L’Aceto Balsamico nella Bassa Modenese – Ricetta di Camposanto (Sec.XIX)
La ricetta per fare l’aceto balsamico, che viene qui trascritta e commentata, acquista particolare importanza in quanto totalmente diversa dalle altre (tre in tutto) sinora recuperate negli archivi e rese pubbliche. Ne sono entrato in possesso per via ereditaria con successione avvenuta secondo l’asse materno (Benfatti e, più a monte, Bergamini). È secondo questa ricetta, verosimilmente, che fu impiantata un’acetaia di una decina di vaselli esistenti a Cadecoppi di Camposanto, nel Podere Torre (Tór ad Tirimìli), sino all’ultimo conflitto mondiale, quando fu quasi completamente distrutta a causa degli eventi bellici. Attualmente sono conservati in loco soltanto tre vaselli: essi, dopo la distruzione dell’acetaia, furono sempre rincalzati con vino nero normale, e solo da qualche anno, ad opera dello scrivente, il rincalzo è stato operato con « saba » o, meglio, con mosto concentrato acquistato alla cantina sociale. La presenza, sino ad una ventina d’anni fa, nel Podere sopra ricordato, di numerosi filari di vite della varietà Trebbiano, rende verosimile l’ipotesi che l’acetaia fosse impiantata e rincalzata con mosto di tale uva, cosa che del resto viene eseguita in tutta la provincia.
Il pregio dell’aceto prodotto da questa acetaia sembra testimoniato da un fatto che in casa si è tramandato oralmente: nella divisione ereditaria fra mio bisnonno (a cui attribuisco la calligrafia della ricetta) e suo fratello, l’agrimensore, in cambio di un congruo sconto sulla parcella, avrebbe chiesto una bottiglia di quest’aceto balsamico.
Nonostante le traversie subite, i tre vaselli superstiti producono tuttora un aceto molto aromatico di colore scuro che, nelle caratteristiche organolettiche, si avvicina notevolmente ai canoni stabiliti dai Maestri assaggiatori
Sull’antichità della ricetta rinvenuta fra le « carte culinarie » di famiglia non ho dubbi, sia per lo stato di conservazione della carta e della scrittura, sia per le unità di misura menzionate in essa. Il fatto che le misure siano state riportate nelle due diverse unità (boccali e litri — libre e grammi) fa ritenere che la ricetta sia stata copiata da una più antica, cosa del resto deducibile dal tipo di periodare in lingua italiana.
Attualmente gli organismi associativi che si sono interessati ed operano a tutela di questo raro e singolare prodotto tutto modenese (la Consorteria dello Aceto Balsamico di Spilamberto ed il Consorzio Produttori d’aceto Balsamico naturale) si rifanno a quanto scritto dall’Agazzotti in una lettera divenuta famosa nell’ambiente . La ricetta che qui si presenta differisce però profondamente da quella dell’Agazzotti, in quanto prevede l’impiego di « aceto forte nostrano » in propozione doppia rispetto alla « saba », con l’aggiunta di droghe come la cannella e la radice di piretro, oltre a sostanze aromatiche come la liquerizia e il ginepro. Di particolare interesse per gli effetti sulle reazioni biochimiche che si verificano nell’aceto è l’impiego della libra di lievito di pane « che abbia almeno otto giorni da potersi grattugiare ». Questo non è previsto nemmeno dalle altre due ricette conosciute, quella di anonimo del 700 e quella del Grimelli . L’impiego del lievito è forse da ascrivere alle notevoli differenze esistenti fra il clima nella nostra bassa e quello di Modena, per non parlare di quello della zona pedemontana. È stato infatti dimostrato che il clima ha un ruolo determinante nei processi di acetificazione balsamica; del resto, questo aceto non esiste nelle vicine province di Mantova e Ferrara, da cui, in linea d’aria, Cadecoppi dista pochi chilometri. Anche a Mirandola, la più settentrionale in assoluto tra le località in cui si produce aceto balsamico, la pratica del rincalzo annuale di vaselli differisce notevolmente, secondo quanto riportato dal Poiacci , da quella in uso nella restante parte della provincia, in quanto il mosto (saba) è molto più concentrato (ridotto ad un terzo), e viene fatto bollire con un sacchettino di bacche di ginepro ed addirittura con una chiave di ferro.
Non intendo affatto concludere affermando che per fare l’aceto balsamico valga il detto tot capita tot sententiae, che tradotto in dialetto sanfeliciano diviene: tànti tèsti tanti usànsi, tànti umbrìgui tanti pànsi, ma ritengo di poter asserire che, anche in passato, nell’impiantare le acetaie di balsamico, vi sono state differenziazioni nelle varie zone dovute ai diversi gusti culinari ed imposte dalle condizioni climatologiche e pedologiche, e che tali varianti hanno tutte uguale dignità e la stessa indiscussa autorità.
Ecco il testo dell’antica, preziosa ricetta:
Per fare aceto Balsamico si adopera
Aceto forte nostrano boccali n. 60 o litri 60
Saba di qualità boccali n. 30 o litri 30 entro la saba si deve far bollire per un quarto d’ora i seguenti generi:
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Regola da tenersi
Prima di tutto collocate l’aceto nel vascellino, si prenderà una libra di lievito g. 340 di pane senza sale che abbia almeno otto giorni, duro da potersi grattugiare e così ridotto si introdurrà nel vascellino medesimo.
