Don Zeno – Il cinema a San Giacomo Roncole
San Giacomo Roncole - Una delle prime immagini della proiezione del cinema all'aperto, dietro al casinone
Il cinema a San Giacomo Roncole
Nel teatro del casinone di San Giacomo don Zeno proietta film di produzione italiana e straniera. Il regime fascista contrasta i film stranieri, perciò le case produttrici statunitensi cercano di superare l’ostacolo favorendo il noleggio delle pellicole a prezzi molto bassi. Don Zeno, per ragioni economiche, sottoscrive contratti che includono anche questi film che non costano molto. Sicché il pubblico che confluisce a S. Giacomo ha modo di vedere la produzione americana, solitamente non visibile nei normali circuiti di proiezione.
Lo spettacolo cinematografico è, per quei tempi, un’attrazione irresistibile. Il cinema sonoro inizia a imporsi proprio a decorrere dall’inizio degli anni Trenta. Ai bambini che vengono a messa la domenica, viene fatto un timbro sul braccio, e assistono gratis allo spettacolo del pomeriggio. A spettacolo iniziato entrano anche quelli senza timbro. Il cinema è molto frequentato. Lo spettacolo del venerdì, a prezzi bassissimi, è riservato ai giovani, diventando occasione di ritrovo per tutta la gioventù delle parrocchie del territorio. Lo spettacolo del martedì è gratis per le donne, pagano solo gli uomini che le accompagnano. Il discorso tenuto da don Zeno al termine dello spettacolo, è ben presto anticipato tra un tempo e l’altro, per assicurare la presenza di tutti. La domenica sera lo spettacolo è per tutti. Il cinema a S. Giacomo diventa l’attrazione principale per la gente delle frazioni e dei Comuni vicini. I giovani accorrono in massa da tutta la zona, spesso superano di parecchio il migliaio durante la stagione estiva, quando si proietta il film all’aperto. Le case noleggiatrici arrivano al punto di dare i film in prima visione a S. Giacomo. Don Zeno dice:
“Allora non c’era ancora la commissione ecclesiastica sui film . I film che mi sembravano immorali li pagavo ma non li davo. Facevo un contratto di dieci, venti film. I film che erano adatti per i giovani li tenevo per il venerdì. Insomma, distinguevo: i film migliori si facevano sempre al mercoledì, proprio film grossi, e domenica film discreti, perché alla domenica la gente veniva da tutti i paesi. […]
I giovani cominciarono a venire un po’ da tutte le parti, però quando parlavo tutti stavano attenti, non facevano gli stupidi, altrimenti li spedivo fuori […].
Poi succedeva questo fatto che, chissà come fosse, ci veniva il campanilismo, cioè: quelli di Mirandola, nel teatro, sedevano tutti assieme in un punto; quelli di Medolla in un altro; quelli di San Giacomo e San Martino, che erano due parrocchie vicine, in un altro […] Spesse sere cominciavano a prendersi in giro gli uni con gli altri, sicché qualche volta, dopo lo spettacolo, fuori, volavano delle botte, ma grosse anche. Ricordo che una sera, c’era la neve, c’era del sangue nella neve, al mattino si vedeva proprio […].
E non erano capaci di amalgamarsi i paesi tra di loro […] l’antagonismo tra Mirandola – perché i mirandolesi volevano fare i cittadini insomma – e questi paesi di campagna, dicevano dei villani a quelli di San Giacomo, di San Martino; poi dicevano dei cafoni a quelli di Cavezzo. Insomma qui tutte le sere c’era qualcosa. […] Io però in mezzo a loro ero diventato molto intimo con tutti e di me avevano molta stima e molto affetto, quindi avevo molta autorità su di loro, dal punto di vista della quiete insomma, dell’ordine pubblico diciamo così.
