Buffalo Bill in turnèe a Modena
“Una vera americanata; geniale, piacevole, che ha anche il merito di durare due ore soltanto, ma che non risponde nella sostanza all’enorme aspettativa suscitata dalla fenomenale reclame”. Il giornale Il Panaro non fu particolarmente generoso con il Wild West, il grande spettacolo che Buffalo Bill portò a Modena il 6 aprile 1906. E non fu lusinghiero nemmeno il giudizio di un altro quotidiano, La Provincia di Modena: “Presi uno per uno, gli esercizi e gli esecutori non valgono quanto quelli che si vedono in dozzine di circhi equestri incomparabilmente più ricchi, più interessanti, più variati di questo di 120 o 150 cavalli (pochissimi belli), che fanno delle evoluzioni assolutamente comuni, con dei costumi meno che mediocri”.
Di quell’evento, che portò all’Ippodromo di Modena almeno 1 5.000 spettatori, rimane traccia in alcune fotografie che mostrano come la pubblicità, con i grandi manifesti affissi nelle stazioni ferroviarie, fosse uno degli elementi-chiave del successo di questo insolito circo equestre.
Il colonnello William F. Cody (questo il vero nome di Buffalo Bill) veniva annunciato a Modena come “il maestro dei tiratori a cavallo” ed uno degli ultimi testimoni della conquista del West. “Buffalo Bill – annunciava II Panaro – non è un eroe da romanzo d’appendice da 2 soldi, ma proprio uno degli ultimi rappresentanti di quegli abili esploratori e di quei prodi uomini che aprirono alla civiltà le immense praterie degli Stati Uniti e le resero abitabili a milioni di loro compatrioti”. Lo spettacolo da lui ideato e diretto era già stato in Europa nel 1890 e gli emiliani avevano potuto ammirarlo a Bologna. Sedici anni dopo quella trionfale tournée, Buffalo Bill aveva deciso di rimettere piede sul vecchio continente per racimolare ancora tanto denaro. Questa volta ad accompagnarlo c’erano un migliaio di uomini e circa 500 cavalli, che si spostavano da una città all’altra in una vera e propria macchina da soldi. Personale tecnico, attori, animali e attrezzature viaggiavano su quattro treni speciali della lunghezza media di 250 metri ciascuno, che raggiungeva le località alla distanza di mezz’ora uno dall’altro. Oltre alle locomotive, vi erano carri cavalli, carrozze bagagli, carri piatti, vagoni letto e vetture normali. Lo spostamento dei convogli era preceduto, due settimane prima, da due “vagoni reclame” dipinti di bianco ed oro ed aggiunti a treni passeggeri ordinari, che trasportavano le squadre incaricate delle affissioni nelle varie località. Complessivamente l’insieme dei vagoni aveva un peso di 1.040 tonnellate.
La prevendita dei biglietti si svolse a Modena nel negozio Stanguellini, sotto al Portico del Collegio. Il capitano Cody e le gesta dei “suoi” indiani erano reclamizzati ormai da giorni nei manifesti affissi sui muri e nelle vetrine dei negozi di città e provincia. “Ogni cartello ha un motivo nuovo e interessante e dinanzi ad esso si sofferma il pubblico commentando”. Il prezzo d’ingresso variava da 1,20 lire per i posti di seconda serie a 8 lire per i palchi.
Per i ragazzi sotto i 10 anni era previsto un biglietto a metà prezzo (tranne che per i posti da 1,20 lire). In prevendita si registrò il tutto esaurito. Particolari facilitazioni vennero concesse ai viaggiatori delle ferrovie provinciali: i biglietti di andata e ritorno, validi anche per il giorno successivo, godettero di un notevole ribasso e furono anche organizzati treni speciali per il ritorno in partenza da Modena alle 19.40 per Sassuolo e alle 19.20 per Mirandola e Finale.
Il riscontro fu notevole: da Mirandola- Finale partirono 950 spettatori, quasi la metà di quelli arrivati a Modena con le ferrovie provinciali (2.101). Il 6 aprile era un venerdì. Alle 6 e un quarto del mattino cavalli, carri, pelli rossa, cow boy messicani ma anche cosacchi, arabi e giapponesi si mossero transitando per la Barriera Vittorio Emanuele ed arrivarono all’Ippodromo percorrendo via Terraglio, “fra una moltitudine di curiosi”. Intorno alle 9 aprì il “padiglione dei fenomeni”e alle 13 il pubblico cominciò ad affluire nell’area dello spettacolo, sulle gradinate con seggiolini di tanti colori. Per l’occasione le scuole pubbliche rimasero chiuse nel pomeriggio.
Organizzazione, divisione del lavoro, efficienza tecnica e una pubblicità multicolore e capillare: della produzione statunitense era questo che impressionava gli Europei, non importa se si trattasse di industria delle automobili, del divertimento o altro.
I giornali modenesi osservavano che nelle operazioni di scarico dai vagoni degli animali e dei materiali “gli impiegati non si curavano degli estranei, ma senza parlare eseguivano il loro compito quasi meccanicamente” e con una “rapidità prodigiosa e sorprendente”.
Lo stesso avviene nelle fasi di montaggio dell’anfiteatro, realizzato con 1.300 pioli, 4.000 pali, 30.000 metri di corda, 20.000 metri quadrati di tende e circa 10.000 pezzi di legno e ferro di vario genere.
“Tutto è stato previsto in anticipo. Ciascuno è avvisato di ciò che deve fare, lo sa e si conforma alle istruzioni ricevute. In meno di due ore il materiale necessario alla installazione delle tende è trasportato sui luoghi”.
Il Wild West Show si svolse in due rappresentazioni, alle 14.30 e in replica alle 20. Lo spettacolo iniziò con l’esecuzione del brano Stars and Stripes e con l’ingresso del primo drappello d’indiani a cavallo. Il colonnello Cody, dalla “figura alta ed eretta nonostante le settantacinque primavere”, si presentò con la sua “grigia chioma svolazzante al vento” su “un bel baio dai garretti agili e nervosi e dalle narici frementi”. Il suo numero consisteva nel colpire con la carabina delle palle di vetro lanciate in aria da un pelle rossa in sella.
I maggiori applausi furono riservati “alla milizia Dovny, agli atleti giapponesi e all’uomo trottola”. Accanto ai consensi, non mancarono le critiche. Nel numero coi cannoni, eseguito da quelli che erano annunciati come “artiglieri veterani degli Stati Uniti”, si esibirono giovani che avevano tra i 20 e i 30 anni, troppo giovani per essere, appunto, dei veterani; a qualcuno sembrava che le palle di vetro lanciate in aria esplodessero prima degli spari di Buffalo Bill…; un giornale scoprì poi che tre “selvaggi” dell’accampamento erano in realtà nativi di… Licciano. Ma, al di là della finzioni, che importava? La compagnia era riuscita ad imporre al pubblico il proprio prodotto, grazie ad una potente immagine promossa dai moderni linguaggi della comunicazione. Fu questo il segreto del successo di uno spettacolo che, in fin dei conti, non si differenziava molto dai tanti carrozzoni che animavano da tempo le città, offrendo a spettatori in cerca di meraviglie esotiche un crogiolo di varia umanità. Come sintetizzava La Provincia di Modena, “ormai la fama è fatta. Buffalo Bill non ha braccia sufficienti per ammassare i quattrini. Dunque ha ragione lui”. Come dargli torto?
Tratto da ” Quando la Bassa Viaggiava in Tram” di Fabio Casini e Fabio Montella – Edizioni CDL