Da la fin d’agost ai prìm d’utóbar (di sessanta anni fa)
Abbiamo tratto da Piazza Verdi, il mensile di divulgazione e informazione di Finale Emilia, questo racconto di Galileo Dallolio che descrive cosa accadeva sessanta anni fa nelle aie di campagna e nella vita quotidiana di Finale Emilia. Solo ricordi di un tempo che fu ma che è meglio non dimenticare.
L’autore è nato a Finale nel 1940,dove si è diplomato al Liceo Scientifico Morando Morandi , abita a Bologna dal 1960. Conserva un ricordo vivissimo e cordiale delle persone,del dialetto e della vita di Paese, con particolare riguardo alle botteghe artigiane e commerciali. Si occupa di formazione e ha chiamato il proprio sito www.bottegadellaformazione.it
Quale poteva essere la motivazione che sollecitava a raccontare piccole storie, ricordare cose minute, commentare vecchie foto, pensare a zent da na volta..? Mi capitava di parlarne spesso con Berto. Questo argomento, nella triste giornata del suo funerale, è tornato d’attualità con amici e amiche di oltre 60 anni fa. La risposta più sensata è parsa questa: ‘chi è nato entro gli anni Quaranta e primi dei Cinquanta ha fatto in tempo a conoscere un modo di vivere che era rimasto stabile per quasi 50 anni: baròz e carét pr’il stradi, animali in di curtìl, lumier a petroli, stracantón, bucalìn, stuv e camin, orzo tostato, sulfanìn e savón fat in cà, pret a let, al grìl, al grafi, il ran e le tinche dal Panaro vendute al mèrcul, i ruglét, la canva, i stécch, i patuzz, al remal, i stramaz ad cren ad cavall o ad scartozz ad furmintón, l’uva d’or, il piantad, gli ovri, i braccianti.
La fine della guerra e il deciso cambio di passo del decennio successivo ha sancito una separazione netta con quel modo di vivere. In quei ricordi c’è qualcosa che fa piacere raccontare perché i paesi e la campagna ai òcc di putlét sembravano teatri, i copioni erano istruttivi e l’operosità collettiva era coinvolgente.
La descrizione di cosa succedeva da metà agost a la prima smana d’utóbar può rendere l’idea. In molte case, in particolare dove c’erano i curtìl, si faceva la cunserva con la machina da masnar i pandor e col fugón accés, così si formava una riserva preziosa per fare i ragù e sufrìt per l’anno a venire. Nell’ultima luna d’agosto si mettevano le uova in dal dastrutt per averle buone pr’ il spòi d’il Fest. La prima smana d’utobar in campagna cominciava la vendemmia e nei cortili si incominciava a cuocere per un giorno intero al most, con pezzi ad pom e ad pir per avere al savór con il quale si sarebbero fatte raviole e crostate. In molti cortili c’erano delle singolari forme di dispense. Io, nato longh la Via Nova al n.63, ricordo al pular, i cunìn, al maial, un piccolo orto , la vite ad clinto e sul granar soquant clómb.
Ogni anno costumava portare al padron dla cà un piccolo canestro con i primi grappoli ad clinto.
L’era al sgnor Alfeo Gallini e so muièr Delfina, che oltre la tipografia in piazza Baccarini avevano anche una deliziosa piccola drogheria. Il gesto simbolico era accolto con simpatia e con un bel scartuzìn ad mintìn culurà. In setémbar i tinazz erano messi a bussar con la tela ad sach sémpar bagnada perché di lì a poco sarebbero stati riempiti ad móst, d’uva d’or, ad palgrina, ad clinto e ad lambrusch, pigiato a piedi anch dai putlét, in una piccola mastlìna. Gran muviment d’urtlan perché si era al colmo del raccolto di certi frutti, in particolare i fichi. A la fin ad setémbar si mettevano via l’abundanza e più avanti i pom campanìn, poi si facevano il s’ciapèl, cioè fèti ad pom messe a seccare al sole.
Linda Falavena, la nòna ad me muier, mi diceva che a Casumar si prenotava uno spazio davanti a la cesa per mettere a seccare i fasò per poi sgranarli con al batòcc. In setémbar in campagna finiva il lavoro della canapa.
Ricordo sull’aia di Grutara, vicino a Santa Lia (Sant’Elia), una macchina ad legn che permetteva di selezionare i semi della canapa per la semina dell’anno dopo. I màsar, che erano serviti pr’il masrad ad canva, pian pianéto tornavano a vivere e si riempivano ad nadrina, che veniva raccolta per dar da magnar a il nadri custodite nei cortili. Nelle case, a fin ad setémbar, cominciava a sentirsi il fresco e c’era un gran da fare per comprare la legna che, segata per le strade, veniva poi custodita nei sottoscala pronta per l’inverno. Il riscaldamento era dato dai camin e dalle stufe, poche le case con i termo e l’acqua in cà. I primi termosifoni io li vidi alle Scuole Elementari.Gran muviment di carbunar:Ricordo perché il figlio di Medardo era a scuola con me, quando si andava a casa sua, sòta i portagh, l’animazione dla butéga ad Scarpàza. Gli altri carbonai erano Boetti e Vallini, Celso poi mi ricorda ‘ l’andirivieni dei finalesi all’Officina del Gas dove con i carétt molti andavano a caricare al carbon coke per l’inverno. Il direttore si chiamava Notari, al pàdar dal Cicc, gran tirador ad carabina, e gli operai erano Aristide, Ghitanin, Pìcioli e Cavallari. Quando sfornavano il carbone ardente vi versavano sopra secchi d’acqua che liberavano enormi volute di vapore. All’officina del gas poi gli operai iniziavano a conservare la marogna perché presto i ragazzi sarebbero venuti per farne le grotte del presepe..’ La festa dl’8 ad settémbar, dedicada a la Madona, era memorabile, e fin ch’l’èra al mond mia ziina Delmina, che abitava un tempo ai Secatòi,si faceva accompagnare dal Trebb a Final per la processione. Grande animazione per le strade, banchetti di palline di stoffa piene di segatura con l’elastico, trombette di cartone, giocattoli di legno e di latta, bàmbuli, poi zucchero filato e giostri. Altri ricordi sparsi legati al settembre riguardano il sapore dal latt condensà in scatla con scritto sopra ERP, che veniva dall’America. Il progressivo affollamento del Bagno Pubblico, dato che l’acqua ad Panaro, dla Bunìfica e dal Diversiv diventava più fredda. Ricordo che da bagaiét andavo anch’io dopo avere comprato una bela savuneta da Banz, dove peraltro si poteva acquistare anche la brillantina sfusa, messa in dla scatlìna con una piccola spatola. In setémbar ci si preparava per la scuola, le cartolerie ad Catone, Carlìn Frares, Lamburghìn, Albarelli sóta al Municipi…vendevano matite , gomme, pennini (quelli con la torre e con la manina) canéti, carta per incartare i libri, carta asciugante, squadre, righelli, quaderni. In di stracantòn dil cà c’erano lumiere a petroli e candele perché ogni tant a saltava la vàlvula (‘ani tolt la lus? va a védar fora da la porta.. Si l’è tut scur, i’à propria tolt la lusl).
Tratto da Piazza Verdi – Ricordi finalesi a cura di Galileo Dallolio – settembre 2011