La Leggenda di Francia Corta.
La Viola, Il Gobbo, La Fiorentina ed altri personaggi
Nel vecchio quartiere di Francia Corta non mancavano certamente quei personaggi che oggi potremmo definire “un po’ strani”, ma che nei tempi andati erano chiamati semplicemente “macchiette”. Francia Corta di questi personaggi ne ha avuti a decine, anche se la loro memoria è oggi un po’ sbiadita. Forse il personaggio più noto di Francia Corta, nel periodo fra le due guerre, era la signora Ines, una donna che sembrava non avere mai posseduto un cognome: era la signora Ines e basta. Molti la consideravano una “benefattrice”, ma da tanti altri era ritenuta un’istigatrice del peccato.
Perché la Signora Ines era la tenutaria della vecchia casa di tolleranza di Via Francia Corta, la padrona del “casino” scomparso in modo prematuro nel 1949, una decina d’anni prima della famosa “Legge Merlin”; una storia strana, che merita di essere ricordata in poche parole. Perché, proprio nel 1949, l’allora ministro degli Interni Mario Scelba decise di chiudere le case di tolleranza, in via “sperimentale”, nelle due province che erano considerate le più turbolente d’Italia, quella di Palermo per via della mafia, e quella di Modena per motivi di sicurezza politica, che poi voleva dire che c’erano troppi comunisti. E così finì l’attività della Signora Ines, la quale era nota per il suo “lavoro” ma anche perché non rifiutava mai un piccolo aiuto in denaro ai francia-cortesi più poveri. Qualcuno la definiva una doppia “benefattrice”.
Ma la coppia più caratteristica di Francia Corta, peraltro nota in tutta la “Bassa”,era senza dubbio formata dal “Gobbo Razzani” e dalla “Fiorentina”. Lui, da tutti chiamato il “Gobb Rasen”, in realtà si chiamava Francesco Razzani ed era figlio di un personaggio “illustre”, cioè di Luigi Razzani, che alla fine dell’Ottocento era stato a lungo “Ministro” di Francia Corta, una carica che oggi si potrebbe paragonare a quella del Principe di Francia Corta. Lui, Francesco, era piccolo di statura ma con due gambe piuttosto lunghe in rapporto al torace, contrassegnato nella sua parte posteriore da una vistosa gibbosità, che in linguaggio mirandolese, in modo impietoso, era chiamata “gobba”. Dicono i testimoni del tempo, tutti abbastanza anziani, che la vista di questo signore, peraltro molto simpatico e disponibile a scherzare anche sul suo appariscente handicap fisico, faceva un po’ compassione, specialmente quando si piegava in due per potersi allacciare le sue scarpe, sempre troppo grandi e perpetuamente scalcagnate. Ma era un artista a suonare la “Viola”, come vedremo.
Accanto al “Gobb Rasen” veniva immancabilmente sua moglie, la leggendaria Fiorentina, una donna decisamente piccola di statura, dalla pelle scura come una mulatta, una piccoletta tutta ossa, quasi sempre vestita con un misero abito scuro mille volte rammendato, spesso ricoperto da un pittoresco scialletto colorato, di taglia non certo sua. Evidentemente uno dei maggiori problemi di quella famiglia poveramente pittoresca erano le scarpe poiché anche la signora Fiorentina aveva quasi sempre ai piedi due scarpe estremamente scalcinate, probabilmente due scarpe da uomo, con le calze puntualmente arrotolate sopra quelle due scarpacce. L’attività di quella singolare coppia familiare, nota a tutta la gente della “Bassa”, era piuttosto singolare: per campare lui andava in giro per le feste, per le fiere, le sagre e i mercati a suonare la sua viola (che oggi è un vero “patrimonio” della Società Francia Corta), che era un’antica pianola meccanica, una di quelle che un tempo venivano chiamate “organetti di Barberia”. Il “Gobbo” dunque suonava la “viola” e nello stesso tempo la signora Fiorentina accennava a qualche passo di danza: non era certamente una stella come Carla Fracci, ma le sue attitudini per la danza erano note a tutti. E poi la gente si divertiva a vedere quella piccola donna danzare a modo suo. Finito di ballare, mentre la “viola” proseguiva nelle sue lente e struggenti melodie talvolta un po’ stonate, la Fiorentina girava con il suo piattello fra la gente, per raccogliere qualche monetina. E teneva anche fra le mani un mazzettino di foglietti colorati, detti “i pianeti”, dove ciascuno poteva trovare, con la spesa di qualche spicciolo, un’infallibile illustrazione del proprio futuro. Erano, insomma, i cosiddetti “pianeti della fortuna”, che comprendevano anche i numeri più fortunati del lotto, oltre a quelli di maggiore ritardo d’uscita. Insomma, mentre la “viola” di “Rasen” ripeteva all’infinito i ritornelli delle melodie alla moda in quel tempo, con il Gobbo sempre intento a girare la manovella, la Fiorentina distribuiva al pubblico la sua abilità coreografica e i foglietti colorati che portavano fortuna e denaro. La gente non poteva chiedere di più. (Si narra anche che alla loro morte, furono trovati nel solaio 3 sacchi di iuta pieni di monetine da 50 e 100 Lire). Ma la cosa più bella è che questa strana coppia diede alla luce una figliola, che molta gente ricorda come una bella bambina e, più avanti, come una donna di gradevole aspetto. Ma tutti sanno che Francia Corta non è mai avara di miracoli.
