L’erba Porcellana a le pecore della Bassa
E’ noto che tra tardo Medioevo e prima Età Moderna nella bassa pianura modenese si ebbe un grande sviluppo dell’allevamento ovino.
Per favorire questo processo i grandi proprietari della zona affidavano in sòccida le greggi a patti abbastanza favorevoli per gli allevatori e, soprattutto nella fase iniziale, promossero una notevole immigrazione di montanari provenienti dal Bergamasco, particolarmente esperti in questo settore. La lana che si ricavava era di qualità medio-bassa, ma particolarmente apprezzata su alcuni mercati dell’Italia settentrionale.
In un trattatello sull’arte della lana a Ferrara steso verso la metà del Cinquecento, l’anonimo compilatore osservava che i “mantovani, mirandolesi, carpigiani,veronesi, padovani e vicentini et di altri paesi circostanti, in vero hanno di bone lane”. E sempre alla metà del Cinquecento, gli ambasciatori di Legnago, per ottenere da Venezia il permesso di impiantare una industria tessile nella loro cittadina, furono costretti a minacciare che, in caso di risposta negativa avrebbero continuato a utilizzare i panni di Mirandola, Mantova e Ferrara. Si sa che il decollo di nuovi piccoli centri di produzione come Mirandola e Carpi era legato alla crisi dei grandi empori sia italiani, sia stranieri, e allo sviluppo dell’economia di allevamento dopo il drastico calo di popolazione iniziato con la Peste Nera del 1348. Pur tuttavia, non vanno sottovalutate anche ragioni di carattere ambientale, che rendevano la Bassa modenese particolarmente adatta al pascolo.
Lo conferma un passo piuttosto significativo del frate domenicano Leandro Alberti, che nella sua Descrittione di tutta l’Italia, stampata a Bologna nel 1550, a proposito della valle di Montirone, nei pressi di Mirandola, annotava: “E’ questa pianura molto spaziosa senz’alberi, et producevole della Porcellana, qua l’è un’erba di colore rosso, con le foglie grosse, di sapore salso, molto giovevole alle pecorelle…
Sono molto dilicati pascoli quivi per le pecorelle, delle quali se ne cavano fine lane, et in gran copia”.
Particolarmente interessante l’accenno all’abbondanza, nei prati di queste zone, della Porcellana, la Portulaca oleracea, un’erba che nel Medioevo veniva spesso coltivata e consumata per lo più cruda in insalata, date anche le sue proprietà diuretiche, rinfrescanti e antiscorbutiche.
Naturalmente era molto apprezzata dalle pecore per il sapore salato assunto nei terreni delle valli mirandolesi caratterizzati dalla presenza delle cosiddette acque salse, acque che presentano un notevole concentrazione di cloruro di sodio.
Ancora un’esempio dell’importanza che risorse ambientali apparentemente insignificanti potevano avere in passato rispetto alle grandi scelte economiche di un territorio. Dall’altro canto, sappiamo che a favorire lo sviluppo dell’arte della lana nel Carpigiano giocò un ruolo non secondario la presenza in loco di certe piante tintorie, come lo zafferano, o fissanti, come la vallonéa.
Né si deve dimenticare il rilievo di questo settore ebbe l’onnipresenza dell’acqua, facilitando l’impianto di numerosi mulini. Nel 1539, ad esempio, è attestata la costruzione a Camurana di un imponente mulino, a proposito del quale si precisa che “se ge farà un follo per li pani di Mirandola et una tintoria con le chioldare”. Analoga funzione figura assegnata ad uno dei nove mulini segnalati a Concordia dagli estimi del 1556.
Tratto da “Acqurelli Mirandolesi” di Bruno Andreolli – 2012.