Una sera il teatro rigurgitava, non so che film ci fosse e, accidenti, vedo che cominciano a offendersi sul serio da una parte e dall’altra, e il teatro era pieno. Quelli di Mirandola contro quelli di Cavezzo. Ad un certo momento, quelli di Mirandola, non so chi fossero, volano su quelli di Cavezzo, e quelli di Cavezzo su quegli altri: quelli di Medolla… chi da una parte chi dall’altra, si vedevano volare le sedie, un flagello. “Ohe – dico – qui adesso si massacrano” […] “Ma cosa devo fare? Se non ho un’idea…”. E mi è venuta un’idea […] Sono corso davanti al pubblico è là c’era una ringhiera che divideva il pubblico dallo schermo e dal palcoscenico, ed era una cosa di legno molto larga […] io mi arrampico su questa ringhiera, poi ho cominciato a rimboccarmi le maniche, pian piano, prima l’una e poi l’altra. Non li guardavo mica. Questi, a poco a poco, si fermarono a guardare. Io stavo là e quando vedo che tutti mi guardano e si erano fermati, dico: “Guardate, io mi sto preparando perché vorrei sapere, dalla maggioranza di voi, da che parte devo picchiare, perché cosa volete mai, per me siete tutti uguali, come si fa qui? Dove devo picchiare io? […] Perché sapete che io so picchiare sodo, perché sapevano che ero capace di mollarle sodo. […] E allora tutti seduti, un gran plauso, e comincia il cinema come se nulla fosse stato. […] Io credo che è stata l’ultima esplosione di questo antagonismo tra paese e paese, perché dopo tutto andava sempre liscio, e il venerdì sera era diventata una serata nella quale si poteva parlare con molta chiarezza.. […] E io parlavo ai giovani regolarmente anche per tre quarti d’ora. Guardate che a tener ferma questa baracca… Era diventata una cosa molto edificante, perché veramente i giovani erano diventati più buoni, molto più civili con questo fatto. […]
E io parlavo molto a fondo a questi giovani, di qualsiasi argomento. Guardate che non c’era mica uno che si muovesse, non è che ci fossero due che chiacchieravano, impossibile!
Quando parlo così al popolo, se c’è uno che non sta attento, me ne accorgo anche se sono moltissimi, vedo un qualche cosa che non funziona. Ci deve essere questo… come si può chiamare? Questo flusso di massa , insomma, comunicativa tra l’oratore e questa cosa. Io l’ho sempre sentita questa padronanza, mai avuto paura delle folle, mai! Sempre sentito un blocco solo e si formava quando andavo su… questi giovani, sapete, fanno chiasso i giovani, no? E allora io, come andavo su, si sentiva il silenzio come ho detto, il silenzio come una realtà, che avanza come un’onda, e andava fino in fondo, fino agli ultimi là, quelli che vendevano i gelati, che giravano con le caramelle, non so: un silenzio! Tutti si fermavano e non si vendevano più caramelle, nessuno si moveva, nessuno usciva e io parlavo. Ad essi ho trattato moltissimi argomenti. […]
Al mercoledì: le donne. Era molto più nutrito l’ambiente e c’erano moltissimi uomini al mercoledì. Tenevo queste conferenze alle donne. Il mercoledì era diventato, specialmente d’estate, il ritrovo di tutti i paesi vicini, al punto che prima del film si davano appuntamento i commercianti e si sentivano che trattavano le cose e venivano da tutte le parti. Quante macchine! Facevano servizio di corriera dai paesi e venivano tutti. Da certi paesi si vedevano arrivare prima di sera delle donne, con quei birocci con le panche, andavano a sedersi là in attesa, un’ora e mezzo, due ore prima dello spettacolo, avevano da mangiare con sé e stavano ferme là ad aspettare. Una cosa che era diventata un’attrattiva enorme e, solo lì all’aperto, si contavano un duemila, delle sere fino a tremila. Molti al mercoledì, insomma.”
Questa affluenza fuori del comune esige l’organizzazione di un minimo di servizio d’ordine. Don Zeno lo organizza e gli addetti lo avvisano immediatamente quando tra il pubblico accade qualcosa che non va. Una sera lo avvertono che dei giovani molestano pesantemente alcune ragazze. Fa interrompere la proiezione e accendere le luci. Le ragazze gli dicono: “Sono quelli”.
