Mirandola in una poesia del Settecento

Mirandola in una poesia del Settecento

15 Giugno 2018 0

Tra le poesie del dottor Franco Ciardi, proveniente da Sestola nel Frignano e stabilitosi a Mirandola verso il 1740, si distingue un so­netto di indubbia efficacia, che egli compose a caldo per descrivere appunto la città in cui era venuto ad abitare da poco. Scrive dunque il Ciardi:

“lo vivo, amico caro, in un paese,

Cui non mancano debiti e peccati,

Che nemico mortal del Modonese,

Le fole adora sol degli antenati.

Triste le case son, sporche le chiese,

Ne fan due terzi i Conti, i Preti, i Frati,

Di superbia ripieni, e mal francese,

Al nuocer pronti, e al beneficio ingrati.

Bramano aver tra lor dotte persone,

Ma poscia quanto lor, e più nel resto,

Vorrian che ciaschedun fosse coglione.

Qui lice il furto, l’adulterio è onesto,

L’odio, l’invidia, la mormorazione Regnan … per altro un buon paese è questo.

Si tratta di una composizione poetica, scritta peraltro da un immigrato, ma, al di là di evidenti luoghi comuni e di altrettanto evidenti forzature, in essa vengono còlti alcuni problemi decisivi della storia di Mirandola all’indomani della caduta del Pico.

Esatto il riferimen­to all’odio nei confronti dei Modenesi ed in particolare degli Estensi, usurpatori di un antico dominio cui va il ricordo nostalgico dei sud­diti. Tanto più che l’amministrazione estense aveva contribuito non poco al degrado della mitica fortezza pichense, che al forestiero si presentava ora nel più completo abbandono.

Nel 1714 si era verifi­cato lo scoppio del torrione, che aveva distrutto numerosi edifici del castello; gli spalti e le mura cadevano in rovina e venivano appaltati per pascolarvi le pecore; tra il 1783 e il 1786 sarebbero stati demoliti vari fabbricati della reggia pichense, perché pericolanti.

Alla deca­denza urbanistica si accompagna quella morale.

Il clero e la nobiltà, che in precedenza avevano assicurato il governo del ducato, ora reagiscono in forme innaturali alla perdita degli antichi compiti. La cultura è divenuta un fatto di facciata, un orpello decorativo. La vita civile vi appare completamente compromessa, dominata com’è dal vizio, dall’odio e dall’invidia.

Evidentemente al Ciardi si presentava una città allo sbando, nostalgicamente proiettata verso il passato e incapace di costruirsi un futuro. Ciò nonostante egli vi si stabilì con la famiglia divenendo, come capita spesso agli immigra­ti, un cittadino di spicco al punto che alla sua famiglia nel 1761 fu concessa la patente di nobiltà.

Il sonetto d’altro canto ebbe ottima accoglienza a Mirandola e circolò per vari anni, a testimonianza di una popolazione capace ancora, nonostante tutto, di riconoscere lo scacco subito e di sperare.

Tratto da : Acquerelli Mirandolesi – Tracce di vita quotidiana nelle terre dei Pico – Anno 2012

Autore: Bruno Andreolli

Acquerelli

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