Antichi palazzi – Obici – Finale Emilia
Prospetto che fronteggiava il Panaro
Obici
sec. XVII
Finale Emilia, strada comunale Rovere
Era il sontuoso palazzo dei marchesi Obizzi, ricchissima famiglia ferrarese stabilitasi a Finale nel 1489, quando Daniele Obizzi ne ottiene la cittadinanza, grazie ad un cospicuo prestito concesso al Comune, ed acquista la tenuta su cui poi sorgerà la corte padronale.
Nel 1618 risulta già edificato ed è residenza di Pio Enea degli Obizzi (Modena, Archivio di Stato, Acque e Strade, f. 44, fase. 1537-1679 Obizzi). Numerose mappe seicentesche ne annotano la presenza e consistenza con particolare cura e risalto a riprova della grande rilevanza dell’insediamento.
Sorto a ridosso del corso del Panaro, prima della deviazione nell’alveo del vecchio Cavamento completata nel secolo scorso, difeso da un robusto recinto munito di torri angolari e da una cerchia di edifici rustici, il palazzo venne configurandosi per successive addizioni nell’assetto composito che ancora si legge: un corpo di rappresentanza al centro, sede degli appartamenti nobili, completato poi dalle torri di poco aggettanti in copertura e dalle ali laterali più basse per la servitù (Modena, Archivio di Stato, Acque e Strade, f. 58, «Disegno Topografico de duoi Rami del Panaro…», 1713; Acque e Strade, f. 58, fase. Finale Acque e Strade Tipi diversi, «Terra del Finale», 1651).
La corte padronale era il centro di una vasta tenuta che al 1786, sotto il controllo di Tomaso degli Obizzi, raggiungeva le 2.000 biolche. Completava il nucleo insediativo un piccolo oratorio pubblico di recente sottoposto ad un pesante restauro che ne ha completamente alterato la percezione dello spazio interno.
Anche il palazzo versa purtroppo in uno stato di grave abbandono; sul prospetto che affacciava il Panaro è stato stravolto il sistema delle aperture, quasi tutte ridimensionate adattandole ad una diversa ripartizione degli ambienti.
Meno compromesso risulta il fronte opposto che comunque non reca traccia di qualsivoglia apparato decorativo. All’interno qualche labile indizio dell’antica nobiltà del luogo resta nello scalone voltato a botte con piccole crociere ai pianerottoli e nelle ampie volte a padiglione di alcune delle sale, che recano ancora brani di decorazione pittorica a finti lacunari, ormai corrosa dal tempo e dalle infiltrazioni.
Durante la Restaurazione il complesso pervenne alla Camera Ducale con l’appellativo di Real Tenuta della Quiete, un toponimo che compare tuttora sulla cartografia.
Alessandra Ontani
Tratto da: Architetture a Mirandola e nella Bassa Modenese
A cura della Cassa di Risparmio di Mirandola
Anno 1989