Giuseppe Morselli – Il Capodanno

Giuseppe Morselli – Il Capodanno

28 Dicembre 2023 0

IL CAPODANNO

Il primo giorno dell’anno, nella “Bassa” modenese, era inte­ramente dedicato alle tradizioni del Capodanno, una festa pratica­mente riservata ai soli uomini. Ad esempio, il bravo marito che nelle prime ore di questo fatidico giorno, si dimostrava eccellente nelle affettuosità riservate alla moglie, era certo che sarebbe stato bravo per tutto l’anno. Ma ciò che maggiormente caratterizzava questo giorno era lo spettacolo offerto dai bambini nel portare i loro auguri a tutta la gente.

Infatti va detto che il nuovo anno cominciava puntualmente con le tradizionali frotte di bambini che si recavano di casa in casa, sia in campagna che nei paesi, per rivolgere gli auguri di buon anno; davanti alle porte o alle finestre recitavano una filastrocca dialetta­le a cantilena che suonava così: “A son gnuu a dar al bon Cavdan / ch’a scampadi zent’ann / Zent’ann e un dè / la bona man l’am ven a mè”. Dove per “bona man”, cioè per ricompensa, si intende­vano un’arancia, un mandarino, un pugno di castagne secche o qualche carruba.

I più maligni hanno sempre raccontato, ma forse non è vero, che in caso di mancata ricompensa, il gruppo di bambini ripeteva ancora la stessa filastrocca, ma con una variante, negli ultimi due versi, non troppo ben augurante. In concreto, al posto del consue­to grazie e auguri, la filastrocca suonava così: “A son gnuu a dar al bon cavdan / ch’a scampadi zent’ann: zent’ann e un mes / ad mat­tina long dastes”. Una storia per certi versi assai improbabile. Semmai, nell’attesa della mancia, era facile sentire questi due brevi versetti: “La razdora la va in cà / e par gninta la gh’andrà”. Cioè la padrona di casa non andrà in cucina per nulla.

Da notare come si è accennato, che il gruppo dei bambini era formato esclusivamente da maschietti: secondo un’antica credenza della “Bassa” (decisamente vigente ancora oggi), le donne, il pri­mo giorno dell’anno, dovevano restare in casa propria e non var­care la soglia delle case altrui.

Questo atteggiamento decisamente maschilista viene spiegato da qualcuno come retaggio di certe correnti filosofiche medioevali le quali mettevano in dubbio il fatto che la donna avesse un’ani­ma. Se ne discusse per secoli e anche oggi qualcuno pensa che, soprattutto per quel che riguarda le donne molto belle, il dubbio persista. Ovviamente si sta scherzando, ma è certo che la presenza delle bambine nei gruppetti che andavano in giro per le strade e per le case il giorno di Capodanno non era né gradita né tollerata.

Oggi la tradizione del “Buon Capodanno” non esiste pratica­mente più: è raro, forse fin troppo raro, vedere ancora per le strade gruppetti di bambini tutti imbacuccati; oggi gli auguri si fanno per telefono, più spesso con il telefonino e con le “e-mail”, con gli SMS e con mille altre diavolerie. Oltre tutto, sono ormai rarissimi i bambini che sanno parlare in dialetto (lingua obbligatoria per reci­tare la filastrocca rituale) e la tradizione del “Bon Cavdann” (come quasi tutte le tradizioni), va scomparendo, in un modo che a noi sembra malinconico. Resta comunque il ricordo di quelle frotte di bambini infreddoliti che andavano per le case a portare gli auguri con i loro coretti straordinariamente stonati, che erano accolti con un sorriso, perché auguravano cento anni di vita e tanta serenità. Però in cambio di una piccola offerta. Non erano sgradite anche le monetine.

Tratto da: Antiche Tradizioni Mirandolane

Autore: Giuseppe Morselli

Edizioni Bozzoli

Anno 2006

capodanno

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