Caldo – Cronache antiche
Lodovico Vedriani nella sua «Historia di Modona» seicentesca, scrisse che nel 1233 l’estate fu torrida, che «nuova miseria afflisse in questo tempo la Lombardia, e furono i grilli e le locuste, che divorarono non solo le biade, ma le vigne ancora e che «per più anni non si raccolse vino, onde si celebravano anco le nozze senza».
Un’altra estate da ricordare, sempre stando al racconto del Vedriani fu quella del 1246. La calura si accompagnò ad una siccità tale che «i lupi insieme con le volpi, agitati da rabbiosa fame, non trovando più per le Ville abbruciate e sterili il solito pasto delle pecore e d’altri animali, si riducevano intorno alle fosse della Città, e di ululati impivano l’aria, e intrando tal volta dentro di essa, correndo sbranavano gli uomini, che dormivano su i carri, o si trovavano sotto i portici, e tal hora forando le parieti delle case mangiavano i figliuolini che nelle culle dormivano, sciagure tutte miserabilissime de’ quei tempi».
…L’acqua diventava un bene prezioso e si arrivava a venderla, un tanto al boccale. Sempre Tommasino de’ Lancellotti, sempre in quell’infocata estate del 1507, annotò: «A dì 27 luio, per zento che fune a dì 25 de questo, che fu el dì de sen Jacomo de luio, alla festa al Colonbaro dixene che uno ge menò un suxo uno caro a dita festa una bote da 4 quartare piena d’aqua et vendeva soldi uno el bochale et la vedi tuta in presia, perché in questo paexe tuti li pozi e altri fiumi son seche per el gran secho che è stato fina a questo dì»
…..Tre anni dopo, nel 1510, si ripetè la triste esperienza, e questa volta non solo gli animali ne patirono le conseguenze, ma anche i cristiani. Così Tommasino: «A dì 6 agosto 1510. Tanto caldo è che li cristiani non pono vivere, li orti se secano, e le piante; e zente asai non stà amalati e alcuni son de uno male che dura 3 dì con febre e doglia de testa e poi geremane una tosse teribile, e pochi ne more».
Altro anno memorabile fu il 1549. «A dì 6 agosto. El caldo excessivo è tornato de modo che questa notte passata a luce della luna tutte le persone sono andate per la città per trovare el fresco». L’assurdo, l’inimmaginabile diventava vero e reale. Ci si accorgeva che perfino i signori soffrivano il caldo. Il cronista, assai meravigliato, aggiunse infatti: «Sino le gentildonne e gentilhomeni ge sono andati».
…..Nel 1600 Giovan Battista Spaccini, guardarobiere ducale, uomo di corte, informatissimo cronista che sempre teneva a dimostrare la propria cultura, trovò che i proverbi non dettavano più legge e che ormai il mondo girava a rovescio. «Adi 10 agosto 1600, giobia. Si suol dire San Lorenzo dalla gran calura, hor si può dire et con verità dalla gran ferdura; il mondo camina alla roversia».
Tre anni dopo, in agosto faceva caldo, «grandissimo caldo», ma nemmeno questa volta lo Spaccini potè dichiararsi soddisfatto ché la calura aveva portato uno strano morbo e la gente moriva. «Adì 19 agosto 1603, Martedì, è grandissimo caldo, età va morendo assai gente di flusso».
L’anno dopo, altra grande calura e il pensiero del cronista andava ai poveri mietitori affaticati e sudati sotto il solleone. «Adì 23 giugno 1604, Mercoledì, si miete alla galiarda et è il più gran caldo che ancor sii stato».
Tratto da: Enciclopedia Modenese
Autori: Giancarlo Silingardi – Alberto Barbieri
Anno 1992