Mirandola in una poesia del Settecento
Tra le poesie del dottor Franco Ciardi, proveniente da Sestola nel Frignano e stabilitosi a Mirandola verso il 1740, si distingue un sonetto di indubbia efficacia, che egli compose a caldo per descrivere appunto la città in cui era venuto ad abitare da poco. Scrive dunque il Ciardi:
“lo vivo, amico caro, in un paese,
Cui non mancano debiti e peccati,
Che nemico mortal del Modonese,
Le fole adora sol degli antenati.
Triste le case son, sporche le chiese,
Ne fan due terzi i Conti, i Preti, i Frati,
Di superbia ripieni, e mal francese,
Al nuocer pronti, e al beneficio ingrati.
Bramano aver tra lor dotte persone,
Ma poscia quanto lor, e più nel resto,
Vorrian che ciaschedun fosse coglione.
Qui lice il furto, l’adulterio è onesto,
L’odio, l’invidia, la mormorazione Regnan … per altro un buon paese è questo.
Si tratta di una composizione poetica, scritta peraltro da un immigrato, ma, al di là di evidenti luoghi comuni e di altrettanto evidenti forzature, in essa vengono còlti alcuni problemi decisivi della storia di Mirandola all’indomani della caduta del Pico.
Esatto il riferimento all’odio nei confronti dei Modenesi ed in particolare degli Estensi, usurpatori di un antico dominio cui va il ricordo nostalgico dei sudditi. Tanto più che l’amministrazione estense aveva contribuito non poco al degrado della mitica fortezza pichense, che al forestiero si presentava ora nel più completo abbandono.
Nel 1714 si era verificato lo scoppio del torrione, che aveva distrutto numerosi edifici del castello; gli spalti e le mura cadevano in rovina e venivano appaltati per pascolarvi le pecore; tra il 1783 e il 1786 sarebbero stati demoliti vari fabbricati della reggia pichense, perché pericolanti.
Alla decadenza urbanistica si accompagna quella morale.
Il clero e la nobiltà, che in precedenza avevano assicurato il governo del ducato, ora reagiscono in forme innaturali alla perdita degli antichi compiti. La cultura è divenuta un fatto di facciata, un orpello decorativo. La vita civile vi appare completamente compromessa, dominata com’è dal vizio, dall’odio e dall’invidia.
Evidentemente al Ciardi si presentava una città allo sbando, nostalgicamente proiettata verso il passato e incapace di costruirsi un futuro. Ciò nonostante egli vi si stabilì con la famiglia divenendo, come capita spesso agli immigrati, un cittadino di spicco al punto che alla sua famiglia nel 1761 fu concessa la patente di nobiltà.
Il sonetto d’altro canto ebbe ottima accoglienza a Mirandola e circolò per vari anni, a testimonianza di una popolazione capace ancora, nonostante tutto, di riconoscere lo scacco subito e di sperare.
Tratto da : Acquerelli Mirandolesi – Tracce di vita quotidiana nelle terre dei Pico – Anno 2012
Autore: Bruno Andreolli