Le origini del Carnevale

Le origini del Carnevale

1 Febbraio 2024 0

1946-Festa di Carnevale della Francia Corta - Gent.conc. Proselpino Caleffi.

IL CARNEVALE

Di solito, durante questo periodo che potremmo chiamare pre­quaresima, la parte finale del mese di febbraio coincide con le giornate conclusive e più importanti del Carnevale. Non esiste, tuttavia, una data fissa per il momento più tipico del Carnevale, per­ché tutto dipende dalla data della Pasqua che, come vedremo, è legato in una certa misura alle fasi lunari.

Comunque, nella nostra “Bassa”, il Carnevale iniziava pratica­mente dopo l’Epifania, che il popolo considerava come la prima giornata carnevalesca, anche se, a livello ufficiale, questo periodo festoso comincia il 26 dicembre e si conclude nel giorno del mar­tedì che precede le Ceneri. Tuttavia, per la cronaca, esiste anche il “Carnevalone” milanese che dura quattro giorni in più rispetto alle altre zone e cioè fino al sabato della settimana che comprende il giorno delle Ceneri, in ossequio all’antico rito ambrosiano.

È un periodo, quello di Carnevale, tradizionalmente consacrato alla letizia, agli svaghi e ad ogni genere di divertimenti, fino al li­mite della licenziosità. Sull’origine di questa serie di feste vi è qual­che incertezza: parecchi studiosi fanno risalire il Carnevale ai “Sa­turnali” dell’antica Roma, che erano feste popolari a carattere or­giastico in onore di Saturno, che si tenevano però fra il 17 e il 23 dicembre di ogni anno. Si dice che fosse una sorta di commemo­razione (e di rimpianto) del tempo felice, detto “età dell’oro”, in cui il solo dio Saturno regnava sulla terra, poi spodestato dagli altri dei. Vi è da dire che durante i “Saturnali” servi e padroni banchet­tavano e gozzovigliavano assieme (talvolta anche con gli schiavi), essendo concessa alle classi inferiori una sorta di temporanea li­bertà, soprattutto di parola. Poi tutto tornava come prima.

Nella “bassa” pianura modenese, fin dai tempi dei Pico, signori della Mirandola, i maggiori protagonisti del Carnevale sono sempre stati i bambini: è vero che non mancavano i balli in maschera, ri­servati soprattutto ai nobili e all’alta borghesia, non mancavano nemmeno le sfilate dei carri, i veglioni danzanti, addirittura si dan­zava talvolta anche nelle stalle ed era abbastanza frequente osser­vare che, specie fra le classi meno abbienti e fra i contadini, non si trascurava di celebrare qualche matrimonio in questo periodo. I motivi, sembra incredibile ai giorni nostri, erano molto semplici: in primo luogo, finita la potatura, non c’era molto da fare nei campi e comunque ci si poteva distrarre dai lavori agricoli per qualche giorno di festa. Ma un altro importante motivo stava nel fatto, lieveniente crudele e decisamente gretto, che celebrando il matrimo­nio nella seconda metà di febbraio, si evitava di dover sfamare una bocca in più (quella della novella sposa) durante il lungo e poco produttivo periodo invernale. Insomma, era preferibile che la spo­sa restasse con i propri genitori durante l’inverno quando – a giu­dizio dei vecchi e delle “razdore” – la donna in casa non serviva più di tanto. L’innamorato l’avrebbe impalmata nel festoso periodo del Carnevale, proprio alla vigilia del momento in cui nei campi due nuove giovani braccia avrebbero certamente fatto comodo. E poi questo era un periodo fatto apposta per l’amore, tanto che in certi paesi della “Bassa” era perfino consentito agli innamorati più audaci e impertinenti di abbracciarsi in pubblico. Qualche ragazza più sfrontata arrivava persino all’audace gesto di farsi baciare in pubblico, con evidente scandalo delle vecchie, dei preti e dei ben­pensanti.

Ma come si è accennato, dalle nostre parti i maggiori protagoni­sti del Carnevale erano i bambini: che potevano finalmente scate­narsi in alcuni divertimenti caratteristici, come vedremo. Perfino ai nobili rampolli dei Pico era concesso, una volta all’anno, di mesco­larsi con i ragazzi del popolo o quanto meno ai figli del personale del castello. I giochi, tutti peraltro molto semplici, erano diversi: si andava dall’albero della cuccagna al nascondino tradizionale (chia­mato anche “cucù”), dalla “rottura della pentola” (che avveniva ad occhi bendati) alla classica “bandiera” e per finire molto spesso con il tradizionale “gnagno”. Se poi c’era anche un po’ di neve si potevano perfino costruire pupazzi di neve, mentre non era con­sentito il gioco delle “sballate”, cioè delle tradizionali palle di neve, soprattutto quando ai giochi partecipavano i figli dei Signori. Pa­recchi di questi giochi infantili sono arrivati fino a noi, anche se la maggior parte è finita nel dimenticatoio.

A proposito di neve, si potrebbe aprire una piccola parentesi, anche se non c’entra molto con il Carnevale: va ricordato infatti che nei cortili dei castelli e in quasi tutte le case signorili (sempre costruite nel mezzo di un ampio giardino) esistevano le cosiddette “ghiacciaie”, che erano piccole collinette artificiali, alte all’incirca un paio di metri, scavate nell’interno, dove si trasportava la neve fresca in caso di forti precipitazioni nevose. La neve, ben pressata, si conservava almeno fino alla fine dell’estate ed era estremamente utile per conservare le carni, la cacciagione e alcuni salumi in un ambiente decisamente fresco. Era il “frigorifero” ante litteram dei signori, anche perché i poveri non possedevano certamente molta carne da conservare per vari mesi. Diciamo pure che non avevano nemmeno la carne.

Tratto da: Antiche Tradizioni Mirandolane

Autore: Giuseppe Morselli

Edizioni Bozzoli

Anno: 2006

 

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