Mirandola – Gli anni settanta e il decollo
Cartolina di proprietà di Roberto Neri
GLI ANNI SETTANTA E IL DECOLLO
Il distretto biomedicale
Nel 1970 c’era la DASCO. Nel 2000 le imprese del distretto biomedicale erano settanta, trentacinque imprese finali e trentacinque imprese di subfornitura, con 3.660 addetti. Le imprese capofila avevano in media 89 dipendenti, le imprese minori 15. Il fatturato ammontava a 515,5 milioni di euro: il 46% emodialisi, il 16% cardiochirurgia, il 10% trasfusione/autotrasfusione, il 13% anestesia e rianimazione, il 14,4% altre produzioni biomedicali. Nell’export italiano del settore, Mirandola era al primo posto, con il 19,1%, davanti a Milano e Bologna.
Gli studiosi considerano il distretto mirandolese “atipico”, a causa del settore di specializzazione e della forte presenza di grandi multinazionali estere, ma in realtà gli elementi di originalità sono più numerosi.
Singolare è il fatto che sia nato in un ambiente economico, agricolo e meccanico, che quasi nulla aveva a che spartire con il nuovo settore, lontano da centri di produzione sanitaria e farmaceutica.
Singolare è il processo di crescita delle aziende e di ingresso delle multinazionali, frutto di una deliberata strategia degli imprenditori locali e non di una classica colonizzazione.
Singolare è infine la storia del padre del distretto, che non riprendiamo, perché lui stesso si è raccontato e ci ha raccontato le vicende delle imprese e dei principali protagonisti nella “Plastica della Vita” a cura di Roberto Rolando: Mario Veronesi, un genio autodidatta del marketing, inteso nella sua accezione più vera e profonda, perché Veronesi era molto di più di quanto ha detto di lui Lucio Gibertoni, l’anima tecnica del polo biomedicale: ” Mario dopo dieci anni confondeva ancora i prodotti, ma era capace di vendere un frigo agli eschimesi ed era geniale a intuire i prodotti giusti che servivano al mercato”; Veronesi era molto di più, perché sapeva collegare in modo intelligente l’impresa e il mercato, influiva sul mercato e sulle imprese, in qualche modo modellava l’uno e le altre.
Era un uomo di destra in una terra rossa, ma di una destra ben lontana dai tratti prevalenti delle destre italiane, segnate da provincialismo, rapacità verso i beni pubblici, uso assistenziale dello Stato, insofferenza delle regole, egoismo di classe e familismo. Mario Veronesi era insofferente verso la burocrazia e non amava l’intervento pubblico, ma rispettava le istituzioni; era legato alla sua terra, ma vedeva il mondo; aveva opinioni forti sulle cose e sugli uomini, ma era disincantato verso tutte le ideologie.
Il decollo dell’economia locale non fu un’esclusiva del biomedicale. Nel 2001 sul territorio del Comune di Mirandola c’erano 2.241 unità locali, 428 nell’industria manifatturiera, 233 nelle costruzioni, 90 nei trasporti, 70 nel credito e assicurazioni, 83 in alberghi e ristoranti, 592 nel commercio, e altre distribuite in un ampio spettro di rami di attività. Gli addetti erano 11.127, con una media di 5 occupati per ogni unità locale e di 10,6 nell’industria manifatturiera. Alcune imprese storiche, dalla Fondghisa, allo Zuccherificio, alle Officine Dondi avevano concluso il loro ciclo. Altre aziende medie si erano consolidate, come l’azienda Mantovanibenne di Alberto Mantovani, la carrozzeria Barbi, l’ACEA di Arturo Zaccarelli, la RCA di Albertino Reggiani, la TPL di Luigi Mai, il maglificio Fontana, l’Offmecc di Lino Cavicchioli e altri, che per ragioni di spazio non citiamo, scusandoci con imprese e imprenditori che meriterebbero ciascuno uno spazio adeguato.
