Caldo – Cronache antiche

Caldo – Cronache antiche

2 Agosto 2024 0

Lodovico Vedriani nella sua «Historia di Modona» seicentesca, scrisse che nel 1233 l’estate fu torrida, che «nuova miseria afflisse in questo tempo la Lombardia, e furono i grilli e le locuste, che divorarono non solo le biade, ma le vigne ancora e che «per più anni non si raccolse vino, onde si celebravano anco le nozze senza».

Un’altra estate da ricordare, sempre stando al rac­conto del Vedriani fu quella del 1246. La calura si ac­compagnò ad una siccità tale che «i lupi insieme con le volpi, agitati da rabbiosa fame, non trovando più per le Ville abbruciate e sterili il solito pasto delle pecore e d’altri animali, si riducevano intorno alle fosse della Città, e di ululati impivano l’aria, e intrando tal volta dentro di essa, correndo sbranavano gli uomini, che dormivano su i carri, o si trovavano sotto i portici, e tal hora forando le parieti delle case mangiavano i figliuolini che nelle culle dormivano, sciagure tutte mise­rabilissime de’ quei tempi».

…L’acqua diventava un bene prezio­so e si arrivava a venderla, un tanto al boccale. Sempre Tommasino de’ Lancellotti, sempre in quell’infocata estate del 1507, annotò: «A dì 27 luio, per zento che fune a dì 25 de questo, che fu el dì de sen Jacomo de luio, alla festa al Colonbaro dixene che uno ge menò un suxo uno caro a dita festa una bote da 4 quartare piena d’aqua et vendeva soldi uno el bochale et la vedi tuta in presia, perché in questo paexe tuti li pozi e altri fiumi son seche per el gran secho che è stato fina a questo dì»

…..Tre anni dopo, nel 1510, si ripetè la triste esperien­za, e questa volta non solo gli animali ne patirono le conseguenze, ma anche i cristiani. Così Tommasino: «A dì 6 agosto 1510. Tanto caldo è che li cristiani non pono vivere, li orti se secano, e le piante; e zente asai non stà amalati e alcuni son de uno male che dura 3 dì con febre e doglia de testa e poi geremane una tosse teribile, e pochi ne more».

Altro anno memorabile fu il 1549. «A dì 6 agosto. El caldo excessivo è tornato de modo che questa notte passata a luce della luna tutte le persone sono andate per la città per trovare el fresco». L’assurdo, l’inimma­ginabile diventava vero e reale. Ci si accorgeva che perfino i signori soffrivano il caldo. Il cronista, assai meravigliato, aggiunse infatti: «Sino le gentildonne e gentilhomeni ge sono andati».

…..Nel 1600 Giovan Battista Spaccini, guardarobiere ducale, uomo di corte, informatissimo cronista che sempre te­neva a dimostrare la propria cultura, trovò che i pro­verbi non dettavano più legge e che ormai il mondo gi­rava a rovescio. «Adi 10 agosto 1600, giobia. Si suol dire San Lorenzo dalla gran calura, hor si può dire et con verità dalla gran ferdura; il mondo camina alla roversia».

Tre anni dopo, in agosto faceva caldo, «grandissimo caldo», ma nemmeno questa volta lo Spaccini potè di­chiararsi soddisfatto ché la calura aveva portato uno strano morbo e la gente moriva. «Adì 19 agosto 1603, Martedì, è grandissimo caldo, età va morendo assai gente di flusso».

L’anno dopo, altra grande calura e il pensiero del cronista andava ai poveri mietitori affaticati e sudati sotto il solleone. «Adì 23 giugno 1604, Mercoledì, si miete alla galiarda et è il più gran caldo che ancor sii stato».

Tratto da: Enciclopedia Modenese

Autori: Giancarlo Silingardi – Alberto Barbieri

Anno 1992

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