Quel che conta è la salute

Quel che conta è la salute

9 Febbraio 2024 0

Quel che conta è la salute

Tra la sanità di ieri e la sanità di oggi c’è un abisso di cui probabilmente nessuno si rende più conto.

Non è un problema di quantità dell’offerta. Da questo punto di vista ci si potrebbe anzi ingannare facilmente: i posti letto dell’Ospedale Santa Maria Bianca erano 232 nel 1951, scesero a 186 nel 1955, risalirono a 212 l’anno dopo fino al 1960, quando crebbero di altre 10 unità, per arrivare a 260 nel 1966 e a 332 nel 1993, quando però l’ospedale di Mirandola aveva assorbito i posti letto di San Felice e Concordia, ma tali dati non hanno alcuna vera relazione diretta con lo stato di salute della popolazione.

E’ cambiato tutto, malati, medici, strutture, tecnologie e cure.

Grazie alle vaccinazioni obbligatorie e alle mutate condizioni igieniche, le malattie endemiche ed epidemiche come la malaria, il tifo, la tubercolosi e il vaiolo sono scomparse. Al loro posto sono subentrate le patologie tipiche di una società benestante o che comunque in passato erano totalmente sovrastate dalle altre: le malattie cardiocircolatorie e polmonari, i tumori, i traumi da lavoro o da incidenti stradali, le nuove malattie professionali.

Da un ospedale di fatto municipale e poco oltre, siamo passati a uno stabilimento che fa parte di una rete provinciale, collegata e coordinata come gestione, ma suddivisa in ospedali con diversi livelli di offerta e di prestazioni e cure.

Da una amministrazione dell’ospedale a livello comunale, nel 1980 siamo passati a una amministrazione di zona (USL n°15) e dal 1991 la gestione della sanità è stata assunta direttamente dalla Regione, prima con la nomina di un amministratore straordinario, poi con l’aziendalizzazione e l’USL provinciale.

La scienza e la tecnica hanno rivoluzionato sempre più velocemente le prassi di diagnosi e cura, e finanche i rapporti fra il medico e il paziente, moltiplicando gli esami e i controlli di laboratorio o tagliando radicalmente i tempi di cura e dimissione dei pazienti. Le nuove forme di governance dei servizi hanno generato una rotazione più frequente dei dirigenti apicali nell’amministrazione e nei reparti.

Tutto ciò non ha ridotto la qualità delle prestazioni e la tutela della salute dei cittadini, come confermano i dati sulla qualità della vita e le aspettative di vita alla nascita, ma ha certamente contribuito a modificare la percezione dei cittadini rispetto al ruolo dell’ospedale e i rapporti fra il personale e la popolazione, generando anche incomprensioni, apprensioni e paure, a volte giustificate, a volte no.

Il tempo dei grandi primari, specialisti di un’arte medica che non c’è più, non per debolezza dei successori, ma per l’irruzione della tecnologia, medici stabilmente legati al territorio e capaci di esercitare una forte egemonia sul sistema sociale e sanitario locale e sui cittadini, è alle nostre spalle.

Fino al 1958, le politiche sanitarie facevano capo al Ministero dell’Interno, erano cioè considerate innanzitutto un problema di ordine e sicurezza pubblica in senso lato, oppure di mera assistenza e beneficenza. Solo in quell’anno sorse il Ministero della Sanità e solo nel 1970 nacquero le Regioni a Statuto ordinario, cui la Costituzione affida una specifica potestà legislativa e di gestione sui servizi sanitari.

Gli ospedali erano istituti pubblici di assistenza e beneficenza (IPAB) a partire dalla riforma Crispi del 1890, e lo rimasero fino alla legge Mariotti del 1968, che costituì gli enti ospedalieri e il fondo ospedaliero nazionale, attribuendone la competenza alle istituende Regioni.

