Don Francesco Gavioli – 1824 Mirandola – Cronaca di una impiccagione
LA CONDANNA A MORTE DEL FRATRICIDA GIUSEPPE BUGADA DELLA CONCORDIA GIUSTIZIATO NELLA PIAZZA GRANDE DELLA MIRANDOLA IL 18 OTTBRE 1824
Una domanda che viene spontanea sulle labbra di tutti: chi era questa Giuseppe Bugada?
Dagli atti processuali dell’Archivio di Stato di Modena e dalla Relazione stampata dei delitti e condanna del medesimo rilevo che era della Concordia, ma con residenza nella Mirandola. Nel 1812 all’età di 26 anni era stato processato per omicidio nella persona della Domenica Barbieri vedova Tamassia, ma nell’anno successivo, per effetto delle disposizioni delle Leggi allora vigenti, venne rilasciato dalle carceri con semplice sorveglianza della Polizia. Nel 1817 venne nuovamente sottoposto a procedura criminale per minacce verso la sua famiglia che abitava nella Concordia, per cui venne relegato nel forte di Sestola. Nel 1823, per ben due volte, e nel 1824 per una volta, prima del fatale delitto compiuto sulla persona del fratello Vincenzo, si rese colpevole di accessi violenti contro il proprio genitore.
Il 15 ottobre 1824 Giuseppe Bugada si portò nuovamente nella casa del padre e del fratello Vincenzo e dopo varie minacce costrinse il fratello e sua moglie a salire nella loro stanza da letto che si trovava al piano superiore obbligandoli di nuovo a scendere al basso. Mentre gli infelici coniugi, sempre sotto la minaccia della sciabola e della pistola stavano per scendere, lo sciagurato fratello puntò la pistola contro il fratello Vincenzo e lo ferì mortalmente. Non contento, il fratricida di averlo ferito con forte pugno sulla ferita, incominciò a percuoterlo ritraendone la mano tutta insanguinata e ne cosparse il sangue sulle pareti domestiche. Arrestato nei pressi della casa paterna venne processato e condannato alla pena capitale da eseguirsi il 18 dicembre 1824 nella città della Mirandola.
Il cronista Luigi Natali, soprintendente agli spettacoli della città della Mirandola, ci ha lasciato una dettagliata cronaca della sentenza di morte eseguita nella Piazza Grande della Mirandola alle ore 10,30 antimeridiane sulla persona di Giuseppe Bugada della Concordia per mezzo della forca e che della quale me ne servo per tracciare questo articolo.
L’apparato esterno era quanto mai suggestivo ma però molto lugubre. La Confraternita del SS. Sacramento, data la mancanza in questa Città di quella della Buona Morte, si recò alle carceri a prelevare il condannato accompagnandolo sul luogo del supplizio.
Intanto nell’Oratorio del SS. Sacramento, che si trova anche attualmente nelle vicinanze del Duomo era stato esposto alla adorazione il Santissimo per implorare per il condannato la Divina Misericordia, mentre il campanone dava avviso con lenti rintocchi dell’imminente esecuzione.
Assistettero il Condannato il Prevosto della Mirandola Don Luigi Maria Panigadi e l’ex Domenicano Don Vincenzo Ghirelli che con parole ispiranti alla Divina Misericordia cercavano di preparare il condannato a ben morire. Il paziente pentito dei suoi misfatti si confessò al suo Arciprete della Concordia.
La giornata dell’esecuzione era di sabato e quindi giorno di mercato per cui oltre a quelli accorsi alla Città per il mercato, molti altri vi intervennero per pura curiosità in modo che la piazza era gremitissima. Si vedevano inoltre tutte le finestre prospicenti la Piazza piena di gente e così pure molte altre persone trovarono posto sui tetti delle case.
La Forza Pubblica si trovava in mezzo alla Piazza e circondava il luogo, dove la sera precedente da alcuni galeotti dell’ergastolo di Modena, era stata issata la forca che capeggiava al di sopra della gente ansiosa di vedere il macabro spettacolo.
Intanto l’Ispettore della Polizia un certo Gualandi era stato delegato ed incaricato perchè l’esecuzione avvenisse con tutti i canoni stabiliti dalla Legge. Oltre alla Forza Pubblica il palco ferale era circondato da un drappello di Dragoni venuti appositamente da Modena.
Intanto il povero condannato si trovava con le spalle volte alla forca, mentre altri Dragoni facevano cordone per tenere lontano la gente, che sempre più si assiepava verso il palco dell’esecuzione.
Ormai l’apparato era completo nei suoi minimi particolari. Il carnefice Pantani di Parma si avvicinò al condannato tenendo in mano il capestro con a fianco il proprio figlio il quale aveva il compito di tirapiedi perchè la morte fosse la più istantanea possibile.
L’esecuzione della sentenza non andò secondo la previsione in quanto mancò da parte del carnefice, uomo molto gottoso e in età molto avanzata, quella forza necessaria per ottenere una perfetta rottura del collo nonostante l’aiuto del figlio come tirapiedi per cui il povero Bugada soccombette per soffocazione.
Dopo alcuni minuti l’Ispettore Delegato chiamò due testimoni nelle persone di Luigi Natali e di Giuseppe Scabazzi per il controllo della morte del condannato. Constatata la morte ne venne redatto un ampio verbale il quale venne sottoscritto dai medesimi.
