Antichi palazzi – Il Castello di Mirandola
Il «Castello» di Mirandola
(Le residenze dei Pico e la Cittadella)
Con un’origine urbanistica comune ad altre capitali padane, come Carpi, Correggio e Novellara, poco dopo l’anno Mille l’insediamento di Mirandola era costituito dal Castello fortificato, sede della famiglia Pico, e da alcuni vicini borghi, pure fortificati, che si sarebbero col tempo uniti al Castello stesso (Garuti1, 1983); questo nell’ambito dell’incastellamento», «vasto processo di riorganizzazione e militarizzazione del territorio» (Andreolli, 1989, p. 9) che interessò la zona per la sua collocazione strategica, prossima al Po e ad altre arterie fluviali.
In epoca medievale, il complesso edilizio ebbe un prevalente carattere di cittadella militare, e si sviluppò su un impianto quadrilatero, a nord-ovest rispetto all’abitato.
Sulla metà del Quattrocento, in sintonia con il ruolo di città rinascimentale che Mirandola andava assumendo, Giovan Francesco I procedeva all’aggregazione di fabbricati contigui, e all’abbellimento della sua residenza, con acme nello Studiolo dipinto da Cosmè Tura tra il 1465 e il ’67. Pure degna di un principe umanista, quale Giovan Francesco II, fu la creazione, nelle acque del fossato, di un’isoletta ricca di essenze anche esotiche e di alberi da frutto, hor- tus conclusus, ovvero luogo appartato di colti passatempi. Ed è con Giovan Francesco II che Mirandola diviene roccaforte leggendaria in tutta Europa, per il poderoso Torrione costruito fra il 1499 e il 1500, pare su progetto di Giovan Marco di Lorenzo da Lendinara — Luca Pacioli nella sua De divina proportene (1509) ne ricorda «in la Mirandola… la degna fortezza» (Campori, p. 233) —. Al centro della Cittadella, circondato da fosse, il Torrione s’innalzava per circa 48 metri; a pianta quadrata, con il lato di oltre 15 metri e le muraglie di quasi 4 di spessore, si articolava su sei piani. Al primo s’apriva un camerone provvisto di pozzo e di forno, per garantire il sostentamento degli occupanti in caso d’assedio; al piano superiore, il camerone della Ponticella presentava l’unico accesso alla Torre, un ponte levatoio che calava su un edificio isolato; seguivano quindi i cameroni dell’Archivio, con le carte più importanti di Casa Pico, del Salnitro, della Corda e, infine, l’ultimo munito di cannoni. Prodotto estremo di un’ingegneristica ancora medievale, nonostante la fama d’inespugnabilità, il Torrione non potè impedire che Mirandola venisse più volte conquistata, nel 1512 da papa Giulio II e nel 1705 dall’esercito francese. Infine, l’11 giugno del 1714 un fulmine lo colpiva facendo esplodere le polveri custoditevi, con effetti devastanti sull’intero complesso e sulla stessa città. Scompariva così il simbolo più orgoglioso del potere militare dei Pico.
Nel 1561 Ludovico II innalzò la torre detta delle Ore (distrutta nel 1888) che siglava l’angolo sud est del perimetro della Cittadella, concludendone il lungo prospetto sulla piazza. Quindi, nel 1577, esigenze difensive suggerivano a Fulvia, la vedova di Ludovico, di eliminare l’isoletta di Giovan Francesco II e di erigere in suo luogo un baluardo a punta, protetto da un grande bastione. Il figlio di lei, Federico II, nel 1594, ampliava la piazza e nel contempo regolarizzava il perimetro del «Castello» abbattendone la porta d’ingresso e l’antica chiesa di S. Alberto, per poi riedificarle in posizioni più arretrate.
Se durante il Medioevo il discorso edilizio era stato condizionato dalle esigenze difensive, in epoca rinascimentale accanto agli interessi militari erano subentrate anche ambizioni di decoro. Ma è nel corso del Seicento che si attua la grande qualificazione delle dimore principesche.