“Alé, ci sono volato addosso… erano quattro, guardate, quattro giovanotti di ventuno – ventitré anni. Ci sono volato addosso. Non so neanch’io spiegarmi come mai sono riuscito a tirarli fuori tutti e quattro, portarli in mezzo alla corsia, un calcio a uno, uno schiaffo a quell’altro e li ho portati in mezzo al popolo e li ho cacciati fuori a forza di schiaffi e pugni, ma schiaffi sodi: pim, pam! E tutta la gente un silenzio!”
I quattro giovanotti si sentono svergognati davanti a tutti e implorano don Zeno di riabilitarli. Il prete si fa promettere una condotta corretta, poi si fa vedere con loro a fumare una sigaretta, a chiacchierare in amicizia. Il prevosto gli dice:
“Come fa don Zeno a fare delle cose così, ma se si rivoltano?”
“Prevosto, vado a colpo sicuro, sono sicuro di quello che faccio, non la sbaglio, è la psicologia dell’ambiente, che è ridotto a una famiglia. Ecco il grande segreto: una famiglia” ”.
Non è solo don Zeno a intuire la straordinaria capacità del cinema a far presa sulla gente. Anche il regime fascista lo intuisce senza ritardi. Il fascismo tuttavia non vuole impossessarsi della produzione dei film italiani. La censura di regime non ha la mano pesante, lascia una certa autonomia. Produttori e registi cercano di non offrire pretesti per interventi censori. Il partito, tuttavia, monopolizza l’informazione di regime e gli spettatori sono sempre costretti a vedere prima della proiezione di ogni film i documentari o i cinegiornali LUCE, che illustrano al popolo, con parole magniloquenti, le imprese, le glorie, le conquiste, le cerimonie del regime, presentando la figura forte e un po’ istrionica di un Mussolini sempre vincitore.
In seguito don Zeno ha un’idea: estendere le proiezioni in altri luoghi, aumentando così le entrate con la vendita dei biglietti poiché la comunità dei fanciulli e ragazzi da lui accolti aumenta e mantenerli, vestirli, educarli costa. L’aiuto della popolazione non sempre basta. E apre sale a San Prospero, Mortizzuolo, Melara, Moglia. Arriva a un totale di undici sale. Operatori alle macchine di proiezione sono i suoi ragazzi più grandi. Succedono anche inconvenienti.
“Una sera a San Prospero avevano messo su la pellicola a rovescio e la gente [nel filmato] andava all’indietro. E questi ragazzi si mettono a chiacchierare fuori della cabina e la pellicola andava avanti. Fischi dell’altro mondo, una gazzarra maledetta. E uno comincia a dire in teatro: “È ora di finirla con questi ragazzi, don Zeno potrebbe metterci anche degli adulti”. Io arrivo e vedo tutta questa gazzarra: “Che cosa è successo?”. I ragazzi avevano già sistemato la pellicola. “ Che cos’è questa storia? Volete mortificare questi ragazzini che, poverini, fanno tutto quello che possono per vivere, per essere come voi, per essere con voi?”. E mentre dico questo arriva in teatro un certo Benea . Un uomo alto, forte, sembrava enorme. Fa, davanti a tutti: “Cusa gh’è?” Tutto un silenzio. E io dico: “È cosa da niente” e ho raccontato l’accaduto. “Roba da niente? Chi è stato a far confusione? Cal cagaròt? (cagaròt, sarebbe il pulcino con la diarrea), cal cagaròt che ha parlato così ora lo metto a posto io! Chi e sta?”. Un disgraziato ha risposto: “L’è sta lu”. Era un ometto alto così, era il pettegolo del paese. Arriva là in mezzo, lo alza e lo porta fuori, lo butta contro il muro, gli dice: “Adèsa at cav i denti”. Gli fa così, pam! E quello sputa fuori due denti.
Tratto da: Don Zeno e il cinema a San Giacomo Roncole
Autori: Remo Rinaldi – Umberto Casari
Edizioni Nomadelfia
Anno 2013
Valter Garutti
Vecchi ricordi , mi ricordo bene il timbro sul polso dopo la dottrina .
29 Marzo 2024