Compiuta questa legale operazione il Prevosto della Mirandola Don Luigi Maria Panigadi salì sulla scala che era appoggiata alla forca e rivolse alla popolazione presente alcune parole che qui in parte riporto: “Popolo dilettissimo mirate questo tragico spettacolo; fissate le vostre pupille su di questo corpo ora rimasto senza spirito, senz’anima e quindi un tronco livido, nero, sfigurato. Ognuno di voi ha orrore in vederlo, a toccarlo, oppure quel cadavere è della stessa materia del vostro corpo, di quel corpo, che fu formato ad immagine e somiglianza di Dio; di quel Dio di bontà infinita, che da noi si offende con tanti peccati che armano la vendicatrice sua mano di mille castighi onde punisce l’audacia di coloro che temerariamente l’oltraggiano.
Questo sgraziato l’ha purtroppo sperimentato su cui testé fu eseguita la terribile sentenza di morte… Confessiamo, o miei cari, che la Divina Misericordia, quantunque grande e infinita ha la sua determinata misura… e questa misura non la conobbe il misero defunto che con grande infamia pende da questo patibolo e ai colpi della Divina Giustizia e quella Umana miseramente soggiacque.
Ma quel folle orrore che ridesta questo infelice, quella vana lusinga che lo rovinò e precipitollo senza riparo a questa miserabile fine, conosciamola, o miei dilettissimi figli, e sperar dobbiamo che Giuseppe Bugada pel supplizio sostenuto con cristiana rassegnazione abbia soddisfatto a quella verità di cui era colpevole al Tribunale di Dio…
Sia dunque, o dilettissimi, di vostra religiosa pietà di seguirmi alla Chiesa, onde rinnovare oblazioni e preci all’Altissimo a prò dell’anima del povero defunto nostro, per cui vestito di bel nuovo della bianca stola di Santità e di Giustizia che riportò con il Santo Battesimo, passi finalmente a godere una eterna requie nel bel regno del cielo. Così sia.
Dopo queste parole il Prevosto Panigadi, la Confraternita del SS. Sacramento e molte altre persone si allontanarono dalla Piazza con sul volto il segno della mestizia.
Nel pomeriggio verso le ore quattro, previo il solito invito dato dal suono della campana, la citata Confraternita, i Sacerdoti ed il Prevosto Panigadi in piviale nero andarono processionalmente nella Piazza per levare dalla forca il cadavere di Bugada, sempre sorvegliato dalle guardie della Polizia.
Il nostro cronista Luigi Natali all’ordine dato dall’Ispettore della Polizia “salì pel primo il palco della forca e piazzò due piccole funi tinte in nero a cavallo del superiore traverso della medesima, che dovevano servire per calare il cadavere del condannato senza toccarlo. In capo alle funi eravi un piccolo rampino di ferro che passato colla fune sotto sella fermavano le medesime ai bracci.
Disceso il Natali ascese Giuseppe Scabazzi, che con una rampina o ronchetta ferma in manico, favorito in questo anche dal Sig. Giacinto Paltrinieri di questa Città, che a tal oggetto aveva altre volte servito, e che le venne tantosto restituita, tagliò il capestro ove era appeso il cadavere. In questo modo pian piano Luigi Natali e Giuseppe Panigadi calavano dalla forca nella bara col mezzo delle funi il cadavere la cui bara era stata collocata dalla parte dei piedi e man mano che questo si calava la bara veniva tirata avanti in modo che il cadavere si coricò nella medesima senza che alcuno lo toccasse”.
Eseguita questa caritatevole operazione la Confraternita, il Clero e tutto i popolo portarono processionalmente il cadavere nella Chiesa della Madonna delle Grazie della Porta, ove celebrate le esequie, di nuovo processionalmente, venne portato con otto torcieri sostenuti dai Confratelli in guanti bianchi e vestiti con cappe nere con il relativo capuccio sul viso per non essere conosciuti al Comunale e Parrocchiale cimitero. Però il nostro cronista Natali ci ha tramandato i nomi sia dei portatori della bara, sia quelli dei torcieri e quindi ho creduto bene renderli noti. Essi sono: Gilioli Piero detto Cesatti; Bruschi Giuseppe; Panigadi Luigi; Gilioli Antonio; Natali Luigi; Scabazzi Giuseppe; Puviani Luigi; Panigadi Giuseppe; Saetti Emilio; Bruschi Luigi; Massa Domenico e Vaccari Giuseppe.
Giunti al detto cimitero e fatte ancora le esequie la salma venne interrata subito in una fossa comune appena dentro il rastello a mano diritto del medesimo. Con la salma vennero sepolti dai Confratelli Razzani Luigi e Navotti Giuseppe il capestro e tutti i guanti bianchi usati dai Confratelli che avevano prestato il servizio per il trasporto del cadavere ed anche quelli dei torcieri.
Intanto il Prevosto Don Luigi Maria Panigadi delegò i Sig.ri Luigi Natali e Giuseppe Panigadi a questuare per le case e botteghe della città indossando la cappa dei Confratelli. La somma raccolta fu di Italiane Lire 120,17 che furono consegnate al citato Prevosto il quale, le impiegò in tante elemosine di Messe a suffragio del giustiziato.
Così si chiuse per sempre la vita di un uomo che pagato il suo tributo alla Giustizia umana morì sperando nella Misericordiosa Giustizia di Dio.
Don Francesco Gavioli
Bibliografia:
Archivio di Stato di Modena, Processi Criminali del 1824.
Archivio Natali, Bibliotec Comunale della Mirandola, Filza 84, Fase. 7.