Antichi palazzi – Casino dei Vecchi – Finale E. Campodosso
Casino dei Vecchi sec. XVIII
Finale Emilia, Campodoso.
Di notevole interesse è questo complesso a corte chiusa, anticamente detto di S. Paolo, formato dal casino padronale e dai retrostanti fabbricati di servizio. Sorto in territorio di confine, l’antico «Serraglio» era annesso ai casti appezzamenti di terreno che gli ordini ferraresi del Carmine e di S. Caterina possedevano in questi luoghi e dei quali mantennero il beneficio fino all’avvento del governo napoleonico (Modena, Archivio di Stato – Periti Agrimensori, b. 93, fase. 855).
Lo schema pianimetrico, rigoroso ed esemplare, indica nel cinquecentesco palazzo di Cabianca a Casoni di Sotto un probabile locale modello di riferimento, qui ridotto a più modeste dimensioni. Di bell’effetto e ben equilibrato è il giardino murato antistante la facciata del casino: un vuoto che si contrappone formalmente e dimensionalmente al costruito, ripetendo in negativo il modulo pressocché quadrato della corte edificata. La disposizione simmetrica delle alberature è interrotta lateralmente dalla sagoma del piccolo oratorio padronale. Il campanile addossato, di ben studiate proporzioni, presenta la snella guglia apicale a bulbo di chiara matrice settecentesca. All’interno dell’oratorio decorazioni a tempera tardo ottocentesche di modesta qualità, con un’immagine di S. Rita che dal cielo veglia sulla casa.
La villa mantiene inalterato l’originario impianto settecentesco, con androne passante al piano terreno dal bel pavimento in lastre di marmo rosso e soprastante salone al pianonobile concluso da un cassettonato ligneo. La facciata, caratterizzata dalle piatte superfici delle ali laterali, forate da un doppio ordine di finestre, si risolve al centro nel corpo degli ambienti di rappresentanza, sormontato da un’altana, fulcro ideale dell’intero prospetto. Esso offre, oltre ad un notevole slancio verticale, un apparato decorativo, supportato da uno schema architettonico misurato, ma non privo di complessità compositiva e di rigore formale. L’uso del bugnato nel primo ordine di paraste e certi stilemi sull’altana (ci si riferisce in particolare al corredo marmoreo) rimandano ad un probabile restauro ottocentesco voluto dai De Vecchi, o del Vecchio, antica ed illustre famiglia finalese. I suoi membri occuparono spesso importanti cariche pubbliche a partire dal XV secolo (consiglieri, massari, notai, uomini d’arme nelle milizie estensi e pontificie) e qui dimorarono a partire dalla prima metà del secolo scorso. Sulla facciata campeggia tuttora lo stemma in marmo coi due vecchi reggenti e uno scudetto caricato dall’aquila bicipite.
Se l’analisi filologica dell’attuale edificio poco può dirci dei rapporti tra l’odierna struttura ed un presunto preesistente convento qui eretto dai Padri del Carmine, la pur lacunosa documentazione storica ne consente la parziale ricostruzione senza tuttavia permettere né una datazione certa dell’epoca di costruzione, né l’individuazione del progettista e del committente. E’ noto che durante il periodo napoleonico il casino e le circostanti tenute vennero annesse ai beni del Demanio e successivamente vendute a Giovanni Righini, rettore dell’Ospitale del Bondeno. Con la Restaurazione il complesso, divenuto nel frattempo di proprietà Baccilieri, e ormai in grave stato di degrado, si trovò completamente circondato dai terreni dell’ampia tenuta camerale di Campodoso. Seguirono pertanto numerose trattative di acquisizione da parte della Camera Ducale, ostinatamente rifiutate dal Baccilieri. Per mancato accordo sul prezzo di cessione Francesco IV, con nota autografa del 17Settembre 1819, ordinò di desistere dall’acquisto (Modena, Archivio di Stato, Intendenza Generale dei Beni Camerali…, f. 2856 n. 2).
Alessandra Ontani
Tratto da: Architetture a Mirandola e nella Bassa Modenese
A cura della Cassa di Risparmio di Mirandola
Anno: 1989