Le nostre Frazioni – Ponte San Pellegrino, Confine, San Biagio in Padule, Galeazza, Mortizzuolo

Le nostre Frazioni – Ponte San Pellegrino, Confine, San Biagio in Padule, Galeazza, Mortizzuolo

5 Agosto 2020 0

La chiesa parrocchiale di Mortizzuolo

Le nostre frazioni: Ponte San Pellegrino, Confine, San Biagio in Padule, Galeazza, Mortizzuolo

Da San Felice sul Panaro , verso Mirandoladue sono le strade più frequentate.

La prima passa per Ponte San Pellegrino e Confine (località così chia­mata perchè fino al 1710 segnava il confine storico fra il Ducato di Mo­dena sotto gli Estensi e il Ducato di Mirandola sotto i Pico). Non lontano da Confine c’è la località di Montirone, in territorio mirandolese ma pro­prio al confine con San Felice.

Il luogo è di grande rilevanza storica, anche se oggi è solo una località topografica. Il Tiraboschi afferma che “Montironum in Curia de Quarantulis” è nominato in una carta dell’anno 963. Vi si parla di una cappella di Montirone che dipendeva dalla pieve di Quarantoli e dal monastero di Nonantola. Ma ciò che più interessa è che il luogo era sicuramente abita­to al tempo dei Romani e certamente si trattava di una comunità di un certo rilievo.

Vale la pena raccontare quanto scriveva padre Leandro Alberti, un ce­lebre monaco di grande cultura e di molta considerazione negli ambienti della Chiesa. Oltre tutto Leandro Alberti era anche noto per la sua note­vole capacità inquisitiva. Era, insomma, il braccio secolare dell’Inquisi­zione nelle zone emiliane. Fu a Finale per qualche tempo, dove riuscì a mandare al rogo qualche dozzina di persone (intorno al 1 524), poi a Mi­randola nel 1525, dove i morti bruciati in piazza non si contarono. Si cal­cola che tra il 1525 e il 1 526 un centinaio di persone finì al rogo per stre­goneria o eresia, fra cui un vecchio prete di 72 anni, Don Benedetto Berni.

Ma a noi interessa conoscere la descrizione di Montirone fatta da pa­dre Leandro Alberti.

‘Poi dal Finale camminando in su – racconta – ritrovansi assai luoghi paludosi, et la valle di Montirone molto grande, che ha alla destra un lun­go ma stretto Gibbo (il dosso di Gavello) che comincia presso la Via Emi­lia, e scendendo continuamente trascorre quasi al Po, dimandato Dosso, che est molto producevole di frumento. È questa valle serrata dall’occi­dente da questo Dosso, dalla Mirandola cinque miglia discosto”.

Aggiunge l’Alberti che forse qui a Montirone potevano esservi i famo­si Campi Nacrij, ma che certamente in quel paese di Montirone “egli ha veduto grandi vestigij di antichità e di magnificij mosaici e che spesso trovansi medaglie, pavimenti tessellati, vasi antichi, sepolcri, corniole e che una ne fu rinvenuta, in cui era scolpito Mercurio, la quale acquistata da Gianfrancesco Pico, Signore della Mirandola, era stata fatta da lui le­gare in oro e portavala al dito”.

Non va dimenticato che lavori di scavo hanno portato alla scoperta di altre vestigia romane. Nel 1808 fu scoperta una bellissima lapide roma­na, della gente Eufronia. Non va nemmeno dimenticato che nel giugno del 1703 a Montirone avvenne una grossa battaglia fra le truppe franco­spagnole comandate dal generale Albergotti e quelle austro-piemontesi al comando del conte Guido di Starembergh, con più di duemila morti fra le opposte parti.

Ma prima di lasciare il territorio di San Felice è opportuno citare anche la frazione di San Biagio in Padule.

La località era chiamata nell’antichità “Palus Major” da cui deriva il nome di San Biagio in Padule. Già dopo il Mille vi era sorta una piccola chiesa dedicata all’Ascensione. Ma mentre la località è citata in un do­cumento del 1228, la prima menzione di una chiesa dedicata a San Bia­gio risale al 1326, esattamente il 31 agosto. La chiesa fu interamente ri­fatta nel 1700 e di nuovo ampliata nel 1743, anno in cui furono rifatti l’abside, il coro e la sacrestia. Vi si venera, oltre a San Biagio, anche un’immagine secentesca della Vergine Maria, che esisteva almeno dal 1669.

Sempre nella frazione di San Biagio, è caratteristico un capitello, detto “La Croce” nel quale si trova una bella immagine sacra della Vergine. Fi­no a qualche tempo fa si trovava nel mezzo della strada e di recente è stato spostato su un lato della carreggiata.

Di buon interesse anche la villa Testi, piuttosto mal ridotta, comunque risalente ai primi anni dell’800 e circondata da un bel parco.

