“Alver, o alvar, la pedga” antica fattura
In dialetto carpigiano “alver”, noi della Bassa diremmo “alvar la pedga”, letteralmente “levare la pesta” cioè togliere l’impronta del piede umano lasciata su piste di terra battuta.
Questo il significato letterale ma ne esiste un altro ben più terribile, fare una fattura ad un individuo, il più delle volte mortalmente.
«… Uno quando voleva far fare del male, faceva fare quel lavoro lì. Quello che gli voleva male stava dietro alla persona, perché allora non c’erano le strade come adesso (intende asfaltate), il fango si attaccava e allora si andava dietro a quello che si voleva «Sterier» e, pian pianino, si prendeva tutta la pesta intera e poi la si faceva seccare: quando volevano che si stesse male, siccome il calore va in alto, la mettevano sulla mensola del camino. Come si secca la pesta che hanno levato così sta male la persona. Sono cose che ho sentito… mi sono detta che erano cose che non avrei mai fatto al mondo. Questo è proprio voler male!…»: “Mia nonna diceva: – Vedi, a quello là i g’han alve le pedga… Al mor, al mor!” – Era una fissazione… Quando passava la persona per cui si aveva odio, andavano a «tirar su la pedga» dove aveva camminato e, con quella, facevano quello che sapevano loro…».
Questo rituale è sicuramente antichissimo, si trova infatti negli atti del Tribunale d’Inquisizione di Modena, conservati presso l’Archivio di Stato, ampia testimonianza su questo “maleficio ad mortem” così come viene definito negli atti medesimi.
Nella parte indiziaria degli atti di un processo contro la persona di Elisabetta Noliani, datata 31 gennaio 1613, ad un certo punto si legge:
«… Giovanna Arietina depose che Giovanni Caleffi detto «Coppino» le aveva chiesto, promettendole del denaro, di «guastare» sua moglie chiamata Pina per potere sposare Elisabetta Noliani. Vincenzo Bocchi, amico del Caleffi, depose inoltre che Giovanna detta la «Bizzarra», su richiesta della Noliani aveva misurato con una moneta d’argento l’orma del piede della Pina, aveva preso la terra di quell’orma, la aveva fritta con… e felce per farla seccare. Giovanna Bizzarra confermò… »
Ma, se esiste la “fattura”, esiste anche la controfattura.
Da una testimonianza in un altro processo:
«Nel giorno 18 Marzo 1608 – Davanti a me Antonio Cantelli pretore del Santissimo Senato e Teologo di Medolla e Vicario dell’Ufficio nella Congregazione di Camurana nella Sagrestia della sopradetta Chiesa, spontaneamente è comparsa Antonia figlia di Giulio de Franceschi di Medolla esercitante l’arte musicale dell’età di 25 anni come ha dichiarato e appariva dall’aspetto, dalla quale ho ascoltato una confessione al fine di scaricare la propria coscienza e avendole dato facoltà di dire la verità sotto giuramento che prestò toccando le sacre scritture, ha deposto quanto segue:’«Al tempo della vendemmia passata, Agnese Calciolari… che sta nel paese della Mirandola nella cura di San Giacomo venne a casa nostra che ancor mio padre stava in quel paese, e mi disse che mi era stata levata la «pedica» e che voleva vedere (forse sta per accertarsene).
- «In che modo l’ha fatto?»
- «Tolse un pedazzo dalla cenere e poi tolse una mina roversa e gliela pedazzò sopra (probabili errori di interpretazione calligrafica) e mi fece porre il piede nudo in cima, raccolse la cenere in un torzino, la legò in una pezzuola e me la diede dicendomi: stando a schiena indietro la gettassi nel pozzo stoppandomi le orecchie.»
- «Vi erano testimoni?»
R. «Vi era la Giulia del detto Gian Antonio Costa.»
Liberamente tratto da un articolo di Luciana Nora
La Bassa Modenese – Storia,tradizione,ambiente
Quaderno n.8 – Anno 1985
Italo Puviani
Bravo Barnardon. Io sono affamato di queste interessantime chicche di storia locale. Grazie
23 Agosto 2019