castello con socchi di biade vendute a quel castellano. Ne gettano nel fossato il figlio incrociato sul ponte levatoio e uccidono il padre a colpi di balestra. Chiusi i portoni alzano le bandiere sopra la fortezza al grido viva il signor Lucchino e i signori di Mantova.
Alcuni cittadini di Mirandola, guidati da Brasuccio figlio naturale di Prendiparte e da un certo figlio naturale di un già Zapino, fingono di capitare al castello per caso e ripagano i Pio della stessa moneta da loro usata. Con talento istrionico li fanno uscire dalla rocca con la scusa di vedere le bestie e le altre cose foresi e immediatamente alzano il ponte levatoio, lasciandoli fuori al grido vivano i signori di Mirandola e di Gonzaga perché sua è la terra.
Siamo in agosto, la luna è nuova e nel crepuscolo si presenta come una piccola falce bella da osservare a occhio nudo. In questo clima generale di irriverenza verso la grande storia, si respira in ogni caso il delitto senza rimorso anche se a distanza di secoli, si perde quella tristezza di fondo che dovrebbe accompagnare tanti morti.
Vari i successivi avvicendamenti che vedono rafforzarsi la rocca per ragioni militari.
Tra alterne sorti e traversie Giulio II, un pontefice battagliero, in un quadro politico molto complesso, muove guerra agli Estensi e nel 1510 occupa Modena, S. Felice e Finale e li cede all’Imperatore per non inimicarselo. Il Papa però, sotto una violentissima nevicata, sarà costretto a rifugiarsi precipitosamente nel fortilizio (saltando dalla lettiga e aiutando lui stesso ad alzare il ponte levatoio), per salvarsi da un’imboscata del celebre cavaliere Pietro Bajart che combatte nel campo del Duca Alfonso.
Il 25 luglio 1512 l’Imperatore per compensare Alberto Pio, suo prestigioso consigliere presso il Papa e per risarcirlo inoltre della somma di quindicimila ducati d’oro da lui impiegati in varie guerre in difesa dell’Impero, lo investe del Castello di S. Felice. Ciononostante il feudo resta al Duca Alfonso e dal di lui fratello Cardinale Ippolito viene poi di nuovo consegnato all’Imperatore che nel 1514 lo vende a Leone X.
Alberto Pio, impegnato nella sua avventura umana e politica, lontano da Carpi, con quella sua aurea, ora di grandezza ora di malinconia, nel 1516 scrive al Papa: “ .. .supplico la B. V. sia contenta di concedere il detto loco et farmi dare il possesso secondo che più volte la pta maestà ne ha fatto istanza… havendone lui solo il titolo et da lei l’affetto”. Sono parole persuasive che squillano su tutti i registri. Il feudo sarà suo nel 1518 (dopo essersi impegnato in guerra contro Vignola e altri luoghi del modenese restituendoli all’ubbidienza del Papa), in occasione delle sue nozze con la figlia del Cardinale Orsini, nipote del Pontefice.
Non sarà per molto. Nel 1521, approfittando del momento politico che in un terribile crescendo vede S. Sede e Imperatore alleati per cacciare i Francesi, il Duca Alfonso, l’8 di settembre, si impadronisce di Finale e S. Felice.
Una scomunica e la minaccia di un forte esercito ridanno, il 10 ottobre, San Felice al Papato, ma, morto Leone X, l’Estense si mette in campagna, rioccupa i territori da sempre contesi che nel settembre 1523 gli vengono infine definitivamente concessi con un concordato definitivo di grazia da parte di Adriano VII.
Così finisce la breve signoria dei Pio a S. Felice. Nella parrocchiale rimane il trittico di Bernardino Loschi, pittore e sovrintendente di Alberto Pio, e un crocefisso in legno dono della famiglia Pio.
Tratto da: Le Torri Perdute
A cura della Cassa di Risparmio di Carpi
Autore: Date Colli
Anno: 1986