Il decotto delle sopracitate droghe nella saba si verserà nel predetto vascellino dell’aceto, con avvertenza che esso decotto sia caldo e non bollente e che in tale recipiente rimanga uno spazio vuoto accioché non gonfia e si pregiudichi. Poscia si porrà il cocchiume che deve sugellare benissimo e coprire si lascierà per 24 ore, scorse le quali si leverà il cocchiume stesso, e si lascierà aperto ponendovi sopra un sasso pesante affinché i sorci non possano smuoverlo per entrare nell’aceto di cui sono ghiottissimi. Dopo mesi sei l’aceto medesimo così preparato e riposato avrà acquistato il colore ed il gusto, ed in questo spazio di tempo non devesi molestarlo.
Li stecchi di liquerizia debbonsi ridurli in pezzetti che passino pel buco del cocchiume ed attaccati ad un filo per levarli dall’aceto a capo di mesi sei e così si avrà aceto balsamico fino a quanto più vecchio diverrà.
Proporzione per ogni litro
aceto nostrano | litri 1 |
saba | litri 0,900 |
camelia regina | litri 0,007 |
radice di piretro | kg. 0,011 |
stecchi di liquerizia | kg. 0,006 |
bacche di ginepro | kg. 0,003 |
lievito | kg. 0,006 |
APPENDICE I
L’aceto balsamico naturale secondo i canoni stabiliti dai maestri assaggiatori
Il vero aceto balsamico naturale è prodotto nell’area degli antichi Dominj Estensi.
E ottenuto da mosto d’uva cotto, maturato per lenta acetificazione derivata da naturale fermentazione e da progressiva concentrazione mediante lunghissimo invecchiamento in serie di vaselli di legni diversi, senza alcuna addizione di sostanze aromatiche.
Di colore bruno scuro carico e lucente, manifesta la propria densità in una corretta, scorrevole sciroppisità. Ha profumo caratteristico e complesso, penetrante, di evidente, ma gradevole ed aromica acidità. Di tradizionale ed inimitabile sapore dolce ed agro ben equilibrato, si offre generosamente pieno, sapido, con sfumature vellutate in accordo con i caratteri olfattivi che gli sono propri.
APPENDICE II
Lettera dell’Agazzotti rinvenuta dal sig. Gianluigi Cavazzoni Pederzini nell’Archivio di Famiglia, metà sec. XIX.
(Metodo per fare l’aceto modenese balsamico)
In cinque o sei barili, preferibilmente di ginepro, o, in mancanza, di castagna, o, in mancanza, di moro gelso (da altri legni non si ottengono buoni barili da aceto) di diverse capacità, disposti in fila secondo le dimensioni, dopo purgati con i consueti modi e quindi lavati all’interno con aceto bollente, si metta per ogni barile un poco di aceto forte, dall’uno a due boccali secondo la capacità dei barili, oppure si introducano delle cosidette madri di aceto: quindi si empiano pressoché del tutto, meno cioè circa quattro dita, con mostro tratto da uva di buona qualità bianca, dolce e ben matura dopo averlo fatto bollire finché sia calato di un terzo e dopo averlo lasciato raffreddare: non si turino le aperture superiori dei barili ma si coprano soltanto in modo da difendere l’accesso agli insetti.
Si prescinde dall’indicare qui i diversi mezzi per formare aceto forte o madri di aceto, senza avere altro aceto o altre madri, sia per la facilità di trovarne sempre ovunque, sia perché detti mezzi sono notori. Di mano in mano che col tempo va calando il liquido nei barili, si supplisca la calata nel più piccolo con quello del barile più vicino, quindi al calato ed al levato di quest’ultimo col liquido dell’altro contiguo barile e così via fino al più grande nel quale si sostiene con mosto come prima.
Dopo qualche anno, quando avrà cominciato a formarsi l’aceto, si potranno inserire uno o due barili disponendoli con gli altri secondo la capacità, in fila e distribuendo in tutti i barili l’aceto in modo che sempre la maggior parte del già formato, o di prima qualità, occupi il barile più piccolo e quindi quello di seconda qualità il barile attiguo e così via via.
Lo stesso negli anni seguenti finché si abbia una serie fra i ventiquattro e i trenta barili.
Ogni cinque o sei anni sarà bene estrarre le madri dai barili, eliminarne ove siano soverchie, conserva(n)e ove siano poche, avvertendo di lavarle bene con aceto prima di introdurle di nuovo nei barili.
Se l’aceto di qualche barile tendesse all’aspro, si correggerà con mosto fatto bollire di più del sopraindicato.
Ad accelerare la formazione dell’aceto balsamico, gioverà assai esporre l’aceto della miglior qualità al sole in cassette di molta superficie e basse, ricoperto di un velo, ripararlo dalle mosche e dalle vespe.
Antonio Scaglioni
Tratto da: La Bassa Modenese – Storia, tradizione, ambiente
Quaderno n.4
Anno 1983
L’immagine è tratta da “L’Acetaia Masina”