Altro personaggio caratteristico di Francia Corta, ma noto in parecchi paesi della “Bassa”, era anche la “Colombina” che nei giorni in cui si ricordavano le feste nazionali usciva di casa tutta vestita di bianco, con una fascia tricolore alla cintura e con altri vari accessori in bianco, rosso e verde. Appuntate al petto, portava diverse medaglie luccicanti, trovate chissà dove. Anche la “Colombina” aveva una figura minuta, era bianca di capelli e la gente diceva che aveva un estro (quasi) infallibile nel leggere la mano e scoprire il futuro di ogni persona tramite un vecchio mazzo di carte.
Un altro personaggio da ricordare è certamente “Santon”, piccolo di statura, indossava giacche tutte rattoppate e pantaloni più lunghi delle sue gambe che spesso riavvolgeva e tenuti su con una cintura di corda, in testa un berretto con visiera unto e bisunto. Svolgeva piccoli lavori per la famosa signora “Ines”. Abitava nella casa più vecchia non solo del quartiere ma di tutta Mirandola. Il pavimento era in terra battuta e la casa aveva solamente due vani.
Forse il più caratteristico di tutti i personaggi locali fu certamente Ruggero Rebecchi detto “Al Puff” .Di mestiere faceva l’elettricista, ma non ha mai operato nel settore. Era, invece, suonatore di chitarrina che strimpellava alla meglio. La cosa migliore che egli riusciva a fare era quella di bere,( assiduo cliente del Borreghino ) e, tutte le sere, ritornava a casa ubriaco e poi picchiava la moglie. Si ricorda che molto spesso interveniva la polizia a sedare la solita lite. Balbettava e costantemente ubriaco non si capiva mai quello che diceva. Ma era benvoluto da tutti, bastava che non suonasse che già gli offrivano da bere. Abitava nel cosiddetto “casarmon” ed era fratello del “Mao” altro tipico personaggio amante del buon vino.
“Al Puff” molto spesso faceva coppia con “Al Nadar”, al secolo Nuvolotti, altro famoso personaggio e fratello della Fiorentina.Insieme formavano una bella coppia, uno alto “Al Puff”, e uno piccolo “Al Nadar”, con la pelata che avevano entrambi e con la berretta che portavano tutti e due di traverso. “Al Nadar”, pur avendo un tetto, amava dormire, in qualsiasi stagione econ qualsiasi tempo, sulle panchine poste sotto i viali e vicino allo stadio “Libero Lolli”. Ignota la sua professione.
Ma il quartiere ha dato anche i natali alla “Vecia Frula”, alle sorelle “Caploni”, alla “Mata Chiria”, al “Cè” personaggio che andava dicendo che il suo cane parlava, a “Scaramus”, alla “Marisa”, piccola di statura e con una deformazione fisica alla schiena, che si poteva trovare quasi sempre al “Butghein”, e di umore alterno: ora sorridente con tutti, ora arrabbiata.
E non si può dimenticare lo straccivendolo “Abbade”, dalla parlata anomala a causa di una deformazione fisica al labbro superiore. Si racconta che una volta fu inviato dal Pretore a giustificare il furto didue vacche. Rispose che lui aveva raccolto due stracci e che se agli stracci vi erano attaccate due vacche la colpa non era certamente sua.
Tutta questa gente è rimasta nella memoria non solo dei franciacortesi, ma anche dei mirandolesi.
Tratto da ” La leggenda di Francia Corta” di Enrico Castellazzi e Giuseppe Morselli anno 2003