Mantovani Alessandra – (Maturità 1982)

Mantovani Alessandra – (Maturità 1982)

21 Novembre 2018 0

Mantovani Alessandra

(Maturità 1982)

Commenta questo brano di Erich Fromm: “Non è vero che se non si accettano i dogmi religiosi si deve rinunciare ad occuparsi dell’anima. Dal punto di vista della psicanalisi non interessa sapere se l’uomo torna alla religione e crede in Dio, ma se vive con amore e pensa secondo verità. Se la risposta è sì, i sistemi che adopera hanno poca importanza. Se è no, non ne hanno alcuna’’.

Scrive Pascal nei suoi “Pensieri” che “…. l’uomo non è che una canna, ma una canna pensante….” ed effettivamente, in questa frase vengono puntualizzati gli elementi fondamentali dell’essere uomo: una sostanziale debolezza, il senso di una perenne inadeguatezza a far fronte alle necessità impellenti del vivere, la fugacità di una esistenza in bilico su di un non decifrabile sistema di equilibri, ma anche la consapevolezza tormentosa, la certezza inquietante di esistere. Vi è nell’uomo un qualcosa che, chiamiamola ragione, intelligenza, spirito od anima fa sì che definiamo “l’uomo” questo essere anomalo, un qualcosa che è più che una parte di lui, è la sua natura prima, il suo sostrato intimo, il suo elemento qualificante.

In virtù di questo, l’uomo, unico nell’universo, trova nella sua esistenza consapevole una domanda e non una risposta, una curiosità, non una soddisfazione, un incentivo ad evolversi non l’appagamento. Così, mentre si dibatte negli interrogativi su se stesso, sul significato e sulla provenienza della propria vita non può non prendere contatto con una realtà che è fuori di lui, ma di cui egli è parte, e lo contiene, ma da cui è staccato, in rapporto alla quale egli si sente, ad un tempo, dipendente ed autosufficiente:l’universo.

Egli è uomo proprio in virtù di quel nodulo di interrogativi e doman­de, di inquietanti incertezze, di dolorose, improvvise intuizioni di una realtà inafferrabile che costituiscono il suo se stesso più intimo e nascosto, la sua coscienza, la sua anima.

Essa che fa di questo essere il “ghiribizzo dell’universo” (Fromm) è la molla di un continuo processo per cui, attraverso una serie inesauribile di domande, l’uomo si muove alla ricerca della verità, una verità che lo guidi nella sua esistenza, nei suoi rapporti con gli altri.

Questa facoltà, anima o coscienza che sia, si trasforma poi, in questo processo, da elemento propulsivo a termine di arrivo, nel senso che l’uomo, quella risposta, la deve trovare in se stesso nel sacrario della sua personalità. In questo scavo profondo, emergono alcuni dei capisaldi fondamentali a cui egli deve rifarsi durante la sua esistenza: l’esigenza di conoscere e sapere, il bisogno di verità e quindi di sincerità, di onestà e, soprattutto, dalla coscienza della propria specificità e unicità di individuo pensante, il bisogno di libertà.

Libertà, per questo essere, significa totale esplicazione delle sue prero­gative umane, cioè spirito critico, ricerca del vero, possibilità di prendere atto del proprio valore individuale, ossia di cosa significhi veramente essere uomo. Da qui deriva un senso profondo di rispetto per se stesso che si deve esplicare in una forma riflessa e più ampia di rispetto per gli altri, un rispetto che diventa disponibilità, comprensione, unione, in ultima analisi, amore.

Rinunciare ad occuparsi dell’anima significa rinunciare a tutto questo, significa rinunciare all’essenza prima dell umano, negare l’uomo. “Occuparsi dell’anima’’ vuol dire, cioè, non tanto valutare l’uomo in base alla sua adesione o non adesione ad una determinata setta religiosa, ma significa appunto valutare in che misura sia sviluppata in lui quell’attitudine alla ricerca della verità che è la tappa iniziale di una realizzazione concreta della propria umanità; il detto greco “Conosci te stesso” ha ancora, in questo ambito, una profonda validità. Solo quando un individuo avrà potuto raggiungere una visione il più possibile lucida e chiara mediante l’esplicazione totale della sua interiorità, sarà in grado di fondare una comunità basata su valori di libertà, indipendenza, giustizia, amore.

Scrisse Einstein: “Una delle cose più belle della vita è avere una visione chiara dei nessi esistenti tra le cose”. Vedere le cose e valutarle secondo verità è il postulato fondamentale di una vita che possa dirsi tale. Il metodo, tuttavia, con cui l’uomo tenta di realizzare questo disegno non è unico: egli può vivere questa ricerca nell’ambito di una esperienza religiosa, di una religione, come la definisce Fromm, umanistica , ossia fondata sull’uomo, sulle sue capacità, sulla sua razionalità, pur nella consapevolezza dei suoi limiti: “….La virtù chiave è la capacità di autorealizzarsi, non quella di obbedire; la fede si definisce una convinzione sicura basata sulle proprie esperienze di creatura che pensa e che sente, non già assenso a certe proposizioni di fonte infinitamente autorevole…. (Fromm Psicanalisi e Religione”).

La psicanalisi stessa, poi, nel momento in cui tende a configurarsi come “medicina dell’anima” si presenta, nella sua volontà di affrancare l’uomo scavando nei più riposti recessi della sua personalità, come una delle vie che egli può seguire nell’esplorazione di se stesso nella ricerca della verità. Se, pertanto, psicanalisi e religione non sono altro che due vie per il raggiungimento della piena esplicazione dell’umano che si occupano, magari in modo diverso, di quel complesso, non ben determinabile “quid” che chiamiamo anima, ogni polemica su di esse e sulla definizione dei rispettivi ambiti di azione diventa fuori luogo.

La tragedia autentica è se l’uomo rinuncia alla propria anima, se rinuncia all’essenza della sua natura cioè se “non vive con amore e pensa secondo verità”; infatti qualora la ricerca della verità e i corollari di essa, l’onestà interiore, il senso della propria e dell’altrui libertà vengano meno, cade ogni possibile presupposto di vita autentica. Se la verità lascia il posto alla menzogna, ecco che alla libertà si sostituisce la sopraffazione, al senso della propria individualità, l’orgogliosa convenzione di una presunta supe­riorità, all’amore del prossimo, la volontà di strumentalizzarlo a proprio vantaggio.

Ecco che allora la religione, fondata sulla menzogna, può diventare idolatria, la psicanalisi, nel momento in cui non mira all’affrancamento spirituale dell’uomo, ma alla sua strumentalizzazione, diventa manipolazione dell’inconscio, l’ideologia politica, se si basa sulla deificazione del potere, diventa strumento di oppressione totalitaria.

Religione, psicanalisi, credenze politiche e filosofiche, a questo punto, non sono più metodi di crescita, ma di progressiva alienazione; ecco che, allora, come afferma Fromm, tali metodi non hanno più importanza alcu­na, non hanno più alcuna capacità costruttiva poiché: “la via del fare è l’essere”. (Lao Tse).

Tratto da: Sessant’anni di vita del Liceo-Ginnasio “Giovanni Pico”

Mirandola 1923-1983

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