Non lontano da San Biagio è la località della Galeazza, dove un tempo, come abbiamo visto, sorgeva un importante convento. Nei pressi dell’ex convento si possono ancora ammirare alcune belle costruzioni antiche, fra cui la Casa Cappelletta e il Casino Modena, oltre a Villa Galeazza, una sontuosa residenza di campagna, risalente al ‘700 e in perfetto sta­to di conservazione. Sorge proprio dove un tempo si trovava il conven­to.

Villa "La Galeazza"
Villa “La Galeazza”

Da San Biagio, sia percorrendo la strada che porta al ponte di San Pellegrino, sia la strada detta della Picca, si ritorna nel comune di Mirando­la, più precisamente nel territorio della frazione di Mortizzuolo.

Anche Mortizzuolo è terra molto antica. Incerta è l’origine del nome che pare derivi, secondo Cappi, da un agglomerato di acque morte, di acque stagnanti o paludose.

Insomma una “zona morta” dalla quale sarebbe derivato il nome di Mortizzuolo, ossia di morto suolo. Altri propendono per una modificazione della voce Porticciolo o Portizzuolo. Altra ipotesi è che il nome derivi da “mortizza” una parola popolare antica ora in disuso, che significa piccola palude. (Calzolari)

Dal Tiraboschi apprendiamo che Mortizzuolo era nel Medio Evo una villa del Mirandolese con chiesa parrocchiale dedicata a San Leonardo. Questo tempio è nominato per la prima volta in un documento del 1326.

L’attuale chiesa, sempre dedicata a San Leonardo da Limoges, patro­no dei carcerati risale al 1444, ma fu ampiamente rifatta nel 1681, con l’ampliamento della navata centrale e la costruzione delle due navate laterali.

Altri importanti lavori furono eseguiti in epoche successive.

All’interno sono di un certo valore il cosiddetto “Crocefisso miracolo­so” in cartapesta, del ‘600, una bella tela della Madonna del Buon Con­siglio, risalente al 1611 e alcuni altari e confessionali.

Proseguendo verso Mirandola sulla strada comunale della Picca, si incontrano tre oratori privati, di cui uno del ‘600, alcune interessanti case coloniche e, di notevole interesse, la chiesa non più consacrata che fa­ceva parte del vecchio ospedale di Sant’Antonio Viennese, edificato dai Pico nel secolo XIV e che, quindi, era più antico di quello di Santa Maria Bianca, fondato soltanto nel 1432.

L’ospedale era retto dai padri agostiniani che gestivano pure l’ospedale di Sant Antonio Abate a Tramuschio e quello, più grande e importan­te, di San Leonardo a Concordia, fondato nel 1425.

L’ospedale che si trova a poco più di un chilometro da Mirandola ces­sò la sua attività nel XVI secolo. Ora resta solo la struttura della chiesa in stile cinquecentesco, del tutto spoglia all’interno. Si presenta in cotto con paramento a vista, percorso all’altezza del cornicione da un piccolo fregio di archetti pensili. Anche la facciata è solcata da tre finti archi a tutto tondo e risulta di composta e severa bellezza. È, in definitiva, un piccolo gioiello dimenticato, oggi usato come abitazione civile. Tornando sulla strada provinciale del Mazzone, ormai alla periferia di Mi­randola, si notano sulla destra, all’incrocio con via Motta, la casa coloni­ca detta appunto La Motta e un’altra bella costruzione agricola, soprae­levata rispetto al terreno circostante, detta “L’Alta”. Forse questa abi­tazione colonica sorge sul punto dove un tempo esisteva un grande edi­ficio poi abbattuto, forse il leggendario castello della Motta.

Più avanti, sulla sinistra, l’imponente complesso del centro nuoto, con piscina coperta e scoperta, e l’interessante moderno edificio delle scuo­le medie Montanari”, la cui facciata è abbellita da interessanti bassori­lievi dello scultore Ceschia di Udine. A questo punto, a conclusione del quarto e ultimo itinerario e con il ritorno a Mirandola, la breve escursione per la Bassa modenese può dirsi finita. È chiaro che non abbiamo detto tutto quello che c’era da dire e raccontare, di molti monumenti non ab­biamo potuto parlare. Il nostro intendimento era quello di gettare un flash su quello che i nove comuni della Bassa modenese offrono di più importante e vistoso. Non abbiamo sfogliato antiche carte o visitato tut­to il territorio con la lente di ingrandimento. Il nostro compito era quello di stimolare gli studiosi, soprattutto i giovani, ad approfondire maggior­mente il discorso riguardante la cultura della nostra terra.

Alla fine, ci sembra importante avere dimostrato che il Comprensorio della Bassa modenese, per moltissimi aspetti, non è quella “zona de­pressa” che qualcuno ritiene.

Giuseppe Morselli

Tratto da: Guida storica e turistica della Bassa Modenese

A cura di Giuseppe Morselli

Anno 1982

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