Così Alessandro I, al governo dal 1602, nella sua politica di prestigio fa costruire, nel settore di nord-est, due nobili «quartieri», per sè e per la consorte Laura, l’uno individuabile nell’odierno edificio perpendicolare alla piazza, dal porticato a colonne in marmo rosa di Verona, l’altro, l’«Appartamento della Duchessa», riconoscibile nel blocco, assai manomesso, affacciato sulla piazza. E’ il momento delle imprese decorative e dei grandiosi cicli pittorici a ornamento delle sale; tra queste è famosa quella dei Carabini, che il Ceretti ricordava ancora nel 1876, accanto al teatro, con la volta retta da colonne di pregevole marmo, pervenute dall’eredità del cardinale Girolamo da Correggio.
Non meno splendida fu la successiva età di Alessandro II, che nel 1668, per ospitare le trecento opere della raccolta Curtoni, avrebbe edificato la Galleria Nuova, sul fronte settentrionale del nucleo dei Palazzi. E ancora si può percepire, nonostante il degrado, l’impronta monumentale di questo corpo di fabbrica, che s’erge maestoso sulla base a scarpa: due avancorpi, con imponenti serbane e profili a bugnato, serrano un vasto prospetto su due ordini, l’inferiore scandito da quattro archi chiusi, il superiore con finestre alternate a lesene in bugnato. Benché si sia perduto l’originario rapporto tra superfici e vuoti — alla potente massività del basamento doveva contrapporsi la traforata trama delle logge —, ancora vi si coglie un’idea di monumentalità imponente, ove il repertorio classicistico è interpretato, più che nella sensibilità barocca, in una radicata tradizione tardomanieristica. Se Alessandro I aveva richiesto progetti al centese Giovan Battista Cremonini, Alessandro II teneva al suo servizio l’architetto veronese Francesco Marchesini (viv. 1674) e il bergamasco Aurelio Terzi (1594-viv. 1660), ingegnere militare, Governatore della Piazza di Mirandola, che nel 1660 attendeva alla sistemazione del Baluardo di Strada Grande (Campori, pp. 305 e 454).
Sul finire del Seicento, all’epoca del suo massimo sviluppo, il «Castello» occupava il quadrilatero all’estremità nordovest della pianta di Mirandola, dalla quale era diviso da un fossato. Nel quadrilatero, le residenze ducali sorgevano nel settore angolare nord-orientale, fra la piazza e l’odierno viale di circonvallazione; nell’area retrostante si estendevano i giardini, sovrastati dalla mole del celebre Torrione; sul lato meridionale (parallelo all’attuale via Tabacchi) s’innalzavano tre torri, da ovest a est, della Spina, della Pennarola, delle Ore, quest’ultima sull’angolo verso la piazza (Andreolli, p. 12).
All’interno della cinta muraria fervevano le attività legate alla vita della corte e della guarnigione militare: «vi si trovavano magazzini, granai, cantine, carceri, legnaie, forni, voliere, cucine; c’erano i giardini, l’orto, il pollaio, il pozzo, il mulino…» (Andreolli, p. 14). Una sorta di «città nella città», connesse tra loro da un rapporto di osmosi.
Nel «Castello» più che altrove si manifesterà il preciso intento, da parte imperiale ed estense, di cancellare le testimonianze dei fasti dei Pico.
I palazzi, deserti dal 1704 — anno della partenza dell’ultimo duca —, sarebbero stati devastati dallo scoppio del Torrione nel 1714, e l’anno dopo spogliati dell’arredo superstite dai Commissari imperiali, che lo trasferirono a Mantova. Ulteriori demolizioni si compirono tra il 1783 e 1’ 86 per ordine del Duca d’Este; altre ne sarebbero seguite alla fine del secolo scorso (nel 1888 si abbattè la Torre delle Ore). Infine, è storia ormai odierna quella delle arbitrarie ricostruzioni «in stile» del 1930 e dell’attuale degrado.
Graziella Martinelli Braglia
Tratto da: Committenze dei Pico
A cura di Graziella Martinelli Braglia
Cassa di Risparmio di Mirandola
Anno 1991