La svolta fondamentale fu la Costituzione del 1948, che affermò il diritto alla salute: diritto della persona e non più solamente carità, beneficenza o sicurezza pubblica; ma si dovette arrivare alla legge 833 del 1978 per assistere alla nascita del Servizio Sanitario Nazionale, finanziato dalla fiscalità generale e destinato a garantire il diritto alla salute a tutta la popolazione e a ogni persona indistintamente, secondo una logica universale e con prestazioni uniformi.

Non è questa la sede per discutere i pregi e i difetti della riforma, i risultati e i limiti, le modalità di attuazione. Giova invece comprendere meglio cosa c’era prima, e prima c’era un sistema ingiusto, frammentato, inefficiente.

L’accesso ai servizi sanitari avveniva attraverso tre canali: chi poteva pagare le cure accedeva autonomamente e sceglieva medici e istituti (qui è cambiato poco o nulla, ovviamente); chi aveva un posto di lavoro fisso versava un premio assicurativo alla mutua, la quale copriva le spese sanitarie in base a propri tariffari e convenzioni; chi non aveva redditi e coperture mutualistiche doveva contare sull’assistenza dei Comuni, i quali compilavano l’elenco degli aventi diritto all’assistenza, pagavano le rette dei ricoveri e le medicine e garantivano la presenza e l’attività dei medici condotti.

A Mirandola nel 1946, come abbiamo visto, gli iscritti all’assistenza sanitaria erano 5.804. Nel 1958 erano ancora 2.827. Nel dopoguerra e fino all’avvento della riforma del ’78 c’erano sei condotte mediche. Il medico condotto era nominato e stipendiato dal Comune, doveva garantire l’assistenza gratuita ai cittadini iscritti nell’elenco comunale e poteva farsi pagare dagli altri sulla base di un tariffario anch’esso deciso dal Consiglio Comunale. Un sistema analogo vigeva per le condotte ostetriche (quattro nel 1961 e per le condotte veterinarie (due nel 1961). Negli anni sessanta, sull’intero territorio comunale, c’erano quattro farmacie.

Le mutue erano sorte in epoca fascista nel quadro della cultura e della politica corporative e offrivano di conseguenza costi, coperture e prestazioni differenziate. Dopo la mutua per i dipendenti statali del 1942 e per i lavoratori dipendenti privati e i loro familiari (INAM) del 1943, erano sorti numerosi altri enti, come per i coltivatori diretti nel 1954, gli artigiani nel 1956 e i commercianti nel 1960. Le mutue, condizionate da gestioni non sempre trasparenti e da spinte clientelari, si caricarono di debiti, che lo Stato dovette accollarsi nel 1974; furono commissariate e finalmente abolite nel 1977.

La storia dell’ospedale Santa Maria Bianca nel secondo dopoguerra richiederebbe e meriterebbe una storia a sé, che esula dalle possibilità e dall’economia di questo scritto, ma un breve riassunto delle principali trasformazioni strutturali del nosocomio e dei cambi di “governance” che si sono susseguiti permette di cogliere la grande attenzione con cui la comunità locale ne ha seguito le vicende.

Fino al 1954 l’ospedale fu amministrato da un consiglio il cui presidente era nominato dal Prefetto e che era completato da due consiglieri di nomina del Comune e due dell’ECA (Ente Comunale di Assistenza) e, quindi, indirettamente ancora dal Comune, che nominava anche gli amministratori dell’ECA. I criteri derivavano da un decreto del 1938; lo statuto risaliva al 1879 e stabiliva che “Esso ha per iscopo principale il mantenimento e cura gratuita degli infermi poveri della città di Mirandola”. Il 50% circa delle entrate era così dovuto alle rette pagate dal Comune e per la parte rimanente dalle mutue (principalmente INAM) e dai privati.

Nel 1954 l’amministrazione dell’ospedale fu oggetto di un vero e proprio colpo di mano, per cambiarne gli equilibri politici: il Prefetto Memmo nominò un commissario prefettizio nella persona del dottor Tonino Tosatti, in sostituzione del consiglio, e questi approvò un nuovo statuto, che riduceva da quattro a due i membri nominati da Comune ed ECA e al loro posto inseriva una nomina della Curia e una nomina del Ministero dell’Agricoltura.

