Antichi Palazzi – Palazzo Levizzani – Camposanto
Palazzo Levizzani secc. XVII – XIX
Camposanto, via Galeazza 55
Torre di accesso alla corte.
Nonostante il rinvenimento di una data (1645) incisa sul capitello di una colonna nello scalone, secondo quanto riferito dal proprietario, il complesso così come oggi si presenta è chiaramente il frutto di radicali trasformazioni ottocentesche, e di recenti pesanti alterazioni nelle partiture interne e nei prospetti.
Tra i palazzi privati di Camposanto era certamente, ed è tuttora, per la rilevanza delle proporzioni, l’edificio di maggiore complessità ed importanza. Residenza estiva dei marchesi Levizzani, da cui l’appellativo di «Palazzo Levizzani alla Galeazza», il palazzo presenta un assetto di grande respiro. Da una compatta stecca di edifici rustici, culminante nella snella torre centrale, sotto la quale è ricavato l’andito di passaggio, si accede ad una corte aperta, antistante la facciata del palazzo, una massiccia costruzione a pianta rettangolare e corte centrale arricchita da un’unica, forse superstite, ala laterale saldata a tenaglia al corpo del casino. L’interno, in gran parte stravolto dalle ristrutturazioni, conserva ancora un androne voltato a crociera, aperto a loggia sulla corte, e uno scalone decorato, con pedate in marmo rosso di Verona e battuto alla veneziana sui pianerottoli. Denominato successivamente «Corte Ferraresi» per un avvicendamento della proprietà, fu poi sede di una caserma militare (Camposanto, foto collezione Gino Marchesi).
Palazzo Levizzani. Decorazione secc. XVIII-XIX
Camposanto, via Galeazza.
Decorazione in stucco dell’antico altare della cappella.
Decorazione del soffitto dello scalone.
L’unica decorazione rimasta a seguito dei recenti interventi, riguarda la volta a padiglione dello scalone, ornata da un plafond di gusto tardo seicentesco raffigurante La caduta di Fetonte, che appare ridipinto forse in epoca ottocentesca. A tali date vanno infatti riferite le fasce decorative e le specchiature a monocromo che, secondo repertori consueti in tutto il modenese — ippogrifi affrontati, racemi stilizzati, finti medaglioni con le immagini delle Arti, teorie di putti — incorniciano l’immagine fingendo stucchi e rilievi architettonici. Tali tipologie, diffuse soprattutto dall’entourage dei modenesi Luigi e Ferdinando Manzini e successivamente dal carpigiano Andrea Becchi, appaiono più volte replicate anche in territorio finalese, come risulta del resto consueta la bicromia uerdmo-grisaille. La si confronti ad esempio con quella della «Sala ovale» del Casino del Duca di San Felice sul Panaro.
Nell’attigua cappella, smantellata degli arredi, resta la settecentesca decorazione in stucco, come l’ancona del demolito altare, con foglie e racemi di gusto rocaille delimitanti una specchiatura ovale ora occupata da un ’immagine devozionale di recente fattura.
Maria Pia Marzocchi
Tratto da: Architetture a Mirandola e nella Bassa Modenese
Cassa di Risparmio di Mirandola