Mostarde, cotognate e cappelletti
“Sulla feracità delle campagne mirandolesi non si discute.”
E’ l’autorevole agronomo inglese Arthur Young (1741-1820) a darcene circostanziata assicurazione, quando osserva che il ducato di Modena non avrebbe potuto nutrire i suoi abitanti senza l’aiuto della Mirandola, precisando che “il ducato di Mirandola … possiede un suolo assai fertile e nelle stagioni secche dà abbondanti raccolti di tutti i tipi di grano”.
Ma nelle terre dei Pico dovevano fiorire fin dal Medioevo anche una qualificata produzione ortofrutticola e una fiorente zootecnia, confermate entrambe da testimonianze di varia natura.
Per quanto concerne il primo aspetto, si può ricordare che l’8 marzo del 1462 Giulia Boiardo, moglie di Giovanfrancesco I Pico e madre del noto filosofo Giovanni, figura inviare a Federico Gonzaga “sei scatole de le nostre confectione de la villa, aciò che rincrescendoli le inzucarate possa cum queste a la fiata mutare imbadisone”. Il 22 novembre 1474 la Boiardo manda alla marchesa di Mantova Barbara di Brandeburgo “octo scaptole fra codogne, persiche et pere, et quattro scaptolini de codognata con zuccharo”.
Il 25 novembre 1591 Galeotto III invia in dono al duca di Ferrara 12 fiaschi di mostarda mirandolese, mentre lo stesso giorno a un Consigliere del duca ne manda quattro.
11 25 gennaio 1596 Federico Pico figura donare al duca di Mantova alcuni fiaschi di mostarda e nella missiva di accompagnamento teneva a precisare che “portando la nostra mostarda Mirandolese nome di non cattiva, mi sono risoluto mandarne sei fiaschi de quella fatta col zucchero”.
Analogamente il 20 dicembre 1651 Orazio Possidoni, primicerio della collegiata di Mirandola, inviava al Cardinale Rinaldo d’Este, allora vescovo di Reggio, dodici vasetti di mostarda “in piccol segno della mia divotione”.
La nomea di questi prodotti viene confermata nella prima metà del Cinquecento da Ortensio Landi, il quale consigliava: “Se ti verrà disio di mangiare perfette cotognate, vàtene a Reggio, alla Mirandola e a Correggio”.
Sul piano delle risorse alimentari provenienti dalle quotate carni suine locali, a prescindere dagli arcinoti salumi (prosciutti, bondiole, salami, cotechini, zampetti e zamponi), doveroso è segnalare una ricetta compresa ne ” Il Talismano della felicità”, celebre capolavoro di Ada Boni, pubblicato per la prima volta nel 1929.
In questo importante ricettario, che divenne subito un bestseller, sono segnalati anche i Cappelletti di Mirandola, la cui preparazione avviene nel modo indicato dalla puntuale pagina della scrittrice.
Cappelletti di Mirandola
Sono una specialità del Modenese e specialmente di Mirandola; e li ricordiamo perché veramente caratteristici. Il loro ripieno è composto di: grasso di gola di maiale (titina) grammi 200, pane grattato finissimo grammi 500, parmigiano grattato grammi 300, due noci moscate grattate, due uova intiere, e sale. Si taglia in pezzetti il grasso e si fa struggere in un tegame. I siccioli color d’oro che rimangono si tritano e si aggiungono nuovamente nel grasso. In una grande terrina si mette una buona parte del pane grattato e ci si versa, un ramaiolo alla volta, il grasso bollente, mescolando con un cucchiaio di legno. Abbiamo detto di non mettere tutto il pane della dose, poiché potrebbe darsi il caso che il pane assorbisse meno grasso. Si farà sempre in tempo ad aggiungerlo man mano che l’operazione dell’impasto progredisce. Quando il composto è un po’ raffreddato, si aggiungono le uova intiere e s’impasta il tutto con le mani, aggiungendo man mano dei pugni di parmigiano e le due noci moscate grattate. Completare l’impasto col sale e lasciarlo in riposo per tutta la notte, al freddo, affinchè indurisca bene. Il giorno dopo preparare una o più sfoglie di pasta all’uovo tenendole piuttosto spesse e ricavarne dei quadratini di sei centimetri e mezzo di lato. Mettere in mezzo ad ogni quadrato una pallottola di ripieno come una grossa nocciola, poi sovrapporre due angoli opposti del quadrato in modo da ottenere un triangolo di pasta, nell’interno del quale è il ripieno. Pigiare intorno intorno con le dita affinchè le due porzioni di pasta si attacchino bene, poi rialzare il vertice del triangolo con le dita e riavvicinare le altre due estremità del triangolo, sovrapponendole e pressandole con le dita per chiuderle. Si avrà così una specie di grosso cappelletto a punta, che è la forma caratteristica di questa preparazione. Fatti tutti i cappelletti si fanno cuocere nel brodo, ricordando che la loro cottura completa richiederà circa un’ora e mezzo. Si conservano molti giorni e sono specialità natalizia.
Tratto da : ” Acquerelli Mirandolesi” Tracce di vita quotidiana nelle terre dei Pico – Autore Bruno Andreolli – Anno 2012