Che si trattasse di una manovra politica era ed è del tutto evidente: i problemi di bilancio non erano tali da giustificare il commissariamento; il Commissario fu chiesto esplicitamente dalla minoranza consiliare con un ordine del giorno del 16 giugno; non esistevano motivi plausibili per cambiare lo statuto, se non quello di cambiare la maggioranza politica del consiglio.

Nonostante quella brutta pagina, l’ospedale proseguì la sua attività e nel 1966 contava sui reparti di ortopedia, ostetricia e ginecologia, medicina e lungodegenza e nello stesso anno ricevette dallo Stato 100 milioni di finanziamenti per ampliamenti

La legge Mariotti del 1968 ristabilì un corretto rapporto con la democrazia locale e nel 1970 il Consiglio Comunale, l’ECA e la Provincia nominarono il nuovo consiglio, che risultò così composto: Francesco Neri e Gianni Setti per il PCI, Mario Grilli e Usaures Caleffi per il PSI, Liliano Benatti per il PSIUP e Rinaldo Baraldi per la DC. Presidente fu eletto Francesco Neri.

Nel 1972 iniziarono lavori per il nuovo poliambulatorio, la portineria e il parcheggio. Nel 1973 erano in funzione: la divisione di medicina, con aggregata la sezione cronici e lungodegenti; la divisione di chirurgia generale; la divisione di ortopedia e traumatologia; la divisione di ostetricia e ginecologia; la divisione di pediatria e la sezione di oculistica. Cerano gli ambulatori e le specialità di odontostomatologia, dermatologia, otorinolaringoiatria e neurologia; i servizi autonomi di radiologia, anestesia, laboratorio analisi e cardiologia; i centri per le malattie sociali di citodiagnostica e mammografia.

Nel 1974 la ristrutturazione entrò in funzione, con la centrale termica e l’impianto di riscaldamento centralizzato a gas, il gruppo elettrogeno, la lavanderia, il guardaroba, il deposito gas e l’inceneritore.

Sotto la successiva presidenza di Corrado Neri (nessuna parentela col predecessore) furono inseriti quattro letti per terapia d’urgenza, la lavanderia fu centralizzata per i quattro ospedali della bassa e la Casa di Riposo, furono ristrutturati i servizi mortuari e, soprattutto, fu rinnovato il teatro operatorio, che avrebbe permesso il rientro del reparto di ortopedia trasferito a Concordia.

Nel 1980 fu costituita l’USL (Unità Sanitaria Locale) n°15 della Bassa Modenese, figlia della riforma del ’78 e della legge regionale n°3/80. L’USL aveva un’Assemblea, costituita da consiglieri comunali, che aveva compiti di programmazione e controllo e che eleggeva un comitato di gestione, con un presidente, che svolgeva le funzioni esecutive dell’ente.

Gestiva gli ospedali della zona, i servizi territoriali di prevenzione e alcuni servizi sociali delegati dai Comuni, come l’assistenza alle persone in condizione di grave disabilità.

Il nodo più difficile che dovette affrontare fu l’equilibrio fra i quattro ospedali del territorio. Come è noto, esigenze di finanza pubblica e cambiamenti della medicina hanno portato gradualmente, ma inesorabilmente, alla chiusura e trasformazione dei nosocomi di Concordia, San Felice e Finale Emilia, e alla concentrazione degli investimenti e dei servizi nel Santa Maria Bianca.

Nel 1987 il Comune progettò l’ampliamento del dipartimento emergenza, che fu attivato nel 1990.

Con l’amministratore straordinario Marino Pinelli, tra il 1991 e il 1994, ci fu l’ultimo investimento sull’ospedale del periodo qui considerato; l’ultimo, ma certamente il più rilevante e strategico di cui il nosocomio mirandolese sia stato fatto oggetto nell’ultimo secolo.

