Mirandola – La Collegiata detta anche Duomo
La Collegiata, la chiesa maggiore di Mirandola detta anche Duomo, sorse in Borgo Nuovo a partire dal 1432 circa, dopo che i fratelli conti Giovanni e Francesco Pico, signori della città, avevano presentato istanza a papa Eugenio IV per erigere una chiesa per la cura delle anime, che sino ad allora era stata demandata all’antica pieve della corte di Quarantoli; un’istanza che pertanto nasceva dalla necessità di dotare il centro abitato, sempre più ampio attorno al Castello, delle strutture di servizio atte a conferirgli dignità di capitale.
Gli sforzi dei Pico avrebbero quindi ottenuto l’elevazione della chiesa, intitolata a S. Maria Maggiore, dapprima a pieve e quindi a Duomo; infine, nel 1604, la Collegiata, pur non essendo sede vescovile — Mirandola rientrava nella diocesi di Reggio —, avrebbe potuto fregiarsi di un prevosto in paramenti episcopali.
Una simile volontà di prestigio dettò anche le imponenti linee del tempio, ultimato verso la fine del Quattrocento.
Nonostante le profonde modifiche subite nel corso dei secoli, e in particolare in epoca ottocentesca, è ancora leggibile nella fabbrica quella tradizione romanico-gotica che in loco informa edifici chiesastici ancora nell’avanzato Quattrocento, come S. Pietro di Modena, innalzato dal 1476 (cfr. L. Serchia, in S. Pietro di Modena. Mille anni di storia e di arte, Modena 1984, p. 52). A tre navate — la mediana dalla larghezza quasi doppia rispetto alle laterali —, il tempio si articola in un sistema alternato di colonne e di possenti pilastri; su questi ultimi poggiano gli archivolti a tutto sesto che suddividono la copertura in quattro campate a crociera. Ad ogni campata corrispondono sulle navate minori due cappelle di esigua profondità, per un totale di otto per fianco. Sembra che un primo, incisivo mutamento avvenisse nel 1521, quando il prevosto Girolamo Capitani d’Arzago rafforzò la struttura portante dei pilastri e delle colonne , riducendo gli archivolti delle tre navate da ogivali a tutto sesto; quelli della navata centrale pare che fossero poi ribassati durante i lavori del 1608.
Tra le vicissitudini del tempio si ricordano i danni per i bombardamenti del 1704-5, riparati tra il 1722 e il ’25 dal prevosto conte Scipione Rosselli; in quella circostanza, si realizzarono opere alla facciata, impiegando pietre che il duca Rinaldo d’Este donò, traendole dalle rovine del Palazzo dei Pico.
Ma soprattutto, a trasformare la chiesa furono i cantieri ottocenteschi: a partire dal 1858 si ricostruì il tetto e si alterò il sistema d’illuminazione, modificando le finestre del coro e tamponando quelle sul fianco di mezzogiorno; il rifacimento della pavimentazione condusse infine al guasto degli antichi pregevoli altari e sepolcreti. La stessa intransigente volontà di «restauro», ovvero di ripristino di un’ipotetica primitiva sobrietà, guidava il riassetto della facciata, che si volle all’impronta di una “semplice eleganza”: da tanto derivò il carattere di «falso in stile» che connota la fisionomia di questa chiesa, come di tante altre «restaurate» in quell’epoca. Si perdettero quindi anche le ultime tracce delle pitture che decoravano la facciata, così come i tanti affreschi nell’interno erano da tempo scomparsi sotto le successive tinteggiature. Attualmente, l’architettura conserva un ampio e solenne respiro, pausato dallo scandirsi degli archivolti in un discorso dalle inflessioni classicistiche, mentre più vivida rimane la memoria gotica nella zona absidale, ove il semicatino è motivato da suggestive archeggiature a ogiva.
Graziella Martinelli Braglia
Tratto da: Committenze dei Pico
A cura di Graziella Martinelli Braglia
Cassa di Risparmio di Mirandola
Anno: 1991
Le immagini sono state gentilmente concesse dal collezionista Roberto Neri