Stàr mia mal cinon, l’è mèi pusàr ad sigòla che pusàr ad caiòn.
Stàr mia mal cinon, l’è mèi pusàr ed sigòla che pusàr ed caiòn.
Non stare male ragazzo mio, è meglio puzzare di cipolla che puzzare di coglione. In passato il contadino che si recava in centro era oggetto di derisione e di scherno da parte dei “cittadini”. Ciò causava ovviamente specie nei più giovani, un senso di vergogna e di fastidio. I vestiti del villico non erano alla moda, l’odore di stalla di cui sovente era intriso unito ad un alito che “saìva d’ài ed sigòla” (sapeva di aglio e cipolla, fornivano il pretesto per i presuntuosi abitanti di città che li apostrofavano con l’epiteto di “vilàn màrs” (villano marcio). I più anziani ammonivano però i giovani a non badare alle apparenze, e a non curarsi di queste insolenze, anzi spesso erano proprio loro stessi che simulavano una tontaggine evidente allo scopo di essere ritenuti innocui dai signorotti di città e poter così condurre in porto con loro e a loro danno ottimi affari. A giudicare dai risultati l’insegnamento degli avi si è rivelato fruttuoso: oggi fra i contadini che frequentano la città non c’è ne uno che non possieda una decorosa automobile e che non abbia un sostanzioso conto in banca. Più generalmente, per estensione, il proverbio è un chiaro monito a diffidare delle apparenze, a non lasciarsi trarre in inganno da osservazioni superficiali che possono condurre a giudizi sommari e sbagliati. A questo proposito si dice anche: “La barba an fa al capuzèn (la barba non fa il fratecappuccino) oppure “Tutt quel ch’pènd an càsca” (tutto quello che penzola non cade).
Tratto e liberamente tradotto da : Nuovo Parolaio Modenese
A cura di : Francesco Battaglia e Mauro D’Orazi.
Ubaldo Chiarotti
L’è acme la coa ad l’asan, la squasa in continuazion, mo l’ans dastaca mai…..!
6 Dicembre 2021