“Il nuovo padiglione”scrisse con legittima soddisfazione Pinelli “forma un compiuto complesso ospedaliero giustamente definito per capacità ed organizzazione “Unico Ospedale della Bassa Modenese”. Ha le caratteristiche positive del monoblocco in quanto presenta tutti i percorsi unificati e protetti e la flessibilità dell’ospedale a padiglioni, per la persistenza positiva della preesistente organizzazione”.

Del progetto di fattibilità fu realizzato il primo stralcio funzionale, imperniato sul nuovo padiglione di quattro piani (elevabile di altri tre), con tutti i collegamenti con le sedi storiche e le innovazioni tecnologiche. L’opera, per una superficie di 8.900 mq, fu pagata in leasing e il costo complessivo, compresi fisco e progettazione, fu di 20 miliardi e 294 milioni di lire (15,5 milioni di euro).

L’investimento fu finanziato a totale carico del bilancio dell’USL n°15, anche con qualche scelta dolorosa, come il taglio del personale da 827 a 769 unità (’91-’93), il blocco degli straordinari, la riduzione delle spese per la diagnostica convenzionata e il drastico calo della spesa farmaceutica, che però fu dovuto, come spiegò il prof. Carlo Hanau, “alle restrizioni al consumo provocate dai provvedimenti governativi, che hanno scaricato gran parte dell’onere sui cittadini malati”.

La ricognizione delle politiche per la salute dei mirandolesi non sarebbe completa se non prendessimo in esame la medicina preventiva, su cui la politica locale si concentrò molto in anticipo rispetto alle dinamiche nazionali. Dieci anni prima della legge regionale del 1972 che istituiva consorzi socio-sanitari, Mirandola e alcuni Comuni della bassa avevano già costituito un consorzio sanitario, dedicato innanzitutto alla medicina scolastica.

Nel 1968 il servizio di medicina scolastica fu esteso ai Comuni di Medolla, Cavezzo e San Prospero, segnalando la necessità di corsi di ginnastica correttiva a causa di bambini che presentavano dorsi curvi, scapole alate e toraci ristretti.

Nel 1970 alla medicina scolastica si era affiancata la profilassi dei tumori della sfera genitale femminile e il consorzio si proponeva di intensificare la medicina del lavoro. Nel 1971 il consorzio mirandolese (un altro aveva come riferimento Finale) effettuò 2.244 prelievi citologici, 8.504 vaccinazioni, 2002 schermografie, 1.945 visite generiche di base, 83 ispezioni ad aziende industriali e artigianali e 491 ispezioni a industrie alimentari.

Come abbiamo visto, nella seconda metà degli anni ottanta i Consorzi confluirono in un unico ente e furono poco dopo assorbiti dall’Unità sanitaria Locale.

Il peculiare e profondo legame fra gli operatori della sanità locale e la popolazione locale è plasticamente reso dalla fondazione e dal successo dell’AVIS (associazione volontari italiani del sangue). La sezione di Mirandola fu fondata il 31 gennaio 1951, nella Sala Gialla del Municipio, su iniziativa dell’aiuto e poi primario del reparto di chirurgia, professor Lino Smerieri.

Lino Smerieri fu il primo presidente, coadiuvato nel ruolo di vice da un altro chirurgo, il dottor Franco Margaria. Rimase presidente fino al 1978 e nel frattempo assunse anche la carica di presidente provinciale, dal 1964 al 1990. Nel 1978 divenne presidente Primo Luppi, che nel 1996 fu sostituito da Mirella Testi.

Alla data del 1973, la sezione mirandolese aveva già raccolto 21.771 flaconi di sangue. Nel 1994 la sezione raggiunse 3.395 donazioni di sangue intero e 915 plasmaferesi.

Tratto da: Storia di Mirandola – Politica e società del Secondo Dopoguerra

1946-2001

Autore: Luigi Costi

Edizioni CDL

€ 24,00

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