Tuttavia, credo che non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che il biomedicale, vuoi per il livello d’internazionalizzazione, vuoi per i redditi distribuiti, vuoi per gli investimenti in ricerca e tecnologia, vuoi infine per l’impatto sulla società e la cultura locali, è stato il cuore e il motore principale di trasformazione dell’economia locale.
Perché sia nato qui e non altrove è una domanda scomoda. Secondo uno dei protagonisti del suo sviluppo: “Veronesi è il distretto e il distretto è Veronesi. Veronesi avrebbe compiuto questa grande impresa ovunque”. La tesi è molto forte e, stando al parere di altri protagonisti, alquanto parziale: “Qui in pochi chilometri quadrati c’è un indotto specializzato e tecnologicamente avanzato che le multinazionali in Cina non trovano e difatti sono rimaste qui anche dopo il sisma”; “Questo è un territorio permeato da know how diffuso, con un indotto già pronto, cultura diffusa delle applicazioni, non si può spostare o replicare altrove facilmente. La risorsa principale che abbiamo da vendere al mondo è la materia grigia, quella che ci permette di innovare e sperimentare”
Forse l’ultima parola è meglio lasciarla allo stesso Veronesi, di cui possiamo ripetere una citazione che abbiamo già visto: ” La gente qui ha una testa diversa da quelle che ci sono in giro per il resto del paese, io non avrei potuto fare altrove quello che ho realizzato qui. Qui c’è la miglior manodopera del mondo”. E’ una dichiarazione che non toglie nulla ai suoi meriti e che anzi ne mette ancora una volta in risalto la lucidità e il profondo senso della realtà.
Veronesi sarebbe stato un moderno condottiero e un uomo di successo anche altrove, non c’è dubbio. Ma la combinazione di fattori che si è verificata in questo territorio avrebbe avuto poche probabilità di riprodursi allo stesso modo in altri contesti, a cominciare dall’incontro coi collaboratori della “bella compagnia”, che meritano di essere citati a loro volta: Carlo Gasparini, Gianni Bellini, Alessandro Calari, Romano Flandoli, Claudio Trazzi, Giorgio Garuti, Leonardo Bigi, Libero Luppi e Lucio Gibertoni.
Dietro al distretto biomedicale ci sono dunque le condizioni storiche e sociali che siamo venuti descrivendo nelle loro linee essenziali, e ci sono protagonisti più o meno famosi, un lavoro collettivo di teste e di braccia. D’altra parte, per combinare tutti questi fattori, secondo la logica dell’imprenditore schumpeteriano, ci voleva qualcuno di speciale e di grande statura. E per descriverne ancora le qualità di Mario Veronesi, lasciamo la parola a uno dei suoi principali allievi e collaboratori, Gianni Bellini, nella commemorazione del 15 giugno 2017:
“In questi giorni si sono sprecati aggettivi, appellativi. Tutti parzialmente corretti, ma non esaustivi.
Genio…? Mario non si sentiva un genio, casomai nella sua umiltà un creativo, un ingegnoso, capace di ridurre tutto ai minimi termini, anche i problemi più complessi, con una chiarezza, una lucidità sorprendente, a volte stravolgente.
Non posso non citare una delle sue famose teorie, cioè che un bilancio di una azienda si può’ riassumere su un pacchetto di sigarette.
Niente fronzoli, niente sceneggiate, ma concretezza, pragmatismo, realismo, consapevolezza dei propri limiti… cioè quando è il momento di passare il testimone.
Mai ambiguità, solo certezze !
Burbero … Mario burbero? Non credo proprio, forse duro e tagliente nelle sue affermazioni. Mario era un pragmatico, sicuro di sé, che aveva la capacità di vedere chiaro e in anticipo quello che ai più non è concesso… e quindi un po’ insofferente nei confronti di chi non vedeva e non capiva le cose con la sua stessa rapidità e logicità.
Mai visto Mario sprezzante, altezzoso…
Incalzante sì, ma non imperioso.
Non diceva fai, ma io farei… e il messaggio era chiaro e forte”
Tratto da: Storia di Mirandola – Politica e società nel Secondo Dopoguerra- 1946/2001
Autore Luigi Costi
Edizioni CDL