I Cèci – Le Palline
Averne tanti céci, l’era aver un picul capital: quanti volti is cuntava! Mi agh n’ò utanta, mi agh n’ò sentrenta, trasentsinquanta agh n’ò mi!
Quelli più belli di tanti colori azzurri, rossi, verdi, gialli, turchini i colori dell’arcobaleno, erano nel barattolo di vetro, non si mettevano mai in gioco e si tenevano per ammirarne la bellezza.
Quando si andava a scuola “dies céci par al sisìn“ c’erano sempre in tasca.
E sì, al sisìn era di dimensione più piccola delle altre palline e si adoperava par cicàr e cicàr a più di mezzo metro di distanza. Fare in modo da non rimanere “sota cicada” non era facile.
Zughemia ai ceci? A ün, dü, quatar a la cicada? Sü i bòri. Per prima cosa bisognava fare le buche con il tacco dello zoccolo: si aggiustavano bene bene con la mano, si puliva il bordo per facilitare lo scorrimento delle palline.
Il primo giocatore lanciava la pallina, di solito con il dito medio e il pollice (anche con indice e pollice), verso l’altra buca distante quasi due metri: se si riusciva a centrarla (andàrag déntar), allora “tüti da sghìrlu“, che voleva dire obbligare tutti gli altri giocatori a mandare la loro pallina in buca: chi sbagliava pagava la penale (una, due, quattro) a chi aveva chiamato da sghìrlu. Chi andava dentro riceveva la pallina.
Se in partenza nessuno andava in buca, tutti si disponevano a distanza per evitare la cicada. Cercavi di nascondere la pallina dietro un sasso, un ciuffo d’erba, comunque in una posizione tranquilla. Si doveva rispettare l’ordine di partenza: il primo poteva tentare la cicada, oppure andare in buca, se vi riusciva, la voce era “a tüti” e gli altri si avvicinano con cautela dicendo “altartànt“. Ancora movimento di palline: se uno rimaneva lontano da sghìrlu, indicava chi aveva in mano il gioco e se non riusciva ad andare in buca perdeva una pallina e veniva eliminato ma se riusciva vinceva la pallina, eliminava l’altro e prendeva in mano il gioco.
Se uno era vicino si tentava la cicàda «ag vuleva a dl’oc, a tal dis un ch’a zugà».
Se riusciva guadagnava la pallina. Il bello veniva quando uno tentava di andare in buca e rimaneva sul bordo “l’era sota al quatar“: se il giocatore successivo ci riusciva, trascinava la pallina dell’avversario come da figura.
Il vincitore, eliminati tutti gli altri, iniziava una nuova “mano” lanciando la pallina verso l’altra buca.
Quando si rimaneva senza céci as s’era al slip o al mao.
Tratto da: Giochi, lavori, ricordi di un tempo – Autore Ado Lazzarini – 2017
€ 10,00